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Air - La storia del grande salto (2023)

Aggiornamento: 23 gen 2024


Air - La storia del grande salto

(Air) USA 2023 biografico 1h51’


Regia: Ben Affleck

Sceneggiatura: Alex Convery

Fotografia: Robert Richardson

Montaggio: William Goldenberg

Scenografia: François Audouy

Costumi: Charlese Antoinette Jones


Matt Damon: Sonny Vaccaro

Ben Affleck: Phil Knight

Jason Bateman: Rob Strasser

Marlon Wayans: George Raveling

Chris Messina: David Falk

Chris Tucker: Howard White

Viola Davis: Deloris Jordan

Matthew Maher: Peter Moore

Julius Tennon: James R. Jordan Sr.

Gustaf Skarsgård: Horst Dassler

Barbara Sukowa: Kathy Dassler

Joel Gretsch: John O'Neil

Dan Bucatinsky: Richard

Tom Papa: Stu Inman


TRAMA: È la storia di come la Nike riuscì a convincere il giovane emergente cestista Michael Jordan a diventare il testimonial del marchio.


Voto 7

Siamo nel 1984 e la Nike non è ancora una società dominante nel campo delle calzature sportive, nettamente surclassata da ditte più affermate come la tedesca Adidas e l’americana Converse. Ha un buon mercato tra i runners ma non nello sport tanto amato dagli statunitensi, il basket. Anche il budget messo a disposizione per ingaggiare atleti da sponsorizzare non è altissimo e il fondatore e CEO della società, Phil Knight (Ben Affleck), deve tenere a bada le pressioni del consiglio di amministrazione che si aspetta una maggiore espansione delle attività commerciali. Tra gli uomini più in vista nella ditta c’è Sonny Vaccaro (Matt Damon), un esperto sportivo ma più che altro, fino ad allora, un talent scout della pallacanestro che ha il compito di trovare la soluzione a questo stallo. Essenzialmente deve ingaggiare almeno qualche buon giocatore di livello importante per entrare nel mercato cestistico e dare impulso alle vendite di una scarpa adatta al parquet del campionato NBA. In totale, la società ha messo a disposizione la somma di 250.000 dollari per ingaggiarne alcuni, scegliendoli tra la lista di nomi di qualità su cui scommettere.

Sonny ha puntato, tra lo scetticismo degli altri, su un giovane emergente che secondo lui diventerà sicuramente un campione assoluto, Michael Jordan, ma non è l’unico a pensarla così: la concorrenza, ad iniziare dalla Adidas, verso cui vanno le preferenze della famiglia Jordan, offrirebbe al giocatore addirittura la somma che per la Nike rappresenta l’intero budget messo a disposizione per tutti gli eventuali contratti nel ramo basket. Impensabile fare una proposta maggiore e per giunta indirizzarla tutta e soltanto verso un solo player, con il rischio connesso, ma Vaccaro è profondamente convinto che sarebbe l’opzione giusta non solo per ingaggiare un campione futuro ma anche per sfondare finalmente nel mercato del basket: significherebbe successo e affermazione definitiva in quel campo, dove i tedeschi e i connazionali della Converse la fanno da padroni. I rapporti tra l’incaricato e l’avvocato che tutela gli interessi della famiglia Jordan, David Falk (Chris Messina), non sono idilliaci: questi è un duro che mercanteggia per il suo protetto chiedendo sempre alti compensi e le loro telefonate finiscono sempre bruscamente. In più, la persona che rappresenta il vero ostacolo alla trattativa è rappresentata dalla mamma del giocatore, Deloris Jordan (Viola Davis), donna che crede fermamente nel futuro radioso del figlio e che difficilmente resisterà all’offerta della celebre società europea. In pratica, Sonny, che non vuole arrendersi alle difficoltà evidenti, si trova tra due fuochi, in una sorta di “terra di nessuno” tra le due trincee rappresentate dai dirigenti della Nike - in primis Phil Knight e poi il direttore del marketing Rob Strasser (il sempre simpaticissimo Jason Bateman) - che non vogliono rischiare l’intera somma su un solo giocatore, pur se promettente, e quella della signora Jordan, che ascolta le proposte di Sonny non molto convinta.

Determinante a questo punto il ruolo del sempre più convinto Vaccaro, il quale nell’incontro decisivo tra madre (sempre più importante nella veste di chi deciderà in maniera definitiva il futuro), padre e Michael Jordan con lo staff dirigenziale della Nike, sfodera, ispirato come non mai, un discorso un po’ retorico ma fortemente convincente sul valore dell’offerta che la società sta proponendo, spiegando quanto sia importante per loro il giovanotto che rappresenterà un sicuro investimento e quanto per il prossimo asso della pallacanestro americana, la più importante al mondo, valga l’occasione per lanciarsi definitivamente nello sport che ama. E non si tratta solo del compenso monetario: con l’aiuto di Peter Moore (Matthew Maher), che è il designer che disegna le scarpe per la Nike, ha ideato una calzatura appositamente progettata per Michael, il massimo che si possa concepire, che per giunta avrà un nome rivoluzionario e di sicuro successo: la “Air Jordan”! In un precedente colloquio a due, Deloris ha guardato negli occhi di Sonny, ha percepito la convinzione e la buona fede, l’entusiasmo autentico che lo anima, la sincerità delle sue parole e tutto ciò avrà un peso decisivo, ma l’affare si concluderà solo se la Nike accetterà la sua rivoluzionaria controproposta. La signora sta chiedendo non solo i 250.000 dollari ma anche una percentuale sulle future vendite commerciali della nuova scarpa. Una clausola mai prevista prima nel campo sportivo e che spaventa anche la società. Il contratto si farà e sarà l’affare che lancerà nel mercato globale il marchio, andando oltre ogni previsione, mentre Michael, come si sa, si affermerà come forse il più grande giocatore di basket della storia. Nasce così l’innovativa pratica dei diritti d’immagine, mai praticata prima, cambiando per sempre la storia dello sport, del marketing e dell'abbigliamento sportivo.

Non è ovviamente spoiler, è Storia e tutti la conosciamo. Eppure, la sceneggiatura dello sconosciuto Alex Convery, scritta sin dal 2021 e mai riuscita ad essere portata sullo schermo, rende la vicenda appassionante come se non si conoscesse l’esito finale. Non è un film del genere sportivo, come molti lo presentano, né tantomeno sulla iconica e mitica figura dell’atleta, che mai verrà inquadrato dal regista. È attinente al mondo dello sport ma non si assiste ad una sola partita (fatta eccezione ad alcuni frangenti registrati sulle cassette VHS che girano tra gli addetti), la macchina da presa non scende mai nei campi di gioco, invece l’opera del bravissimo Ben Affleck punta tutto e solo sul dramma della sopravvivenza del famoso marchio che in quegli anni non riusciva ad emergere neanche nel mercato nazionale se non, appunto, tra gli atleti e gli amanti della corsa, ed oggi rappresenta un nome pressoché insuperabile. Va però detto che se lo guardiamo come narrazione dell’affermazione e di arrampicata al successo planetario di una multinazionale ecco allora un altro contributo all’ennesima leggenda del capitalismo americano e dei suoi retorici eroi. Perché l’accento enfatico delle vicende umane e sportive nel cinema americano non manca mai, dai film più semplici a quelli più sponsorizzati dalle Majors. Qui la bandiera a stelle e strisce non si vede perché non c’entra nulla ma se fosse comparsa nessuno ci avrebbe fatto caso, tanto è normalmente diffusa e sventolata. Il ritmo del film non è altissimo ma ha una buonissima tenuta, adatta a tenere la giusta tensione continuamente, alzando l’asticella nei momenti apicali e cioè nel colloquio privato tra Sonny e la madre, molto umano, e quello della riunione in cui viene prospettata l’offerta ufficiale.

Che il buon Ben Affleck sia più bravo come regista che come attore è una considerazione che in tanti scrivono e dicono (a cominciare dallo scrivente) ma in alcuni casi, e questo lo è ancora, lui si ritaglia un ruolo congeniale e rende al massimo la sua prestazione, superato dal suo sodale amico e compagno di sempre, quel Matt Damon dall’eterna faccia da ragazzone americano che sta maturando vieppiù, sino a poter recitare bei personaggi come questo: bravissimo. Il film si appoggia quasi totalmente su Damon e lui risponde alla grande. Come d’altronde sa fare ogni volta la magnifica Viola Davis - attrice pretesa addirittura dallo stesso Michael Jordan in persona – che dà l’ennesima testimonianza della sua arte interpretativa. Bella anche la fotografia di Robert Richardson che richiama i bei colori delle pellicole anni ’80. Nel cast tecnico manca l’autore delle musiche per un semplice e meraviglioso motivo: è una costante e continua sequela di celebri brani della migliore musica americana di quei tempi. Si spazia dai Dire Straits a The Clash, e poi ZZ Top, The Alan Parsons Project, Cyndi Lauper, Violent Femmes, Tangerine Dream, George Clinton e via discorrendo, per finire trionfalmente con Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen. Roba da non stare fermi un secondo.

Un po’ drammatico e un po’ divertente, dialoghi veloci e fitti come nei film d’inchiesta americani, personaggi tutti realmente vissuti che hanno fatto la storia del basket e dell’industria di prodotti sportivi. Tutto vero!


Riconoscimenti

2024 - Golden Globe

Candidatura al miglior film commedia o musicale

Candidatura al miglior attore in un film commedia o musicale a Matt Damon


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