C’è ancora domani
Italia 2023 dramma 1h58’
Regia: Paola Cortellesi
Sceneggiatura: Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi
Fotografia: Davide Leone
Montaggio: Valentina Mariani
Musiche: Lele Marchitelli
Scenografia: Paola Comencini
Costumi: Alberto Moretti
Paola Cortellesi: Delia
Valerio Mastandrea: Ivano Santucci
Romana Maggiora Vergano: Marcella Santucci
Emanuela Fanelli: Marisa
Giorgio Colangeli: Ottorino Santucci
Vinicio Marchioni: Nino
Gabriele Paolocá: Peppe
Francesco Centorame: Giulio Moretti
Lele Vannoli: Alvaro
Paola Tiziana Cruciani: sora Franca
Yonv Joseph: William
TRAMA: Nel dopoguerra della seconda metà degli anni ’40, Delia è la moglie di Ivano, madre di tre figli. Essere moglie e madre sono i ruoli che la definiscono e con i quali si sente realizzata.
Voto 6,5
Nella breve sinossi vengono definiti i compiti della protagonista Delia e la locuzione utilizzata è senz’altro poco veritiera, in quanto non è che veramente la donna si senta soddisfatta e realizzata come se fosse il massimo da desiderare, piuttosto indicano i limiti ferrei e invalicabili alla sua sacrificata esistenza: non altro le è concesso se non badare alla casa, cucinare e dedicare la mattina a diverse piccole mansioni per racimolare quattro lire e aiutare così le scarse finanze familiari. Appena si permette di parlare o dire la sua sulle decisioni di casa, arriva un bel ceffone dal violento e indisponente marito Ivano, oltre agli insulti del suocero Ottorino, degno genitore ed istruttore di cattive maniere di suo figlio, un vecchio livoroso e dispotico, che la rimbrotta ogni volta (“stai zitta, devi imparare a tacere, sei ‘na brava figlia, ma c’hai ‘sto difetto che risponni, te devi sta’ zitta! A bocca chiusa!”). Teribbile, verrebbe da dire! È il mondo misero delle povere periferie romane sorvegliate ancora dalla Polizia Militare statunitense e la affollata piazzetta, su cui si affaccia lo stabile in cui abita la famiglia Santucci, in un seminterrato, è un piccolo mondo di vita che rispecchia il momento dell’Italia che cerca di risalire la china dopo le devastazioni della guerra terminata da poco.
Per togliere ogni dubbio sulla condizione della maggior parte delle donne in quel momento storico e in quei luoghi, ma specialmente sulla condizione dell’esistenza di questa donna in particolare, il film inizia con una sveglia mattutina che spiega tutto: alzata la testa dal cuscino, Ivano molla uno schiaffone alla moglie, a mo’ di buongiorno e per ristabilire l’ordine delle cose. Poi lei si dedica alla preparazione della colazione a base di latte anche per i tre figli, tra cui la giovane Marcella che lavora come stiratrice, ma in procinto di fidanzarsi con un ragazzo di famiglia borghese, proprietaria di un bar, quindi meglio messa a finanze; infine, tra un rimprovero e l’altro, l’uomo di casa va a lavorare e Delia fa il suo giro mattutino a passi lunghi tra qualche siringa a domicilio, riparazioni di indumenti da ritirare in una merceria e il lavoro di riparazione di ombrelli presso una bottega, dove – situazione inevitabile per i tempi (ed oggi non è ancora cambiato nulla) - riscuote una paga giornaliera inferiore anche al giovanotto neo assunto (“Ma quello è omo, no?” dice il padrone).
Il riassunto della situazione è quindi ben presto chiarito: le donne in genere, ma Delia soprattutto, come simbolo di tutte, sono considerate esseri inferiori, non devono mettere becco nelle decisioni che spettano solo agli uomini, non devono sbagliare mai, devono servire anche i malati degenti in casa, devono portare quanti più soldi possibili anche per i vizietti del marito. La riconoscenza è assente e ad ogni minimo accidenti scatta la punizione consistente in una gragnuola di botte: se brucia la cena, fa cadere un piatto o accetta la cioccolata dai soldati americani. Lei, sempre con la parannanza e la camicetta ricucita, sopporta tutto e fa buon viso a cattivo gioco per il bene della famiglia, sorridendo sempre, alle amiche sedute fuori e ai figli che non devono avere conseguenze, soprattutto la cara giovane Marcella, femmina adolescente da proteggere.
C’è un ras, un despota, un ducetto (dati i tempi appena trascorsi) in casa, una figura meschina dalle caratteristiche che derivano sia dalla mentalità arcaica e patriarcale predominante, sia dal pessimo carattere dell’uomo, per giunta allevato in quella maniera dal padre. Questa introduzione è presentata dalla Cortellesi regista prima che partano i titoli di testa per rendere leggibili lo stato di fatto e i soprusi che la protagonista subisce costantemente, come fosse una regola non scritta ma legittima, uno status quo non scalfibile e non trattabile. Solo quando lei attraversa le strade di Roma per recarsi nei posti dove svolge i lavoretti, mescolando come in tutto il film commenti musicali moderni e brani dell’epoca (particolare che non ho trovato funzionale), partono i crediti cinematografici, quindi quasi dopo una decina di minuti di visione. Così come vengono alternanti i tipi di musiche contrastanti, si affacciano sporadicamente anche momenti di sobrietà da commedia e fantastici, come istanti onirici: le percosse che diventano un balletto, un coro muto per inneggiare alla consapevolezza delle donne o qualche sprazzo di leggerezza, per rompere la ininterrotta sequela di maltrattamenti. Gli unici momenti che Delia riesce a godere con il sorriso (che quasi mai si spegne, per sua fortuna, essendo una donna dotata di grande resistenza mentale) sono quelli trascorsi con l’amica migliore, Marisa, la fruttivendola del mercatino, donna più felice, che sa confortarla ed esortarla a reagire, persino spingendola alla fuga con l’antico fidanzato Nino, che nel frattempo sta decidendo di cercar miglior fortuna nel settentrione, un meccanico squattrinato che le ha sempre voluto bene.
Quella rappresenta l’unica speranza per un futuro decente, oltre al conforto e all’offerta di aiuto ricevuta da un militare poliziotto americano, il “Willian” (così intende il nome) che ha notato i lividi che porta come medaglie della resistenza femminile, della rivoluzione che Delia non ha modo di attuare. Salvo il momento in cui decide di alzare la testa, quando purtroppo il destino amaro contrasta proprio nel momento topico. La via d’uscita, perciò, non esiste, neanche l’ingrato fato l’ha favorita: non resta che l’emancipazione collettiva, quella di tutte le donne italiane che, finalmente, hanno la possibilità civile e sociale di accedere per la prima volta al voto. Quella liberazione femminista che si realizza anche (ma chiaramente non basta per la dignità femminile) con la possibilità di scegliere, nel segreto dell’urna (dopo una misteriosa lettera, di cui si scoprirà solo alla fine il contenuto), la strada tra la vecchia monarchia e la moderna Repubblica, in un finale retorico e simbolico: una scalinata di donne fieramente recatesi in massa a votare. Liberazione è anche la scelta (metaforica?), una volta accortasi che anche Marcella sta andando incontro ad un matrimonio oppressivo, di salvare la figlia con una botta di tritolo, scena che sorprende non poco. Dico metaforica perché, se così non fosse, sarebbe esagerata per una donna sì resiliente ma non così cattiva e violenta. Oltretutto scena alquanto fantasiosa, non verosimile. Comunque per Delia necessaria per evitare che anche la figliola rimanga vittima del maschio.
Ho visto il film dopo il plebiscito di consensi e di elogi riscossi ovunque, dopo i clamorosi incassi verificatisi in tutte le sale italiane ed ora atteso all’estero, ma non sono riuscito a giustificare tali elogi smisurati. Il film è senz’altro buono, anzi buonissimo, ma oltre non ho il coraggio di andare. Non ho fatto salti di entusiasmo come leggo ovunque, non lo trovo irresistibile e arrivo perfino a dire che parlare di nuovo neorealismo mi sembra esagerato. A questo proposito, non mi pare che utilizzare il bianco e nero sia sufficiente per riferirsi a quel meraviglioso periodo artistico, non è sufficiente narrare le anguste situazioni femminili di quei tempi che, ahimè, non sono mai state debellate, né lo sbandamento postbellico della popolazione ridotta quasi alla fame, e neanche fotografare l’Italia che fu. Quella corrente cinematografica era ben altro. Nulla toglie, però, al buonissimo progetto della brava Paola Cortellesi, ideato, scritto con i fidati Furio Andreotti e Giulia Calenda, e diretto in modo apprezzabile pur senza acuti, e non trovo il miracolo enunciato da tanti critici di professione e dal pubblico acclamante. Fuori di dubbio che sia un esordio alla regia degno di nota, finanche coraggioso, perché non è un argomento facile e c’era sempre l’infausta possibilità di sbagliare approccio o narrazione. Ad ogni buon conto la Cortellesi se l’è cavata egregiamente ma senza guizzi che evidentemente ancora non può possedere.
Doveva sviluppare un film più coerente? Forse. I cambi di registro improvvisi non credo abbiano fatto bene al film e gli inserti leggeri rompono il filo conduttore e inducono a chiedersi a quale scopo mirano, perché o fai un film tutto drammatico (a questo proposito è rilevante come abbia volutamente evitato di mostrare le scene violente chiudendo sempre le porte della stanza in cui avvengono) o usi tutta la tua dote di ironia puntando su un film che non sia un dramma ma che distrugga il maschilismo ed il machismo, il patriarcato e la supremazia virile, con la satira brillante e intelligente che ti porti a riflettere sul ruolo della Donna nella storia della società civile. Come attrice, Paola Cortellesi si è distinta sempre per la duttilità e qui veste i panni della sua Delia con la riconosciuta valenza, sempre con quel mezzo sorriso melanconico stampato sul viso; mentre chiunque avrebbe avuto difficoltà ad interpretare con nonchalance il ruolo di Ivano, personaggio così sporco e odioso da risultare scomodo e poco attrattivo. Valerio Mastandrea non ha nascosto di aver faticato ad accettare questo personaggio e forse non gli è stato neanche tanto congeniale. Chissà, se la regista fosse uscita dalla sua cerchia di attori amici forse avrebbe trovato un interprete più adatto, più predisposto a farsi detestare meglio dell’incerto Mastandrea. Gli altri sono giudicabili adatti, tutti romani/eschi, tutti idonei a crogiolarsi nei personaggi popolani.
Adesso viene il difficile: dopo l’esordio, la Cortellesi regista sarà attesa alla nuova prova, che sarà il vero stress test, purché non si tuffi nella solita commediaccia all’italiana, dove lei è brava ma che si fa dimenticare presto. L’importante è che lei abbia rilanciato l’allarme sulla questione del pianeta Donna.
In ogni caso buon film, certamente non memorabile ma importante per il tema e per il debutto registico. E con il dubbio che sia anche po’ furbo, non vorrei dire ruffiano ma quasi: su questo argomento (importantissimo, di civiltà, di umanità, che chiede purtroppo ancora molto lavoro nella società) è facile costruire operazioni che riescono a ingraziarsi facilmente il pubblico e a stimolare reazioni emotive. Però, obiettivamente esistono ben altri film che trattano l’argomento in maniera approfondita ed efficace e soprattutto incisiva. Più cattivi, insomma.
La sufficienza piena è senz’altro meritata ma non è il caso di gridare al miracolo, se non per il fatto che perlomeno è appena cresciuto l’elenco delle regie femminili italiane (sempre troppo poche) ma da qui a Kathryn Bigelow, Julia Ducournau, Sofia Coppola, Céline Sciamma, Ava DuVernay o Justine Triet, ce ne corre!
Comunque, benvenuta Paola!
Riconoscimenti
2024 - David di Donatello
Miglior regista esordiente
Miglior sceneggiatura originale
Miglior attrice protagonista a Paola Cortellesi
Miglior attrice non protagonista a Emanuela Fanelli
David dello spettatore
David Giovani
Candidatura miglior film
Candidatura miglior attore protagonista a Valerio Mastandrea
Candidatura miglior attrice non protagonista a Romana Maggiora Vergano
Candidatura miglior attore non protagonista a Giorgio Colangeli
Candidatura miglior attore non protagonista a Vinicio Marchioni
Candidatura miglior produttore
Candidatura miglior autore della fotografia
Candidatura miglior compositore
Candidatura miglior scenografia
Candidatura migliori costumi
Candidatura miglior trucco
Candidatura miglior acconciatura
Candidatura miglior montaggio
Candidatura miglior suono
2023 – Festa del Cinema di Roma
Premio Concorso Progressive Cinema – Premio speciale della Giuria
Premio Miglior Opera Prima BNL BNP Paribas – Menzione speciale
Premio del pubblico
2023 – Ciak d’oro
Candidatura al miglior attore protagonista a Valerio Mastandrea
Candidatura alla rivelazione dell’anno a Romana Maggiora Vergano
Candidatura alla migliore locandina
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