A History of Violence
USA/Germania/Canada 2005 thriller 1h36’
Regia: David Cronenberg
Soggetto: John Wagner, Vince Locke (romanzo grafico)
Sceneggiatura: Josh Olson
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Ronald Sanders
Musiche: Howard Shore
Scenografia: Carol Spier
Costumi: Denise Cronenberg
Viggo Mortensen: Tom Stall/Joey Cusack
Maria Bello: Edie Stall
Ed Harris: Carl Fogarty
William Hurt: Richie Cusack
Ashton Holmes: Jack Stall
Peter MacNeill: sceriffo Sam Carney
Stephen McHattie: Leland Jones
Greg Bryk: Billy Orser
Sumela Kay: Judy Danvers
Kyle Schmid: Bobby Jordan
TRAMA: Tom Stall, padre di famiglia dall'esistenza apparentemente tranquilla, per legittima difesa uccide due malviventi che tentavano di rapinare la sua tavola calda. Da quel momento la sua vita cambia radicalmente, e niente sarà più lo stesso.
Voto 7,5
Sono ormai diversi che David Cronenberg ha abbandonato il suo personale cinema horror metafisico e filosofico, rimasto pressocché unico rispetto al più classico praticato da altri autori del terrore. Invece al momento di questo film è solo qualche tempo che aveva affrontato la fantascienza di eXistenZ e la deviazione mentale del bellissimo Spider. Ora (2005 e 2007) dedicherà due opere al thriller vero e proprio, contaminato dal genere gangster: questo film e poi l’altro notevole La promessa dell’assassino. In comune questi due ultimi hanno un protagonista felice, un attore che si immerge perfettamente nel cinema cronenberghiano e lo rappresenta con grande efficacia. Viggo Mortensen ha la dote di saper esprimere in entrambi i film la dualità del ruolo affidatogli e se il suo Tom Stall è una bravissima e quieta persona ci mette un attimo a diventare Joey Cusack, ex duro uomo di malaffare, che colpisce l’avversario come in un film Wu Xia: dallo sguardo pacifico di buon padre di famiglia, affettuoso e amorevole, a implacabile killer che non vuol scoperchiare la lapide sotto cui è sepolto il suo passato.
Chi è veramente Tom Stall? Chi è quel tranquillo titolare di una tavola calda di Millbrook, nell’Indiana, lontana quasi 700 miglia da Filadelfia da cui partono i brutti ceffi che vengono a cercarlo nel suo locale? Cosa cercano da lui? chi li ha mandati fin lì? Che qualcosa dovesse succedere è quasi prevedibile dopo un inizio della trama che sa troppo di “calma d’inferno” a dirla come Tex Willer e quando in quella tavola calda si presenta un uomo di nero vestito e con gli occhiali da sole che nascondono un occhio rovinato per sempre avvertiamo solo allora che il film stia davvero iniziando. Da quel momento. E saranno fuochi d’artificio, perché quando risvegli un leone che ha solo voglia di vivere tranquillo ma viene molestato le conseguenze sono immaginabili.
È come un tragitto il percorso artistico di David Cronenberg, che non abbandona mai la sua via maestra: la psiche che lo ha sempre affascinato lo sta conducendo dall’horror al thriller dei personaggi doppi (pure ne La promessa dell’assassino Nikolai Luzhin ha un lato tenero e premuroso, anche), fino a giungere alle infinite discussioni tra Sigmund Freud e Carl Jung di A Dangerous Method e quindi poi al cerebro-filosofico Cosmopolis, in cui la finanza spericolata e padronale è solo un paravento alle ossessioni moderne della ricchezza e del possesso. Per non parlare di come (almeno ad oggi) la devianza psichica porta a quel particolare comportamento della giovane ragazza di Maps to the Stars. Il viaggio di Cronenberg nel cinema ha solo avuto diversi aspetti ma ha sempre percorso un unico itinerario, quello della mente e i suoi segreti impulsi, non sempre facilmente interpretabili.
È l’America delle storie di violenza, dei fucili negli armadi, è il Paese in cui puoi cambiare identità come un semplice nickname, dove neanche tua moglie conosce il tuo passato, dove i tuoi figli – che ti ritengono il miglior padre possibile – da un giorno all’altro ti guardano come un estraneo. Tutto ciò il grande regista sa realizzarlo con maestria, creando una tensione emotiva come solo i grandi cineasti sanno fare: obiettivo della macchina da presa sempre nel cuore della scena a cogliere le minime emozioni, i piccoli movimenti dei muscoli facciali, le forti apprensioni della brava e bella Maria Bello, la quale concede un paio di intense scene di sesso che una volta sono di natura passionale ed un’altra hanno il colore di uno sfogo animalesco tra rabbia e paura. Regia che ci porta sullo schermo la gelida cattiveria di gangsters consumati e impietosi, prima con il duro Carl Fogarty di Ed Harris e poi, come conclusione, il tipaccio che muove i fili, un mostruoso William Hurt, sempre capace di mutarsi a seconda dei personaggi. Un attorone mai del tutto premiato, un interprete spesso considerato un caratterista ma che ha tutta la stoffa per essere, come spesso gli è capitato ma non come merita, un protagonista a tutto campo.
Il film, oltre del grandissimo David Cronenberg, è ovviamente di Viggo Mortesen, capace di trasmetterci le sensazioni che prova di minuto in minuto: protagonista assoluto in ogni sequenza, che appare come un eroe che si stava solo riposando, come un leone stanco delle tante battute di caccia che adesso ha solo voglia di tornare a regnare nella sua vita privata, silenzioso e mansueto, lontano dal passato sporco a cui non ha più voglia di ripensare, figuriamoci di riparlarne. Il passato è sepolto in una tomba che ha un nome ben preciso: Tom Stall invece ha una casa e una tavola calda in una tranquilla cittadina dell’Indiana in cui tutti gli vogliono bene. Il sangue che scorreva negli anni passati è come quello che mostrava David Cronenberg nei suoi film degli anni Ottanta e Novanta: ma ieri è passato, l’oggi è questo, il domani è quello di un immenso regista che guarda il futuro del cinema con l’occhio di un quasi ottantenne.
2006 - Premio Oscar
Candidatura miglior attore non protagonista a William Hurt
Candidatura migliore sceneggiatura non originale
2006 - Golden Globe
Candidatura miglior attrice in un film drammatico a Maria Bello
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