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Benny's Video (1992)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 6 mag 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Benny's Video

Austria/Svizzera 1992 dramma 1h50’


Regia: Michael Haneke

Sceneggiatura: Michael Haneke

Fotografia: Christian Berger

Montaggio: Marie Homolkova

Scenografia: Christoph Kanter

Costumi: Erika Navas


Arno Frisch: Benny

Angela Winkler: la madre

Ulrich Mühe: il padre

Ingrid Stassner: la ragazza

Stephanie Brehme: Eva

Stefan Polasek: Ricci


TRAMA: Benny invita un'amichetta a casa e guardando la televisione la ragazza chiede cosa sia quello strano oggetto di metallo. Benny le dice che è una pistola per abbattere i maiali e la uccide, mentre la sua videocamera riprende tutto. I genitori, a cena, lo rimproverano e passano ad altro.


Voto 8,5

La filmografia di Michael Haneke, iniziata alla fine degli anni ’80, ci ha narrato, a volte in maniera spietata, altre meno aggressiva, la sua visione sulla cattiveria umana che spesso sfocia nella pura violenza: il suo nome viene sempre abbinato a questi due termini e non si è mai discostato. Ne è sicuramente il massimo narratore. Sin dagli inizi. Vediamo per esempio questo film, che è il secondo, ma anche più noto e forse il più efficace, della trilogia che lui ha definito “del congelamento”. Quello degli affetti, delle emozioni e dei valori che secondo lui si è lentamente impossessato di due generazioni: quella immediatamente successiva alla Seconda guerra mondiale e i figli, in un omogeneo contesto culturale e storico che lo stesso autore chiama “l’area tedesca”. Un insieme di sentimenti che ha contaminato la classe borghese di quell’area come comprende la sua educazione austriaco-tedesca. Un senso di colpa e di insensibilità che in seguito, nel lavoro del regista, è sfociato nelle opere che hanno preminentemente parlato della cattiveria, del cinismo della violenza che si nascondono, ma sempre vigili, nell’intimo dell’uomo. Infatti, dopo la suddetta trilogia (completata da Il settimo continente e 71 frammenti di una cronologia del caso) egli è sfociato nel clamoroso e raggelante Funny Games del 1997, che ha replicato pari pari, sequenza dopo sequenza in maniera identica, nella versione americana (con il medesimo titolo, qui le mie riflessioni) esattamente 10 anni dopo, stavolta con interpreti e ambiente anglosassoni.

Critica e pubblico restarono impressionati soprattutto dalla violenza contenuta nella trama di quel film, dall’efferatezza dei gesti dei due indesiderati ospiti della villa nella duplice versione, anche se pochissimo mostrata e inquadrata dalla macchina da presa: il regista evita sempre di filmare le scene più efferate, sono quasi sempre fuori campo. Ma è facile fraintendere i suoi intendimenti quando vuole parlarci di questa brutalità e per questo diventa essenziale, ai fini di chiarimento, una sua intervista rilasciata proprio a cavallo di queste importanti opere. Alla domanda se la doppia versione del film sia un tentativo di deframmentazione della violenza, Haneke precisava che per lui è il ritratto della violenza come la vediamo nei media, nei film, è il tentativo di analisi con cui lavorare. Diceva: “Ho letto una serie di articoli, specialmente dopo ‘Benny’s Video’, riguardanti le azioni criminali commesse dai giovani che vengono da buone famiglie e queste azioni non possono essere chiarite da spiegazioni sociali. I ragazzi più o meno crescono in famiglie borghesi e commettono crimini non per vendetta o ricchezza ma semplicemente per avere il piacere di provare delle sensazioni. Ciò mi ha colpito fortemente ed è diventato l’impeto per questa storia. Ho voluto solo fare un film che mostrasse come la violenza è rappresentabile nel cinema. Questo è ciò che mi interessa.

Tornando a questo film, Benny è un quattordicenne appartenente ad una famiglia benestante e borghese. Figlio unico, è appassionato di film e video fino al punto da trascorrere tutto il tempo libero, una volta uscito da scuola, nella sua cameretta arredata prevalentemente da monitor e videocamere su cui, con le tende delle finestre tutte chiuse, non fa altro che guardare nastri e cassette specialmente amatoriali. Esce solo per recarsi alla videoteca dove noleggia continuamente film. Ciò che lo attira maggiormente è un breve filmato di famiglia in cui, nella fattoria di un conoscente, lui stesso ha ripreso l’uccisione di un maiale tramite la pistola ad aria compressa che spara proiettili. Ne è assillato e incantato. In quel filmato c’è tutta la sua passione, dalla tecnica amatoriale alla violenza cruda, dalla efficienza dello strumento alla assenza di sentimenti di pietà. Come dice appunto il regista nell’intervista, pur non dandolo a vedere (Benny è sempre inespressivo, insensibile agli avvenimenti esterni), egli è interessato considerandolo un esperimento da rifare, giusto per il gusto del piacere a ripetere, in altri modi, quell’azione.

Nulla trapela dalle sue immobili espressioni e sorprende non poco quando, agganciata una ragazzina della sua età nella videoteca, la invita a casa sua per mostrarle i suoi video e, a telecamera accesa, ripete la scena rurale: le mostra la pistola che aveva rubato in quella occasione, gliela punta contro il petto come un gioco e spara. Per ucciderla definitivamente la trascina fuori campo (ecco Haneke) e la finisce con altri due colpi, con estrema calma, andando avanti e dietro nella stanza per ricaricare l’arma impropria. E le copre con pudore le gambe scoperte con la gonna. E la nasconde nell’armadio. E riguarda con soddisfazione il filmato, perché ovviamente ha ripreso tutto, con la stessa soggettiva che Haneke offre a noi sullo schermo. La sua vita non muta di un millimetro, tornando a scuola e parlando gelidamente con i due genitori, come sempre.


Il padre è un ingegnere e la madre una negoziante: sono praticamente sempre assenti, ma soprattutto lo sono nella vita di Benny, freddamente inquadrati dal regista così come succederà negli anni a seguire con Il nastro bianco o Niente da nascondere. Se è sconcertante quello che si è visto finora, lo è ancora di più quello che succede in seguito, con i genitori che, una volta scoperto l’accaduto (impressionante la scena in cui anche loro guardano, senza alcuna reazione, il filmato), fanno il possibile per seppellire il fatto nella memoria e il cadavere, proteggendo il figlio con una vacanza in Egitto, come se nulla sia accaduto. Ecco quel legame complice e colpevole tra genitori e figli della succitata “area tedesca” che si ripresenta prepotente, che sterilizza i sentimenti e congela la mente in una passività inquietante. Difficile scegliere se spaventa di più la prima fase con l’assassinio, la seconda con l’inazione dei genitori o proprio la terza che conclude il film, allorquando Benny decide la svolta definitiva con una telefonata. Spiazzante e freddo, il film è inospitale, rifiuta l’accettazione delle regole sociali, illustra la solitudine dei personaggi e l’isolamento dal vivere comune, avanza lentamente come un coccodrillo che mangia ciò che trova e poi deve digerire aspettando il nulla.

Essenzialmente, è la rappresentazione di ciò che Michael Haneke svelava nell’intervista: come si può rappresentare la violenza al cinema, quel suo cinema che si sviluppa con sequenze denudate dalla musica che invece ogni regista aggiunge per conferire maggior enfasi: lui, invece, stimola l’occhio e l’anima dello spettatore con l’assoluta assenza dei suoni musicali dando così risalto alle immagini che, viste nell’assoluto silenzio, colpiscono più duramente, con la macchina da presa ferma, espressioni inesplicabili, dialoghi ridotti al minimo e recitati con l’anestesia da attori scelti con molta cura. Già allora, il cinema del maestro è spietatamente sincero e quello che spaventa non è la sua arte ma la rappresentazione del Male che legge negli esseri umani, la raffigurazione che ne fa tramite i suoi film. D’altronde, il grande Mark Twain diceva: “Tra tutti gli animali l'uomo è il più crudele. È l'unico a infliggere dolore per il piacere di farlo.”

L’adolescente spiazzante protagonista è Arno Frisch, che ritroveremo 5 anni più tardi nel Funny Games austriaco, ovviamente nei panni di uno dei due giovani che fanno irruzione, mentre il padre è interpretato dal povero e indimenticato Ulrich Mühe del film Premio Oscar Le vite degli altri.

Un film magistrale che, pur essendo solo il secondo della sua produzione, è già maturo, non pare affatto un quasi esordio, è un oggetto artistico di prim’ordine, la prova di un grande maestro che non avrà mai paura di mettere in nero su bianco il lato oscuro dell’uomo. Semplicemente era già un maestro, che purtroppo nella vita ha ricevuto meno riconoscimenti di quelli che meritava: ogni volta è stata una lezione di cinema.


 
 
 

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michemar

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