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Alpha. (2024)

Alpha.

Slovenia/Svizzera/Olanda 2024 dramma 1h40’

 

Regia: Jan-Willem van Ewijk

Sceneggiatura: Jan-Willem van Ewijk

Fotografia: Douwe Hennink

Montaggio: Sander Vos

Musiche: Ella van der Woude

Scenografia: Miha Knific

Costumi: Anne-Sophie Raemy

 

Reinout Scholten van Aschat: Rein

Gijs Scholten van Aschat: Gijs

Pia Amofa: Laura

Julien Genoud: Julien

Daria Fuchs: Anna

Pia Nikolić: Priska

Kaija Lederberger: pilota dell’elicottero

 

TRAMA: Rein, insegnante di snowboard che lavora sulle Alpi, riceve la visita del padre Gijs dai Paesi Bassi. I due si avventurano sulle montagne innevate dove si scontrano costantemente sia tra loro, sia con la natura impietosa che li circonda.

 

Voto 7



Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2024 – Giornate degli Autori

 

È scritto nella storia dell’Uomo che, una volta formatosi il carattere adulto, lo scontro tra il maschio padre e quello figlio arrivino prima o poi alle discussioni forti, a volte, a seconda l’atmosfera che regna in casa, acerrimo, fino allo scontro duro, alle mani, alla tenzone finale. Non è raro, succede, nonostante la buona volontà che li spingerebbe a venire a compromessi. Poi, a seconda dei caratteri, il rapporto si logora e degenera. La soluzione più frequente consiste nell’uscita di casa del figlio, che deve cercare, com’è giusto che sia, la sua strada, che in queste occasioni diventa urgente, salvifica per tutti. Anche Rein è andato via.



Dopo la morte della madre, momento che in questi casi diventa la giusta, anche se triste, occasione, Rein si trasferisce in un piccolo villaggio delle Alpi per immergersi nella natura, meditare e lavorare come maestro di snowboard. Di per sé è un tipo solitario, anche se è una persona socievole ma non troppo, tratta con garbo e la giusta quantità di affetto i suoi allievi, perlopiù giovanissimi, facendo amicizia con i genitori. È davvero bravo e vederlo scendere anche fuoripista sulla neve candida e fresca, con il pericolo di causare slavine, fa capire quale grado di abilità ed esperienza abbia raggiunto. Un gran maestro, non c’è dubbio.



La tranquillità, quella sua principalmente, termina invece quando l’invadente padre gli fa visita. Gijs è l’indiscusso protagonista sia a tavola con il figlio e la sua compagnia che per le escursioni sugli sci. Da buon affabulatore, sa essere affascinante con tutti e, inoltre, inizia a flirtare con Laura, quella che potrebbe essere, e forse lo è, la nuova fidanzata del giovanotto, fastidiosamente togliendo spazio al figlio che soprassiede per quieto vivere e pensando che tanto, prima o poi quell’uomo sparirà così com’è arrivato. Tant’è che non passa molto tempo prima che Rein ne abbia abbastanza e coglie l’occasione, durante una non facile escursione sulle altissime montagne e quando il resto della comitiva si divide e loro due decidono di affrontare il percorso più difficoltoso, per trascinare il padre lontano dal gruppo e i due proseguono la loro escursione da soli. È una sfida, fisica e personale. La tensione è palpabile. Gijs si sente sempre più a disagio su un terreno così ripido e pericoloso, ma l’altro, nonostante le suppliche del padre, lo costringe a salire fino alla cima. Improvvisamente, la natura si scatena violentemente, trasformando la loro meschina lotta per il potere, in una prova di sopravvivenza.



In questa grave difficoltà fisica e ambientale, mentre cercano in ogni caso di scendere faticosamente a valle, e mentre la giornata sta finendo e il tramonto si avvicina, aumentando le problematicità della situazione, si consuma lo scontro finale, la madre di tutte le discussioni, rivangando il passato, i rapporti con la madre, il momento in cui l’uomo scelse di andar via di casa quando la mamma stava morendo, i loro punti di vista diametralmente opposti, da sempre, il mancato accordo di una vita intera. Tutto viene vomitato, anche se distratti dal buio incombente e le difficoltà a proseguire la discesa. Fino a quando tutto precipita, quando Gijs si fa male, si rompe una gamba e proseguire in due diventa impossibile. Rein ora si rende conto del pericolo e che deve adoprarsi per la salvezza. Non vuol desistere, si fa in quattro per trascinarlo sulle spalle, per trovare un sistema per trasportarlo: il padre lo esorta a proseguire da solo e chiamare aiuto, dato che il telefono satellitare non ha segnale, anche se il figlio non vuole abbandonarlo lì. È notte oramai, converrebbe che il giovane scenda da solo e chiami i soccorsi, che torni con un elicottero.



Il film diretto da Jan-Willem van Ewijk emerge come un’opera cinematografica che esplora con intensità il rapporto tra uomo e natura, nonché le dinamiche complesse tra padre e figlio. La regia, caratterizzata da uno stile essenziale e scarno, si concentra sulla figura maschile e sui conflitti interni che scaturiscono nella lotta per affermare la propria identità. Attraverso la fotografia di Douwe Hennink, il film riesce a catturare la maestosità delle Alpi, trasformando il paesaggio in un personaggio potente che domina la scena e riflette la mutevolezza della mascolinità nella società contemporanea. La trama si snoda attorno a Rein, interpretato da Reinout Scholten van Aschat, che, dopo la morte della madre, ha cercato di ricostruire la sua vita lontano dal passato doloroso, vivendo in quel luogo e ricominciando la vita. Ma l’arrivo inaspettato del padre, interpretato da Gijs Scholten van Aschat, ha portato alla luce vecchi dissapori e sospetti, innescando una competizione che si sposta dal piano affettivo a quello fisico. La tensione raggiunge appunto il culmine durante quella escursione sulla neve e in altezza, che si trasforma in un confronto carico di ostilità, dove i protagonisti sono costretti a definire i loro ruoli e a confrontarsi con errori passati e presenti.



È ora che il film mostra il suo vero volto, per la capacità di indagare la psiche umana e di rappresentare la lotta per la sopravvivenza e il predominio, simboleggiata dalla figura del maschio “alpha”. E con il punto. Come per dire, una volta stabilita la classifica, che si chiude il discorso. La performance degli attori - che anche nella vita reale sono padre e figlio - aggiunge un ulteriore strato di autenticità e intensità al film, rendendo la loro interazione ancora più credibile e coinvolgente. Da parte sua, Van Ewijk, con questo suo terzo lungometraggio, dimostra una maturità registica che gli ha valso il riconoscimento del Label Europa Cinemas alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia.



Dice il regista: È un film sul carattere mutevole della mascolinità nella società contemporanea. Spoglia lentamente un padre e un figlio dei loro privilegi occidentali moderni, della tecnologia, dei rancori personali e del loro ego, lasciandoli nudi di fronte alla natura. Il film inizia nel caotico ambiente di una stazione sciistica, ma la storia culmina nelle silenziose, gelide e spietate distese di neve e nelle pareti rocciose delle Alpi. Inizialmente ripresi con inquadrature fisse, accompagnate da suoni meccanici e musica nevrotica, i due uomini avvertono un fastidio reciproco, oltre a essere a disagio con l’ambiente circostante. Man mano che il loro cammino procede verso la cima, però, le cose iniziano a fluire sempre di più: la macchina da presa si muove più liberamente e quei precedenti suoni cedono il posto alla musica delle montagne e al silenzio della natura.



Per questi motivi, importanti dal punto di vista sociale e umano, si può considerare il film come un thriller psicologico che si inasprisce dalla metà in poi e precipita, in ogni senso, nel finale drammatico. Facendo tornare in mente che non va mai dimenticato che la Natura è sempre la padrona assoluta della Terra e che due uomini, pur di forte carattere, sono piccoli insetti che la abitano e che alla fine è sempre Lei che decide e, nonostante che i due uomini stiano disputando una lotta importante per la loro esistenza e prevalenza, sono nulla in confronto ad Essa.

 

Buonissimo esempio di cinema psicologico in un mondo nordico e alpino.

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