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About a Boy – Un ragazzo (2002)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 17 feb 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 17 mag 2023


About a Boy – Un ragazzo

(About a Boy) UK/USA/Francia/Germania 2002 commedia 1h41’


Regia: Paul e Chris Weitz

Soggetto: Nick Hornby (romanzo)

Sceneggiatura: Paul Weitz, Chris Weitz, Peter Hedges

Fotografia: Remi Adefarasin

Montaggio: Nick Moore

Musiche: Badly Drawn Boy

Scenografia: Jim Clay

Costumi: Joanna Johnston


Hugh Grant: Will

Toni Collette: Fiona Brewer

Nicholas Hoult: Marcus Brewer

Rachel Weisz: Rachel

Sharon Small: Christine

Victoria Smurfit: Suzie


TRAMA: Il trentottenne Will è ricco, scapolo e abituato a uscire ogni sera con una ragazza diversa. Resosi conto che è più semplice abbordare le donne - sole o divorziate - con prole, finge di essere un ragazzo-padre e si iscrive a un circolo per genitori single. Qui stringe amicizia con Marcus, un dodicenne difficile e solitario che gli farà aprire gli occhi su una realtà diversa.


Voto 7

Il quesito a cui è più difficile rispondere è quale sia il personaggio più importante, oppure quale sia il vero protagonista tra i due che dominano il film dall’inizio alla fine. Sì, perché parrebbe un’ovvietà rispondere Will, il quarantenne mai veramente cresciuto, ma così si metterebbe in sordina il vero adolescente della trama, Marcus, che invece peso e influenza per il suo sviluppo degli eventi raccontati. La verità che salta agli occhi, cioè, è che hanno entrambi un ruolo essenziale: quello di influire e condizionare la crescita dell’altro, vicendevolmente. Perché se il grande è rimasto un bambinone auto-viziato dalle comodità materiali di cui gode e dal carattere egoistico che lo ha limitato socialmente, il giovinetto è dovuto crescere in fretta per via di una mamma depressa e invadente che non si è mai adeguata a lui, attendendosi solo le risposte che pretendeva, comportandosi nei suoi confronti come una parassita senza mai rendersene conto.

Essendo un film in cui la felicissima sceneggiatura - scritta dai due fratelli registi assieme a Peter Hedges, poi divenuto anch’egli regista (suo è Ben Is Back con il figlio Lucas protagonista) - è essenzialmente fatta di dialoghi, i primi minuti sono quelli che chiariscono e danno una foto istantanea della situazione di partenza e del carattere di entrambi. Il primo ad autopresentarsi è Will: “Secondo me ogni uomo è un’isola e per di più questo è il momento giusto per esserlo. Questa è l’epoca delle isole. Cento anni fa era diverso: dovevi dipendere da altre persone, nessuno aveva la TV, i CD, i DVD o i video, una macchina per farsi il caffè espresso in casa. Per dire la verità non avevano niente per divertirsi. Oggi invece puoi crearti da solo una piccola isola paradiso. Con gli accessori giusti e, cosa ben più importante, l’atteggiamento giusto, puoi essere assolato, tropicale, una calamita per le giovani turiste svedesi. A me piace pensare che io potrei essere proprio quell’isola del genere, mi piace pensare di essere fico, mi piace pensare di essere… Ibiza.

Il secondo è Marcus: “Ci sono persone che nella vita si divertono, io cominciavo a rendermi conto di non essere uno di loro. Io non mi inserivo proprio. Io non mi ero inserito nella vecchia scuola e decisamente non mi inserivo nella nuova. Sapevo che dei ragazzini avevano genitori che gli insegnavano a casa, ma mia mamma non poteva, a meno che non l'avessi pagata perché eravamo soli, lei e io, e va a lavorare per prendere il 400 sterline a settimana. Dove avrei trovato tutti quei soldi? Se fossi stato come quell'attore bambino de ‘Il sesto senso’, Haley Joel Osment, avrei potuto darle tanto. Ma se significava recitare bene come non detto. Recitavo da schifo. Odiavo starmene impalato davanti alla gente, perciò ero costretto ad andare a scuola.”

Un incipit deprimente.

Non sarebbe azzardato scrivere che Hugh Grant è un attore unico, mai replicato, mai accostabile ad altri colleghi: quel modo di fare, l’atteggiamento, la maniera con cui i suoi personaggi si approcciano alle donne, il senso di indipendenza che emana, la disillusione perenne che si dipinge sul viso, il sorriso che pare dica “ma perché mi devi disturbare?”, lo hanno reso talmente particolare che più originale di così non si può. E tra i tanti personaggi che gli hanno cucito addosso, questo ruolo è forse il più preciso e fedele allo schema che si è costruito.

Il suo Will è soddisfatto della grigia e monotona vita che conduce, ritmata dalle “unità” con cui scandisce il ritmo quotidiano da dedicare al parrucchiere, al biliardo, all’acquisto dei CD, al bagno nella vasca, alla TV. Non vuole che nessuno lo disturbi o gli cambi il trantran scelto. È felicemente un single londinese ben vestito e di bell'aspetto, che campa di rendita con i diritti dell'unica canzone di successo che suo padre scrisse negli anni '50 (lo sdolcinato jingle natalizio "Santa's Super Sleigh", la superslitta di Babbo Natale, riecheggiante ogni anno all'approssimarsi delle feste), di vivere perfettamente una vita solitaria a parte le numerose e transitorie conquiste femminili, soprattutto senza nessun coinvolgimento. A rompere questo consolidato equilibrio sarà un ragazzino infelice e bullizzato (chi avrebbe immaginato, allora, il futuro artistico di Nicholas Hoult?) che si attacca a lui come l’unica ciambella per galleggiare nella sua ancora breve vita e se Will si illude tutte le volte che lo caccia via di essersene liberato, sbaglia regolarmente perché Marcus si ripresenta, testardo che non molla mai anche per via della fissa secondo cui riuscirà prima o poi a presentargli la mamma Fiona. Con la speranza che la depressione la abbandoni e che trovi una buona sistemazione, anche economica.

Nel film non c’è scena che si possa saltare, ogni sequenza è più divertente della precedente e la faccia di Hugh Grant è uno spettacolo continuo, il comune denominatore. Non impara mai dagli errori che commette regolarmente con le donne, possibilmente madri single, che quindi abbiano bisogno della compagnia maschile e di sesso dopo essere rimaste sole. Ogni volta deve inventarsi bugie che lo presentino ben intenzionato, salvo poi scappare dopo solo qualche appuntamento, bugie che poi non sa gestire, contraddicendosi clamorosamente. Il massimo della soddisfazione è quando riesce a farsi lasciare: minimo sforzo col massimo dei risultati. Così, cinicamente. Per fortuna non è insensibile, anche se gli piace considerarsi tale, e a Marcus ci si affeziona veramente e sarà lui a non saperne fare a meno, sino al punto di accettare di fare una pessima figura per lui nell’esibizione musicale della scuola. Paradossalmente è proprio in quella occasione che la sua ultima conquista, l’affascinante Rachel, che era già intenzionata a chiudere la relazione con un uomo così vuoto (definizione di entrambi durante la loro ultima e interrotta cena), viene conquistata dalla sua svolta istintivamente sincera.

Bravissimi tutti gli attori, a cominciare inevitabilmente da Hugh Grant, che giganteggia in un ruolo che pare rappresentare se stesso, e poi la re/de-pressa Toni Colette che stava cominciando a costruirsi una carriera di tutto rispetto, eclettica e simpatica, e la già allora bellissima Rachel Weisz il cui fascino illumina lo schermo. E per finire quell’imbranato ragazzino che Nicholas Hoult sa interpretare con tale abilità che non poteva non essere una sicura promessa ed oggi ce lo dimostra. Bravo bravissimo, spalla di Will che - grazie alla abilissima coppia Paul e Chris Weitz alla regia e la meravigliosa sceneggiatura tratta dall’effervescente best seller di Nick Hornby – si conquista con merito sul campo la medaglia di coprotagonista a pieno titolo. Il perfetto montaggio dà il giusto ritmo e incolla una dietro l’altra le sequenze dei pomeriggi passati dai due a guardare la TV più commerciale di quei tempi, sgranocchiando di tutto e parlando di argomenti futili e inutili, quasi appoggiandosi spalla a spalla non tanto fisicamente quanto psicologicamente, nel frattempo che uno si apre al prossimo (senza esagerare, eh!) e l’altro comincia a diventare ometto.

Film riuscitissimo, vivace, simpatico, a tratti politicamente scorretto, impudente, spiritoso, con ottima musica prettamente british, tra cui furoreggia la straziante e comica versione dei protagonisti di Killing Me Softly With His Song di Roberta Flack: la regia sapeva bene come far funzionare tutto questo e ne è scaturito un film delizioso.

Riconoscimenti

Premio Oscar 2003

Candidatura miglior sceneggiatura non originale

Golden Globe 2003

Candidatura miglior film commedia o musicale

Candidatura miglior attore in un film commedia o musicale Hugh Grant


 
 
 

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