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A proposito di Schmidt (2002)

Aggiornamento: 15 mag 2023


A proposito di Schmidt

(About Schmidt) USA 2002 dramma 2h5’


Regia: Alexander Payne

Soggetto: Louis Begley (romanzo)

Sceneggiatura: Alexander Payne, Jim Taylor

Fotografia: James Glennon

Montaggio: Kevin Tent

Musiche: Rolfe Kent

Scenografia: Jane Ann Stewart

Costumi: Wendy Chuck


Jack Nicholson: Warren Schmidt

Kathy Bates: Roberta Hertzel

Hope Davis: Jeannie Schmidt

Dermot Mulroney: Randall Hertzel

June Squibb: Helen Schmidt

Howard Hesseman: Larry Hertzel

Connie Ray: Vicki Rusk

Harry Groener: John Rusk

Len Cariou: Ray Nichols


TRAMA: Funzionario di un'impresa assicurativa nel Nebraska, Warren Schmidt è appena andato in pensione quando resta improvvisamente vedovo dopo 42 anni di matrimonio. Si ritrova così a fare i conti con un deludente passato e un futuro che lo angoscia ancora di più. Così, per trovare nuove motivazioni alla propria esistenza, si reca in camper a Denver per riavvicinarsi alla figlia, Jeannie, e convincerla a non sposare il fidanzato.


Voto 7

Contrariamente al solito, invece di chiudere le mie riflessioni dando un giudizio sugli attori, questa volta è importante parlarne subito, perché il Jack Nicholson che troviamo in questa storia non è il solito personaggio invadente, burlone, sciupafemmine, perfino insopportabile, che normalmente conosciamo, ma un maturo signore che si avvia all’ultima parte della vita. Bolso, capelli con il riporto, appesantito, ma soprattutto arrivato al punto della vita in cui, guardandosi dietro, si accorge che non è mai successo nulla di eclatante, che ha vissuto un’esistenza piatta e monocorde. Intristito, è alla vigilia del pensionamento e, nonostante quello che si ripromettono tutti gli uomini in questa circostanza, ha paura che non saprà minimamente come deve vivere il resto della vita. È, appunto, un Nicholson che non conosciamo, che non abbiamo mai visto. E se la cava più che egregiamente, con una eccellente interpretazione, che mai ci si sarebbe aspettata.

Perché il vero problema è che quando sei giovane, vivi la tua vita guardando avanti. Il futuro si profila più grande e più pieno di promesse rispetto al passato, e tranne coloro che sono afflitti da un pessimismo incurabile, gli altri credono che il meglio debba ancora venire. Ci siamo passati tutti, immagino. Ed invece il tempo trascorre inesorabile e tutte le cose invecchiano, spariscono e appassiscono, e arriva un momento in cui ogni essere umano deve fermarsi e fare il punto sulla propria mortalità. La realtà è che è difficile ammettere che quella distesa del passato a cui si guarda risulta più feconda della distanza sempre più ridotta che si vede all'orizzonte del futuro. Chiaro, è una introduzione amara che intristisce, eppure questa è una realtà a cui nessuno può sfuggire. Per tradurre queste sensazioni sullo schermo, si rischia di realizzare un film molto triste e noioso, invece è il solito cinema malinconico, a tratti umoristico, di Alexander Payne, come sempre gli è accaduto con le sue commedie agrodolci. Ma la vera sorpresa, ripeto, è come l’attore protagonista abbia saputo caricarsi sulle spalle il personaggio spogliandosi dei connotati con cui è diventato un divo di Hollywood, con il suo sorriso sarcastico e strafottente che qui si spegne in una penosa smorfia.

Fino a poco tempo prima, Warren Schmidt era come tanti milioni di lavoratori americani, che conduceva una vita limitata dal conformismo e dalla routine. Ora, all'età di 66 anni, è arrivato il momento di lasciare il lavoro di funzionario presso una compagnia assicurativa con sede nel Nebraska e di avventurarsi nella grande incognita della pensione. È indeciso si cosa fare davvero, come comportarsi, guadagna tempo ed ha un’idea che lo stimola: l’acquisto di un caravan accessoriatissimo e girare l’America, e magari andare a trovare finalmente la figlia Jeannie (Hope Davis) di cui disprezza il futuro marito. In verità non sopporta neanche la monotona moglie Helen (June Squibb), compagna da 42 anni, in verità non sopporta nessuno, ma soprattutto, quando guarda indietro ai suoi oltre sei decenni di vita, non riesce a intravedere in alcun modo cosa gli abbia mai dato soddisfazione o felicità. Così, dopo aver notato un’informazione televisiva, invia un assegno a un'organizzazione di beneficienza e adotta un bambino tanzaniano di sei anni di nome Ndugu. Poi, inaspettatamente, la moglie muore per un malore e lui si ritrova solo. Pensava di vivere male ma ora è anche peggio. E così fa le valigie, sale nello spazioso camper appena comprato e fermo nel suo vialetto e parte, con l’intenzione di vagarsi puntando verso la città dove abita sua figlia e cercare di farle cambiare idea sul prossimo matrimonio con Randall (Dermot Mulroney) il futuro genero. L’esperienza del viaggio sarà imprevedibile e, nel suo piccolo, avventurosa.

Il film prende ora la vera direzione, diventando il ritratto non sentimentale ma efficace di una persona ormai grande alle prese con le domande essenziali della vita. In alcuni momenti sembra un racconto cinico, ma non lo è, e sebbene abbia momenti ilari, non è una commedia, e se si svolge per buona parte sulla strada, non è un classico road movie. È semplicemente la storia di un uomo che non sta capendo più nulla della sua esistenza. E forse non l’aveva mai capita. Per questo, in alcuni momenti, non sa come comportarsi e mostra tutto il suo imbarazzo, come quando si ritrova controvoglia in una vasca di idromassaggio con la disinibita Roberta (Kathy Bates).

No, non è un film che lascia infelice lo spettatore, è solo il cinema tipicamente mesto di Alexander Payne, autore di storie che paiono in bianco e nero anche quando sono a colori (il bellissimo Nebraska lo è davvero). È il cinema della gente comune che la deve sfangare, dell’anziano incaponito, dei giovani che non capiscono la generazione precedente, il cinema dei racconti itineranti, dell’America molto ma molto lontana dal grande sogno. Ecco perché la presenza di un attore, che ha sempre rappresentato la terra del successo, fa tanto effetto in queste vesti: Jack Nicholson è la disillusione, è l’appiattimento, è la giusta normalità che accompagna la vita della stragrande maggioranza degli americani. È anche, forse soprattutto, la fotografia di quei tanti uomini che incontriamo per strada nella vita reale ma che non sono mai i protagonisti del cinema che guardiamo. Se poi si osserva il film con gli occhi di un americano nell’era Bush, nell’epoca del benessere generale e della democrazia da esportare, fa ancora più effetto.


Il cast è importante ed ognuno svolge il compito in maniera importante, da Kathy Bates a Hope Davis, da Dermot Mulroney alla bravissima June Squibb, ma vedere Jack che non gigioneggia neanche un secondo è uno spettacolo. E ci fa tenerezza.

Riconoscimenti

Premio Oscar 2003:

Candidatura miglior attore protagonista a Jack Nicholson

Candidatura miglior attrice non protagonista a Kathy Bates

Golden Globe 2003:

Miglior attore in un film drammatico a Jack Nicholson

Migliore sceneggiatura

Candidatura miglior film drammatico

Candidatura migliore regia

Candidatura miglior attrice non protagonista a Kathy Bates


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