A Thousand and One
USA 2023 dramma 1h57’
Regia: A.V. Rockwell
Sceneggiatura: A.V. Rockwell
Fotografia: Eric K. Yue
Montaggio: Sabine Hoffman, Kristan Sprague
Musiche: Gary Gunn
Scenografia: Sharon Lomofsky
Costumi: Melissa Vargas
Teyana Taylor: Inez de la Paz
Aaron Kingsley Adetola: Terry a 6 anni
Aven Courtney: Terry a 13 anni
Josiah Cross: Terry a 17 anni
Will Catlett: Lucky
Terri Abney: Kim Jones
Amelia Workman: Anita
Alicia Pilgrim: Simone
Delissa Reynolds: Mrs. Jones
Adriane Lenox: Miss Annie
TRAMA: Inez, impenitente e dallo spirito libero, rapisce suo figlio Terry di sei anni dal sistema di affidamento. Tenendo stretto il loro segreto, hanno deciso di rivendicare il loro senso di casa, identità e stabilità, in una New York in rapido cambiamento.
Voto 7
Chi ha sofferto molto non può imparare ad amare. Un’asserzione dura, forse anche errata, ma è ciò che pensa Inez, ladra, parrucchiera senza negozio e cazzuta, che ha conosciuto solo il lato duro della vita senza uscite, ingabbiata dalle circostanze non facili e dietro le sbarre del carcere di Rikers Island, la più grande prigione di New York, uno dei peggiori istituti di pena degli interi Stati Uniti. La riflessione la afferma al giovane Terry nei pochi colloqui più o meno sinceri che avvengono tra i due. Che si amano, che ricambiano il sentimento necessario per sopravvivere in un mondo che ritengono inospitale. Lei gli vuol bene ma è sempre dura, lui ricambia ma non le ha mai perdonato di averlo abbandonato in tenera età e di aver vissuto per questo in case di accoglienza. Per Terry è un macigno che si porta dentro e dietro nella inascoltata speranza che possa iniziare ad avere una esistenza più quieta e che prospetti un futuro migliore che non arriva mai.
A sentire Inez, lo ha abbandonato all’età di due anni perché non era in grado di crescerlo ma quando, uscita di prigione lo ha intravisto seienne sul marciapiede delle strade rumorose e colorate della sua Brooklyn, gli si è avvicinato cercando di farsi accettare, riscontrando solo indifferenza e rifiuto. Quando dopo qualche giorno lo ricerca e viene a sapere che è ricoverato in ospedale perché caduto tentando la fuga dalla finestra dalla casa adottiva, lo va a trovare e gli prospetta e gli promette di aver cura di lui. E lo rapisce, andando a sistemarsi, provvisoriamente, in casa di un’antica amica. Comincia così un tentativo di nascita di una parvenza di famiglia: l’importante, ora, è trovare un lavoro (le pettinature che fa alle amiche e alle clienti improvvisate vengono molto apprezzate), magari ritrovare il vecchio fidanzato che lei afferma essere il padre del ragazzino, e chissà, con il guadagno trovare un piccolo appartamento per una vita decente. Le speranze si rafforzano quando appunto si fa vivo il reticente, inizialmente, Lucky, l’ipotetico padre biologico. Sono una famiglia, finalmente. Forse.
La prima inquadratura della esordiente nel lungo A.V. Rockwell, newyorkese doc, che ama fotografare la metropoli con i colori e il caos di Spike Lee e Martin Scorsese (almeno a suo dire, ma si riscontra facilmente vedendo il film) è dedicata alla panoramica della città, con ancora le Twin Towers ancora in piedi e dominanti. Siamo infatti nel 1994 e la storia si svilupperà lungo tanti anni, vedendo crescere Terry e cambiare le politiche residenziali dei sindaci repubblicani che vogliono dare una svolta alla città, sempre a danno della popolazione più indigente, inasprendo anche i controlli della polizia che riceve il mandato di fermare pure in assenza di validi motivi la gente di colore e perquisirla. Evoluzione che conferma la perenne disillusione esistenziale di Inez, che non si aspetta mai nulla, non avendo mai avuto nulla, motivo in più per aggirarsi nella vita come una tigre pronta a difendere il pochissimo che ha e ad azzannare chiunque la contraddica. Compreso il figlio, per il quale, per iscriverlo a scuola, si procura documenti falsi. Nessuno sa che lui è Terry e che lo ha portato via dalle istituzioni: ora sarà Daryl per tutti, compreso per i suoi insegnanti che scoprono quanto sia dotato e che meriti di andare in un college che lo valorizzi.
Può mai andare meglio, o perlomeno benino, per chi, come loro e i tantissimi colored di Brooklyn o Harlem (dove tentano la risalita) affolla le strade di NY? Succede solo nelle belle favole ma a Inez e Terry è impossibilitato, tanto, prima o poi, salterà fuori che il numero di previdenza sociale è fasullo e la scuola non può accettarlo. Anzi, quando si presentano i servizi sociali e la polizia la situazione precipita. Ma la tigre non la si limita così facilmente, anche a costo di dover abbandonare, ancora una volta, il figlio, il quale trova nella ennesima occasione la conferma di non avere una madre su cui contare. Lui è ancor di più un ragazzo solo, sconfortato, deluso, ferito. Inferocito solo verso quella donna che gli ha sempre promesso un cambiamento in meglio ma incapace di assicurargli di vivere nella sua camera, sul suo letto, con i suoi videogames, come tutti gli altri. Ed è proprio in quel colloquio prefinale di cui l’incipit di questo scritto che Inez fa una brutale rivelazione, che è anche (ma solo anche) un atto d’amore, dovuto essenzialmente al bisogno di entrambi di amare e sentirsi amati. Ma non è consolante. È desolante. La realtà è sempre dura per chi non riesce mai a cavarsela.
Duro è il finale, come aspro e velenoso è il film della ottima Alina Victoria Rockwell, cresciuta nel Queens con i genitori giamaicani, che conosce a menadito quelle strade e quegli ambienti e dimostra talento a filmarli, accompagnati dai ritmi che ama quella gente. Felici le scelte degli attori, in primis Teyana Taylor che ha grinta e carattere in surplus. Teyana Me Shay Jacqueli Shumpert (Taylor) è una cantautrice, attrice, modella, ballerina, coreografa e regista anch’essa newyorkese di gran talento che ben si adegua all’atmosfera del film che in qualche tratto ha l’aspetto di un melodramma teatrale, anche perché si svolge, eccettuate le scene di marciapiede - tra cabine telefoniche a mo’ di uffici stradali e di luogo di sfogo rabbioso -, quasi interamente in ambienti domestici: le case che ospitano i due come migranti e l’appartamento sempre più fatiscente che però rappresenta il luogo sicuro su cui fare affidamento e il fulcro dei dialoghi centrali tra i personaggi importanti, mentre il quartiere nero comincia ad essere rivoluzionato dai piani edilizi della politica locale. L’America cambia, NY cambia, Inez diventa grande, Terry cresce, ma la vita non ha svolte positive.
Il film non offre pace, neanche quando pare che al giovane venga prospettata una bella carriera di studente di profitto, e non può essere altrimenti dato che chi ha campato di sotterfugi e piccoli reati e ha passata parte della vita dietro le sbarre non conosce altri codici. Tutto è sulle spalle della dotata Teyana Taylor, attrice che esprime la rabbia ribelle di uno spirito che attraversa momenti di esaltazione delle proprie possibilità ad altri di rassegnazione, come quando ti accorgi di stare a lottare contro un nemico troppo enorme per poter sperare di continuare a battagliare: la galera, la difficoltà a trovare un lavoro, una casa, il tubo che si rompe, l’amministratore che velatamente ti invita ad andartene, il ritorno incerto del tuo uomo, la malattia e la morte, un figlio a cui dovresti dare di più ma ti fai travolgere dalla smania di fare altro, di essere contro, di non riflettere e di essere troppo istintiva, mentre continui a promettere di impegnarti e di rendere le cose più facili. La Taylor rende tutto ciò leggibile sui suoi occhi stirati e sul suo broncio stampato come una maschera di difesa contro tutti. Aveva capito sin da giovane che non si doveva fidare di alcuno e la vita le ha dato ragione. L’altra metà del cielo di questo bel film è Terry nei suoi tre interpreti di bambino, adolescente e giovane (Aaron Kingsley Adetola, Aven Courtney, Josiah Cross) e tutti e tre sono in grado di trasmettere molto chiaramente la fragilità del personaggio nel corso della crescita e il profondo rammarico per non aver avuto una mamma più accogliente e soprattutto l’intimo urlo del bisogno di un uomo guida che nella vita si chiama padre, sempre essenziale per la formazione: lacrime ad ogni età trattenute per dignità e resistenza, per aver imparato ad essere forte per le strade scuola di vita. Sogni infranti, progetti da mettere da parte, ricerca di un cuore che riscaldi, magari quella della paziente Simone, unico rifugio per ripararsi dalle intemperie del destino.
Difficile scegliere chi tra i due sia davvero il protagonista, perché a suo modo ognuno ha il peso per esserlo. Difficile stabilire chi è l’anima in pena maggiore: chi voleva essere migliore o chi aveva il diritto di essere amato e protetto. Il resto è un buon cast ed ognuno dei loro personaggi ha la sua influenza nella storia (a cominciare, prima di tutti, dal Lucky del buon Will Catlett), ma son tutti buoni interpreti, a dimostrazione dell’occhio felice della ottima A.V. Rockwell: sembrano davvero usciti da qualche film di Spike Lee.
Piccola ma forte espressione di quel cinema indie che solo al Sundance può trovare spazio e valorizzazione, dove il talento viene accolto a braccia aperte. Questo film merita, appunto, quel trattamento, tanto che i riconoscimenti parlano chiaramente:
8 premi e 41candidature, tra cui Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2023.
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