7500
Germania/Austria/USA/Francia 2019 thriller 1h33’
Regia: Patrick Vollrath
Sceneggiatura: Patrick Vollrath, Senad Halilbasic
Fotografia: Sebastian Thaler
Montaggio: Hansjörg Weißbrich
Scenografia: Thorsten Sabel
Costumi: Christine Zahn
Joseph Gordon-Levitt: Tobias Ellis
Omid Memar: Vedat
Aylin Tezel: Gökce
Carlo Kitzlinger: Michael Lutzmann
Murathan Muslu: Kenan
Aurélie Thépaut: Nathalie
Paul Wollin: Daniel
Hicham Sebiai: Hopper
Denis Schmidt: Mario
TRAMA: Tobias Ellis, pilota americano per una compagnia tedesca, vola da Berlino a Parigi con Michael, il capitano, e Gökce, hostess e madre di suo figlio. Durante il volo, un gruppo di terroristi tenta di irrompere nella cabina, trasformando una serata di routine in un incubo claustrofobico ad alta quota.
Voto 6,5
Leggendo la lista del cast tecnico ci si accorge che manca l’autore delle musiche e ciò è dovuto ad una ragione semplice: non ce n’è bisogno, dal momento che l’audio del film è interamente occupato sia dai dialoghi della sceneggiatura che dal continuo scambio di comunicazioni tra i piloti dell’aereo e la torre di controllo dell’aeroporto, oltre che dai rumori di fondo. Parole più che sufficienti per riempire i 93 minuti della visione. Drammatica, molto drammatica, essendo un thriller ad altissima tensione che trova sì e no solo qualche minuto di relax all’inizio: il resto è solo una battaglia psicologica e fisica tra equipaggio e dirottatori.
Infatti il film si svolge interamente all’interno della cabina di pilotaggio di un Airbus A319, durante un volo notturno da Berlino a Parigi, eccettuato solo i pochi minuti dell’introduzione in cui si vede da una telecamera di sicurezza il check-in dei passeggeri, dopo di che le camere da presa si piazzano nella cabina e non ne escono più sino ai titoli di coda. Va precisato che questo non comporta, come si evidenza tutte le volte, che si prova il consueto senso di claustrofobia perché non se ne ha il tempo e l’occasione, perché si viene travolti dall’ansia degli avvenimenti che non trovano pausa e quindi non si ha altra impressione che veder andare per il meglio la dannata fine della pericolosa faccenda.
Innanzitutto è necessario spiegare il motivo del titolo che è alquanto anomalo e chi non conosce il linguaggio utilizzato a bordo non potrebbe mai immaginarlo. In campo internazionale, quando un pilota inserisce il codice 7500 nel transponder dell’aereo, invia un segnale silenzioso al controllo del traffico aereo per informare che l’apparecchio è stato dirottato senza allertare i malviventi. Questo codice attiva prontamente i protocolli di risposta specifici, come per esempio l’invio di caccia militari per scortare il velivolo. Girato dal regista Patrick Vollrath – all’attivo una candidatura agli Oscar per un cortometraggio - come in tempo reale, quindi senza interruzioni temporali della trama, si assiste ai soliti preliminari che i due piloti di bordo, qui il capitano Michael Lutzmann (Carlo Kitzlinger) e il primo pilota Tobias Ellis (Joseph Gordon-Levitt, su cui pesa l’intero film), effettuano per i controlli prima di cominciare le operazioni di decollo: manopole, leve, strumentazione, fogli di volo, efficienza delle apparecchiature e inevitabilmente qualche piacevole chiacchiera dovuta anche alla consolidata amicizia tra i due, compreso le due hostess, una delle quali, Gökce (Aylin Tezel) si scopre essere la compagna di Tobias, unico americano dell’equipaggio tedesco, e madre del loro piccolo figlio. Dopo appena qualche minuto dopo il decollo, quando ancora non è stata raggiunta la quota di crociera, però, la situazione precipita: l’aereo subisce un tentativo di effrazione nella cabina per il dirottamento da parte di un gruppo di terroristi islamici. Prontamente il copilota riesce a barricarsi in cabina, mentre i criminali prendono in ostaggio passeggeri ed assistenti. Dopo l’uccisione del comandante, di uno studente e della compagna del copilota, due terroristi riescono a entrare nella cabina di pilotaggio e a prendere il controllo dell’aereo, immobilizzando l’ufficiale che si stava preparando ad un atterraggio di emergenza ad Hannover come da indicazioni della torre di controllo.
La lotta è furibonda, anche perché lo spazio è ristretto e i due terroristi sono armati di cocci di vetro a mo’ di pugnali. Benché ferito seriamente ad un braccio, Tobias cerca di mantenere il controllo del velivolo e di trattare con il giovane turco ventenne Vedat che acconsente solo all’atterraggio di emergenza per rifare il pieno di carburante e riprendere il volo. Non c’è un attimo di tregua e da terra cercano di trattare con l’islamico, un ragazzo meno deciso degli altri feroci compagni e qualche volta tentennante sulle decisioni da prendere. Tobias è ovviamente sconvolto, avendo anche visto dalla telecamerina posta all’ingresso blindato dalla cabina l’efferato assassinio della compagna. Ma non può permettersi di arrendersi e di cedere allo sconforto: sa che deve salvare l’aereo e i passeggeri. A nulla servono argomenti dissuasori o altri discorsi. Deve trovare il modo di atterrare sulla pista a loro riservata ad Hannover e poi si vedrà, dato che le forze di polizia si sono ormai attivate e sono pronte ad intervenire, nel momento strategico migliore.
Non c’è un attimo di tregua, si diceva, ma neanche tra gli spettatori, completamente ostaggi (anch’essi) dai drammatici accadimenti, dalla ferocia dei dirottatori, dal coraggio di Tobias, dalla sua resistenza dovuta alla necessità di non cedere e di non lasciare orfano il suo bimbo. Il montaggio di Hansjörg Weißbrich diventa essenziale per l’efficacia del racconto ed è magnificamente all’altezza, con inquadrature forzatamente in primo piano (dato il ristretto spazio a disposizione) e continui campi-controcampi che danno un ritmo incessante allo sviluppo durante i frenetici colloqui agitati tra i due personaggi superstiti chiusi nella cabina, mentre l’altro terrorista è stato ucciso da Tobias e gli altri due non sono per fortuna riusciti a sfondare la porta. La regia, se si era posto l’obiettivo di far trattenere il fiato al pubblico, ci riesce molto bene e dà un pesante tono di narrazione ansiosa tipico dei thriller da camera, riuscendo a fare a meno della inutile colonna sonora che normalmente aumenta la drammaticità sostituendola con i rumori degli oggetti usati con forza per abbattere la porta, le continue risse tra passeggeri e criminali, le urla che giungono fin nella cabina, da ogni minimo movimento del copilota che spaventa il giovane da cui ci si può aspettare una reazione dettata dalla tensione e dalla sua impreparazione evidente.
Non emergono mai le motivazioni ideologiche alla base del gesto dei dirottatori, evidentemente ritenute superflue ai fini della situazione già di sé tragica, piuttosto a Patrick Vollrath, anche cosceneggiatore, interessano le dinamiche dettate dall’azione e dalla paura che si è impossessata sia di Tobias, certamente più lucido dell’altro, e di Vedat, in preda al panico e sull’orlo della crisi psicologica e del pianto. Formidabile ed efficace è l’interpretazione di Joseph Gordon-Levitt, un attore poliedrico che ha sempre un viso di un giovanottino che non invecchia mai: il film è nelle sue mani e ne esce ottimamente. Chiuso nel suo abitacolo dà il meglio di sé, mentre il resto del mondo è fuori, appena intravisto dal cockpit, al di là del cristallo del parabrezza.
È indubbio quanto il regista sia stato tanto coinvolgente: i minuti trascorrono tutti d’un fiato e alla fine si tira un sospiro, non proprio di sollievo dato che restano a terra diversi corpi, ma almeno per l’ansia che si spegne. Ognuno è stato per un’ora e mezza il pilota che non si è arreso.
Bravo Joseph Gordon-Levitt.
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