A Conspiracy of Faith - Il messaggio nella bottiglia
(Flaskepost fra P) Danimarca/Germania/Svezia/Norvegia 2016 thriller poliziesco 1h52’
Regia: Hans Petter Moland
Soggetto: Jussi Adler-Olsen (romanzo)
Sceneggiatura: Nikolaj Arcel
Fotografia: John Andreas Andersen
Montaggio: Olivier Bugge Coutté , Nicolaj Monberg
Musiche: Nicklas Schmidt
Scenografia: Søren Schwartzberg
Costumi: Manon Rasmussen
Nikolaj Lie Kaas: Carl Mørck
Fares Fares: Assad
Pål Sverre Hagen: Johannes
Jakob Ulrich Lohmann: Elias
Amanda Collin: Rakel
Johanne Louise Schmidt: Rose Knudsen
Soren Pilmark: Marcus Jacobsen
Jakob Oftebro: Pasgård
Signe Anastassia Mannov: Lisa
TRAMA: Carl Mørck, un ex detective della Omicidi costretto a lavorare sui cold case del Dipartimento Q della polizia di Copenaghen, si ritrova a dover far luce sullo strano caso di un messaggio in una bottiglia a lungo dimenticato in una stazione di polizia nella più profonda Scozia. La prima parola del messaggio è "aiuto", scritta in danese e con il sangue. Mørck e il collega Assad realizzano che proveniva da parte di due fratelli, tenuti prigionieri in una darsena in riva al mare. Individuare chi siano i due, capire perché nessuno ne ha denunciato la scomparsa e scoprire se siano ancora vivi, diventeranno i principali obiettivi dei poliziotti.
Voto 7
Gialli sono i fiori dei campi della campagna danese, verde vivo sono i prati, azzurro velato piuttosto grigio quello del cielo che il vicino autunno sta portando, rosso è il colore del sangue del messaggio ritrovato, nero è il manto di orrore che ammanta la vicenda.
Rieccoli, Carl Mørck e Assad (Nikolaj Lie Kaas e Fares Fares, bravissimi), il primo danese, il secondo libanese naturalizzato svedese, due attori sincronizzati che assieme si trovano a meraviglia nei classici panni di ispettori di polizia che tanto sono diversi - di carattere, di pensiero religioso, di mentalità, di modo di reagire davanti agli eventi - altrettanto sono legati da sincera amicizia e legame di lavoro. Il primo torvo, l’altro paziente, il primo in piena crisi esistenziale (maggiormente a monte di questo episodio, ma non bene spiegato dalla sceneggiatura), il secondo ancor più comprensivo nei riguardi del collega in difficoltà psicologica. Lavorano da tempo, come segregati assieme alla collaboratrice allegra pimpante dai riccioli rossi Rose, nel Dipartimento Q, quello destinato ai casi quasi del tutto accantonati, spesso dimenticati dalla polizia.
Li abbiamo seguiti all’opera nel bellissimo quarto film della serie, Paziente 64 - Il giallo dell'isola dimenticata (leggi qui) dove le situazioni si ripetono, sebbene in ben differenti ambienti e prospettive. Questo lavoro ne è il precedente (i primi due sono Carl Mørck - 87 minuti per non morire del 2013 e The Absent One - Battuta di caccia del 2014, sempre molto apprezzabili, tutti tratti dai romanzi di Jussi Adler-Olsen) e vede sempre i due poliziotti implicati in casi apparentemente irrisolvibili, considerati oramai cold cases, in cui solo la loro convinzione e la voglia professionale di far giustizia li porta a scoprire la verità.
Tutto nasce allorquando un messaggio vecchio di 8 anni trovato in una bottiglia, scritto addirittura con il sangue, conduce Morck e Assad a scoprire una serie di rapimenti di bambini dalle comunità religiose di tutta la Danimarca. La maggior parte di questi rapimenti non è stata denunciata per qualche motivo e si sospetta che alcuni di essi siano terminati con un omicidio. Con una premessa del genere è lampante che indagare su fatti ormai vecchi e su cui, a quanto pare, poca gente è disposta a collaborare, diventa veramente disperato, pieno di difficoltà e persino di insidie, dovendo percorrere strade che la gente preferirebbe sbarrare. Quando si ha a che fare con fondamentalisti della fede o addirittura con sette religiose, chiuse e non collaborative, il percorso diventa arduo, complicato, quasi impossibile a causa degli ostacoli che la gente frappone. Per fortuna, come al solito i due poliziotti sono spinti ad andare avanti un po’per carattere, un po’ per quel senso di giustizia che non li abbandona mai.
La trama inizia con un messaggio inquietante che li eccita dal punto di vista dell’indagine, per poi diventare un duro thriller per via della presenza di un serial killer, per sfociare infine nel campo della fede, da cui deriva il titolo internazionale a cui fa appunto riferimento (A Conspiracy of Faith): un percorso contorto e pieno di misteri. Un film per molti versi duro, perché quando si comincia a parlare di ragazzini rapiti non può essere diversamente, per giunta minacciati da persone malvagie dall’animo oscuro e contorto che compiono azioni terribili nei confronti di persone innocenti. Come da schema classico, il killer ha un tremendo passato di adolescenza che lo ha portato a divenire un soggetto psicopatico molto pericoloso, forse persino cosciente della gravità dei suoi atti, ma convinto di porre a sua volta giustizia per il male ricevuto, come un compito da portare a termine.
Probabilmente, così, è il più duro della serie completa, oltre ad essere anche il film con più azione ed un in seguimento nel prefinale e risulta un’opera costruita molto bene, avvincente e angosciante, in cui si riesce ad apprezzare non solo la trama, ma anche la descrizione dello stato d’animo dei protagonisti ed un finale in crescendo e tenebroso. Un thriller teso, drammatico, soprattutto cupo, in cui si ammira il bellissimo paesaggio, la campagna danese, merito della adeguata fotografia. E poi, con una coppia di attori così in gamba e in perfetta simbiosi si va sul velluto!
Il regista Hans Petter Moland se la cava egregiamente: si era fatto già conoscere con altri lavori particolarmente tosti come In ordine di sparizione (con Stellan Skarsgård e Bruno Ganz) e dopo si confermerà con Un uomo tranquillo con Liam Neeson.
Комментарии