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Anna (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 19 mar 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 22 feb 2024


Anna

Francia/USA/Canada/Russia 2019 thriller 1h58’


Regia: Luc Besson

Sceneggiatura: Luc Besson

Fotografia: Thierry Arbogast

Montaggio: Julien Rey

Musiche: Éric Serra

Scenografia: Hugues Tissandier

Costumi: Olivier Bériot


Sasha Luss: Anna Poliatova

Luke Evans: Alex Tchenkov

Lera Abova: Maude

Cillian Murphy: Lenny Miller

Helen Mirren: Olga

Alison Wheeler: Dorothee

Ivan Franek: Mossan

Andrew Howard: Oleg


TRAMA: Dietro la sorprendente bellezza di Anna Poliatova si nasconde un'incredibile forza e sorprendenti abilità. Tali caratteristiche faranno di lei la più temuta killer governativa.


Voto 6,5

In principio era Nikita e Nikita da piccola forse si chiamava Mathilda. Dopo la parentesi della Leeloo de Il quinto elemento fu la Giovanna d’Arco. E poi ancora Angel-A (queste creature femminili-femministe sembrano davvero giungere tutte dal cielo!) per tornare a esseri superdotate (chimicamente o meno) con l’inarrestabile Lucy e nel 2019 al corpo, a metà strada tra la top model e la cyborg, chiamato Anna. L’unica parentesi di gentilezza etica è stata la Aung San Suu Kyi e la sua Myanmar oggi devastata ancora una volta dall’esercito. Luc Besson, scrivevo anni fa, se non sono super eroine, toste come una roccia, non le prende neanche in considerazione, non le sposerebbe mai. Nikita era bella, vero? e perché Giovanna d’Arco era da meno? e che possiamo dire di Lucy? Perdonatemi l’attimo di maschilismo, ma questa Sasha Luss ha una bellezza disarmante, fino al punto di causare cali di attenzione per ammirare una sembianza nordico-angelica che abbaglia. Con quel viso da russa di estremo oriente, con quei capelli candidamente cenere e con gli occhi dal colore del cielo siberiano, che il regista ha già sfruttato nel precedente Valerian e la città dei mille pianeti, la quasi trentenne attrice strega i maschi delle due superpotenze nel gioco spionistico della trama e lo spettatore seduto inebetito.

Chiusa questa chiosa estetica introduttiva, la prima riflessione è, appunto, sul protagonismo delle femmine fatali e aggressive (per difesa?) di Luc Besson. Anna Poliatova vive per le peggiori strade di Mosca, vendendo matrioske al mercatino, tra abusi narco-sessuali e prostituzione spicciola, quando viene avvicinata, adocchiata per le passerelle parigine. Ed è solo il primo scherzo narrativo che il regista ci piazza tra i tanti a cui bisogna abituarsi perché in realtà sta per essere ingaggiata dal KGB. Anna entra così in un giro talmente vorticoso che si fa fatica a starle dietro, tra missioni di prova e prove di missioni altamente difficoltose, una marea di uccisioni e combattimenti corpo a corpo che la fanno piroettare in mezzo a decine di robuste guardie del corpo ed agenti americani, per doversi poi proiettare in analoghi scenari a parti invertite, cioè uccidendo in altrettante quantità i russi che si frappongono sul suo tragitto.

Le armi (della narrativa, però) utilizzate da Luc Besson sono sostanzialmente tre.

In primis una discreta trama adeguatamente complessa come sempre accade con gli action movies di spionaggio: intrecci, inseguimenti, sparatorie, colpi di arti marziali (direi spesso letali), auto che si accappottano, stuntmen impiegati in acrobatiche cadute e salti nel vuoto e così via. Come da copione classico si fronteggiano CIA e KGB, con i rituali personaggi da letteratura. Da una parte un capo reparto degno della migliore tradizione americana: Cillian Murphy che interpreta il bell’agente che cerca di mantenere il contegno di efficiente decisionista e che facilmente perde la testa (come dargli torto?) per la bella Anna; dall’altra il bel tenebroso russo (Luke Evans) che cerca di resistere al fascino della donna essendo ligio e fedele fino in fondo alla Grande Madre Patria; il tocco in più, il che è una ottima idea, è la presenza della responsabile delle missioni russe della ragazza: Olga, con la più brutta Helen Mirren mai vista sullo schermo. Bassotta, portatrice di handicap fisico, vive respirando costantemente nicotina, severa e coriacea, con l’inevitabile invidia per il direttore da eliminare (questo sì, è un eccesso bessoniano).

La bellezza dell’attrice selezionata. Non è una novità cinematografica il fatto che le eroine d’avventura e in special modo nel mondo dello spionaggio siano tutte affascinanti, ma Besson ha sempre scelto con oculatezza, anche con il talento e la fortuna di adocchiare attrici ancora non conosciute, come è successo con l’indimenticabile francese Anne Parillaud, con la bellezza acerba ma promettente della israeliana Natalie Portman, con la fulgida ucraina Milla Jovovich, quella acclamata e curvosa americana di Scarlett Johansson, fino a giungere a questa abbagliante Sasha Luss, che di professione è realmente una supermodella. Viene più facile il gioco con una donna attraente, ma non sempre può riuscire se la tizia non è capace di recitare e rendersi credibile.

La malinconia di fondo che risalta stampata sul viso della protagonista, quella tristezza che traspare spesso ricorda la voglia di libertà che spinge l’eroina di turno a fare tutto ciò che le impongono con il patto segreto che dopo le sarà concesso di uscire dal giro frenetico dei servizi segreti per potersi concedere una vita finalmente ordinaria, senza il terrore di sentir squillare il telefono e ricevere ancora un ultimo ordine da eseguire, costantemente consistente nella eliminazione di una individuo. La libertà. Non necessariamente quella di andare in giro o di accoppiarsi con una donna o un uomo, ma quella che si prova solo quando non ci si sente obbligati a compiere gesti e continuare ad uccidere. Che è il vero incubo a cui non ci si abitua mai davvero, se si ha un minimo di coscienza di se stessi. È ciò che chiede continuamente Anna, così come faceva il suo modello di riferimento Nikita: entrambe così tristi che vederle piangere supplicando una pausa o la fine del servizio ferisce il cuore. Hanno tanto in comune le due killers di professione: la dote naturale a portare a termine in breve tempo la missione affidata, la precisione dell’esecuzione, il perenne anonimato (che invece chiedono per il dopo, quando vorranno essere lasciate in pace), l’assenza di una vita normale. Anna viaggia affettivamente tra una relazione omo con la bella Maude, ma fa la spola anche con il russo Alex Tchenkov e l’americano Lenny Miller e ciò serve a Luc Besson a colorire la trama come da schema classico. Da che mondo è mondo, nei racconti delle spie e dei servizi segreti ci si innamora e si va a letto, anche perché sono sempre tutti belli e belle. Anna – che è anche il titolo originale - è un palindromo e come esso è una dea bifronte che guarda entrambe le trincee, sia di sesso che di schieramenti.

Di Nikita, Anna ha molto, ha tanto, forse tutto, è la sua erede, la gemella più delle altre donne di Besson, maggiormente per la voglia su descritta di tornare a vivere come una ragazza comune. È quasi un rifacimento, vien da pensare. Il fatto curioso è piuttosto che, pur se i due film sono girati a distanza di 30 anni, sono ambientati grosso modo nello stesso periodo. In questo campeggiano maggiormente temi da Guerra Fredda, con computer e telefonini d’antan a cui non ci si fa subito caso, ma come sappiamo bene nell’operato dello spionaggio mondiale cambiano i mezzi e non i metodi. Quindi tutto si ripete e si perpetua. La vera differenziazione nello script dell’autore è altrove ed è notevole: è un racconto ad incastri, e non con il classico andirivieni, con l’inserimento di qualche flashback chiarificatore, no! È una narrazione ellittica che ci mostra una trama che inganna continuamente: ogni volta la didascalia ci porta a “3 anni dopo”, “3 mesi prima”, “3 giorni dopo” e via dicendo. E ogni volta serve a spiegare cosa è successo prima o dopo un avvenimento che pareva di secondaria importanza. È come quando stirando un panno ci si accorge di aver lasciato dietro il ferro una “falsa piega”, per cui, tornando indietro e riaprendo la piegatura, ci accorgiamo che dentro c’è dell’altro, per giunta importante. È come saltare avanti e indietro nella storia lasciando dei buchi che Besson ci rivela in un secondo momento. Un divertissement. Senza pausa, fino al finale ovviamente sorprendente, come giusto che sia.

Regia accorta, esperta, che sa quello che vuole, piaccia o non piaccia a chi guarda: è un buon intrattenimento, e ripensare a Nikita e fare paragoni non è un delitto, sicuramente lo sa anche Luc Besson, che ormai va con il pilota automatico, in mezzo alle sue belle donne, noncurante delle infamanti accuse di sexy assault and rape che gli stanno incrinando il mercato americano. Ma questa è un’altra storia. Lui è oramai specializzato in questo sottogenere di film e devo ammettere che non ci sorprende più di tanto: al livello dei suoi maggiori successi (Léon e Nikita) non ci arriva più.

Sasha Luss è per me una sorpresa, è indubbiamente un’attrattiva per il film ma questo non vuol dire che sia una vera interprete: è il suo momento apicale sullo schermo rimanendo però solo una top delle sfilate. Comunque se la cava egregiamente, perché di grinta ne ha da vendere! Luke Evans non agita più di tanto le acque, è naturalmente un po’ ingessato ma fa il suo dovere. Al contrario, ho trovato che Cillian Murphy abbia mostrato il giusto aplomb dell’agente, recitando con sicurezza e dando prova di essere ottimamente nel ruolo. Rimarchevole la sua sequenza con la killer chiusi nell’armadio, inquadrati di vicino, di profilo, a pochi centimetri l’uno dall’altra in un colloquio pieno di promesse che non saranno mai mantenute, entrambi consci di mentirsi spudoratamente. Helen Mirren? Stupefacente, una grande attrice, che nell’occasione fa a gara con la Tilda Swinton di Snowpierce.

Due orette di buon intrattenimento, godibile.



 
 
 

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