Ancora un’estate
(L'été dernier) Francia/Norvegia 2023 dramma 1h44’
Regia: Catherine Breillat
Sceneggiatura: Catherine Breillat, Pascal Bonitzer
Fotografia: Jeanne Lapoirie
Montaggio: François Quiqueré
Scenografia: Sébastien Danos
Costumi: Khadija Zeggaï, Constance Allain
Léa Drucker: Anne
Samuel Kircher: Théo
Olivier Rabourdin: Pierre
Clotilde Courau: Mina
Serena Hu: Serena
Angela Chen: Angela
Nelia Da Costa: Amanda
Lila-Rose Gilberti: Sara Evrard
TRAMA: Anne, brillante e celebre avvocatessa, difende minori vittime di abusi e adolescenti in difficoltà. Vive in perfetta armonia con il marito Pierre e con le due figlie in una bellissima villa sulle colline di Parigi. Quando il diciassettenne Théo, figlio di Pierre nato da un precedente matrimonio, va a vivere con loro, gli equilibri familiari vengono sconvolti dall’irruzione di questo adolescente ribelle e contestatore.
Voto 7, 5
In pochi minuti iniziali, Catherine Breillat ci spiega con chiarezza e con brevi sequenze la vita della protagonista Anne (Léa Drucker), un’avvocata di successo e mamma di due bambine adottate, molto spesso con un calice di vino nelle varie occasioni, moglie felice di Pierre (Olivier Rabourdin), un professionista molto occupato ma tranquillo e amorevole. La sua occupazione legale principale riguarda le vittime di stupri e abusi, e gli adolescenti in genere. Tanto che i primi due casi che notiamo sono una condanna per abuso subito da una fanciulla ad opera di un branco di sette giovani e l’affidamento (questa piuttosto è quasi una sconfitta) di una ragazzina al padre dopo la morte della mamma. Caso, quest’ultimo, che troverà un drammatico seguito nel prosieguo della trama e che non apre, per fortuna, un capitolo a sé, essendo una vicenda alquanto terribile. Quindi, sappiamo presto che è una donna impegnata e specializzata su un argomento angosciante, di carattere, realizzata, ormai rassegnata a non poter aver figli.
Il marito è dolce e innamorato, professionista molto impegnato, che non fa mancare nulla alla famiglia, comprensivo, tanto da accettare, suo malgrado un finale tanto sorprendente quanto rappacificante. Il suo unico cruccio è la turbolenza adolescenziale del figlio Théo (Samuel Kircher), biondo riccioluto ribelle, scostante, maleducato, che si rifà vivo – chissà da dove –, che l’uomo ha avuto da una precedente relazione. La fotografia del giovane è offerta prontamente dalla regista sin dal primo contatto tra i due dopo la riapparizione, con la cacciata dalla scuola, il rifiuto di dialogo, l’assoluta indipendenza e l’ignorare totalmente la moglie del padre. Questo è il trio dei protagonisti su cui ruota l’intera vicenda familiare, in cui solo le due bimbe adottate, di chiara origine asiatica, sono le beniamine di tutti. Sin da subito si può dedurre anche che l’intesa sessuale tra i coniugi funzione bene.
Gli equilibri si rompono quando Théo ha la sfrontatezza giovanile di approcciare la matrigna con intenti poco goliardici ma piuttosto erotici, a cui la donna, comprensibilmente meravigliata, prima si oppone e poi, quasi come un gioco, accetta infilandosi in un tunnel in cui non si vede l’uscita. Fino a giungere a veri rapporti sessuali che Anne trova soddisfacenti, proprio lei che professionalmente combatte le molestie e le storture subite dalle giovani vittime che difende nei tribunali. Non è un thriller drammatico, non è questo che interessa a Catherine Breillat, regista che si è spesso occupata di argomenti di relazioni spinose e che, come ha più volte chiarito, non è attratta dall’erotismo: lei punta a trattare la complessità delle relazioni umane, cogliendone appieno l’ambiguità. Anzi, quello che più interessa alla cineasta francese non è tanto il racconto realistico del triangolo amoroso che si crea tra i tre, quanto l’indagine psicologica che attraversa queste persone, punta l’attenzione sulla forza e il mistero delle pulsioni umane, del desiderio e dell’amore, fino al senso di colpa e all’istinto di godere dell’attimo. Dove non c’è chiaramente futuro, se non lo scandalo e la perdita dello status quo raggiunto dopo tanti anni, di lavoro e affetto consolidato. Cosa vuol dire, ora nella mente dell’avvocata, il sesso con un minorenne seppure consenziente? È lecito? Ovviamente no! Lei sa benissimo che non può esserlo, ma lo sta giustificando – soprattutto a se stessa – perché non è stata lei la tentatrice, perché lo ha subito, e forse, in fondo, non vuole giudicarsi colpevole. I valori tradizionali borghesi, quali famiglia, tabù sessuali, senso del pudore, che fine stanno facendo nella sua mente? Eppure, come si nota, non è una donna frustrata, ma vede in questo rapporto anomalo un’esperienza di crescita per Théo (che ben si accorge che la situazione è andata oltre le sue aspettative e che si sta legando fortemente all’altra) mentre avverte un certo senso di ribellione e liberazione che tanto volte ognuno di noi tiene soppresso nell’intimo.
La regista ama avvicinarsi con l’obiettivo ai corpi ansimanti (anche nei rapporti sessuali tra i coniugi) e specialmente ai visi, specchi sempre dell’anima: la macchina da presa non esplora come amano fare tanti autori, ma dedica primissimi piani ai volti per scrutarne le pulsazioni e i respiri affannosi avvicinandosi all’orgasmo. Senza esagerazioni spettacolari, ma con la dolcezza di un amore consapevole e felice. Almeno del momento. L’abilità artistica quasi pittorica sa cogliere quei momenti che sono un misto di soddisfazione ma anche di vergogna che spesso la morale porta con sé. Questo era difficile mostrare ma la Breillat ci riesce con estrema delicatezza, senza moralismo retorico. Insomma, uno sguardo intelligente che si discosta dal consueto modo di inquadrare le storie dei triangoli o dei rapporti tossici familiari, cercando di entrare nel meccanismo del ragionamento della donna per capire se lo ritiene un incesto oppure no.
Come un’insegnante, Anne spiega al giovane (bello come un angiolo, una versione moderna del ragazzo più bello del mondo di viscontiana/veneziana memoria) come erano intesi l’amore ed il sesso nel ’68 e negli anni seguenti, liberi e gioiosi, festa finita di tronco con l’arrivo dell’AIDS, che mise fine alla rivoluzione sessuale. Non è un semplice passaggio del film, è una indicazione della mentalità con cui era cresciuta lei e che oggi forse rimpiange. Inevitabile osservare però come la donna ci offra le sue contraddizioni, tra ciò che la spinge nella sua professione e ciò che sta praticando nella sua vita privata e come abbia cambiato nel frattempo atteggiamento ed espressione. Qualcosa insomma è cambiato in lei, forse dovuto al fatto che si sente desiderata più del solito nella sua vita e lusingata dalle attenzioni di un giovane che neanche avrebbe dovuto guardarla così. Oltre, attenzione, ad un importante segreto che si trascina da tempo e che non vuole confessare a Théo nonostante le pressanti domande: sicuramente uno shock che l’avrà spinta a scegliere quella specializzazione nel lavoro. Ora, sta rispettando quei principi o sta finalmente realizzando se stessa soddisfacendo la sua vanità personale? Saranno gli ultimi bagliori della fuggita giovinezza. “Le vertigini non sono sintomo della paura di cadere, ma della paura dell’irresistibile tentazione della caduta.”
No, non ci sono risposte facili, bisogna trovarsi in quelle condizioni e se si osserva bene, il viso di Anne è cangiato nel corso dei fatti: prima serena e sorridente, ora perplessa e quasi imbruttita nel broncio celato dal sorriso acre e nervoso. Una donna indecisa, consapevole di non saper opporsi neanche nell’ultimo incontro notturno fuori di casa quando tutto oramai doveva essere concluso, con un abbraccio nella tana confortevole delle braccia del marito, che pronuncia una sola parola per mettere fine. “Pierre…” “Zitta”. È davvero un buon uomo che sta capendo e comprendendo, che non ha alcuna intenzione di mandare in rovina ciò che è stato costruito negli anni. Come dice un antico proverbio francese, Chacun voit midi à sa porte (Ognuno vede mezzogiorno alla sua porta): perché rovinare tutto se sparisce l’incomodo, si sarà detto l’uomo. E nel buio della stanza, mentre i due si coprono con le lenzuola scure, resta una stella che brilla nella notte in attesa dell’alba: la vera all’anulare della mano sinistra del marito, che luccica come una piccola stella polare. Che rimane lì, per diversi secondi sullo schermo nero.
Ultima considerazione, ma determinante: fra i tre, chi è il soggetto più debole? Non è lei, che si mostrava forte, spavaldamente a testa alta, determinata nelle convinzioni, che invece cede sotto l’impulso della gratificazione sessuale? Eppure, sembrava la più inattaccabile!
Eccellenti i tre attori: Léa Drucker è veramente brava a sviluppare le richieste precise della straordinaria Catherine Breillat (una regia da applausi), Olivier Rabourdin è il solito apprezzatissimo attore che conosciamo in tanti film, mentre la sorpresa viene dal bel Samuel Kircher, penso, dal futuro assicurato: un novello River Phoenix?
Non si ha il tempo materiale per intuire il finale che parte, prepotente, la voce di Léo Fèrré che canta Vingt ans (Vent’anni), i cui streganti e magnifici versi non sono solo le parole di una canzone, ma poesia pura, che val la pena riportare.
Abbiamo solo vent’anni
e l’esperienza dei nostri genitori
Non ce ne frega niente di niente
accogliamo la felicità sempre in ritardo
L’amore è sempre eterno
un’eternità che dura il tempo di un grido
di una permanente, di un paio di jeans
Il resto lo immaginiamo
abbiamo solo la nostra faccia
se è carina va tutto bene
se è brutta ci abituiamo
“non è poi così male” ci diciamo
E sfidiamo il destino a carte
proviamo di tutto
confessiamo l’amore
sia che siamo Bilancia o Leone
restiamo in equilibrio, siamo dei leoni
Abbiamo solo vent’anni
abbiamo riserve di primavera
che getteremo come briciole di pane
agli uccelli sul nostro cammino
Amiamo sempre fino alla morte
Spesso moriamo e poi usciamo
ci facciamo una sigaretta
prendiamo l’amore e poi lo gettiamo via
Abbiamo solo la nostra faccia
che a volte parla quando siamo soli
È quella che chiamano “voce interiore”
A volte fa un chiasso infernale
inutile girare la manopola di quella radio rotta
Facciamo l’esame di coscienza fino a tardi
se piangiamo diciamo che stiamo ridendo
Abbiamo solo vent’anni
e una rosa fra i denti
che vive il tempo di un sospiro
e ci pungerà prima di morire
Quando amiamo tutto o niente,
non è mai tutto, non è mai niente
Un niente che far risuonare la vita
come la sveglia sul comodino
Abbiamo solo la nostra faccia
davanti allo specchio quando siamo soli
che sia graziosa o deforme
con l’età va tutto in malora
Allora nascondiamo il problema
pensiamo che in amore l’età non conti
mentre cerchiamo il nostro cuore bambino
diciamo di avere ancora vent’anni.
Il film, remake del film danese Dronningen (2019), è stato presentato in concorso a Cannes 2023 e ha ottenuto buoni riconoscimenti:
2024 - Premio César
Candidatura per la miglior regista
Candidatura per la migliore attrice a Léa Drucker
Candidatura per la migliore promessa maschile a Samuel Kircher
Candidatura per il miglior adattamento
2024 - Premio Lumière
Candidatura per il miglior film
Candidatura per la miglior regista
Candidatura per la miglior attrice a Léa Drucker
Candidatura per il la migliore promessa maschile a Samuel Kircher
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