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Cogan - Killing Them Softly (2012)


Cogan - Killing Them Softly

(Killing Them Softly) USA 2012 noir 1h37'


Regia: Andrew Dominik

Soggetto: George V. Higgins (Cogan's Trade)

Sceneggiatura: Andrew Dominik

Fotografia: Greig Fraser

Montaggio: John Paul Horstmann, Brian A. Kates

Musiche: Marc Streitenfeld

Scenografia: Patricia Norris

Costumi: Patricia Norris


Brad Pitt: Jackie Cogan

Richard Jenkins: avvocato

James Gandolfini: Mickey

Ray Liotta: Markie Trattman

Scoot McNairy: Frankie

Ben Mendelsohn: Russell

Sam Shepard: Dillon

Vincent Curatola: Johnny Amato


TRAMA: Jackie Cogan, malvivente professionista dallo sguardo di ghiaccio e dai modi rudi e violenti, è assoldato dalla mafia per indagare su una rapina messa in atto durante una segreta partita di poker, organizzata dal viscido Markie Trattman, a cui hanno partecipato solo i nomi più importanti della malavita. Il suo compito sarà quello di ritrovare gli autori del furto e restituire il denaro all’associazione criminale ma per portarlo a termine dovrà lasciarsi dietro una lunga scia di sangue.


Voto 8


Alla base dell'adattamento, al di là dello spostamento in Lousiana rispetto al romanzo di George V. Higgins nei giorni in cui Bush sta per lasciare il posto a Barak Obama, c'è un'idea di attualità. Son passati solo pochissimi anni da quella esplosione della bolla finanziaria che dall’America si è propagata in tutto il mondo, dando via a una crisi economica sistemica che non ha mai smesso di influenzare tutti i mercati finanziari e le economie di tutti gli stati, nessuno escluso. Qualcuno (vedi Cina) ne ha approfittato per prendersi fette enormi di commercio, qualcuno (i Paesi più poveri) è rimasto più malmesso di prima, qualche altro (vedi Italia) non si è mai rialzato del tutto. Ma non si parla mai degli affari commerciali e di altra natura che alimentano il sottobosco, quel mondo invisibile ma ben presente che è abitato dalla criminalità, meglio se quella organizzata e organicamente diffusa in vasti territori. E che comprende anche quella mafiosa.


È necessario immaginare, perché così lo è in realtà, che la cupola è un vero e proprio sistema assimilabile a quello bancario, con bilanci molto privati che controllano l’andamento degli affari. E come ogni buon sistema finanziario, prevede debiti e crediti, interessi da pagare, costi da sostenere per il perfetto funzionamento della macchina delinquenziale. Se nel sistema lecito sentiamo spesso il termine esternalizzazione, persino le organizzazioni criminali a volte devono affidarsi a qualche uomo esperto che è al di fuori del sistema a cui devono dare un compito ben preciso per non dover impegnarsi in prima persona. Un esempio è addirittura quello di assoldare un killer per un compito delicato che necessita di uno specialista che non sbagli nulla, che lo svolga senza commettere errori. E ciò comporta ovviamente un costo. Il prezzo? Continuando il parallelismo con l’economia legale, esso si alza in base alle garanzie offerte dal soggetto e si abbassa quando non c'è denaro in giro, proprio come ogni altro commercio, come capita ogni giorno anche al mercato rionale.


Jackie Cogan è uno di questi killer, uomo perfetto per i compiti “delicati” da portare a termine con pulizia e precisione, una persona affidabilissima nel suo campo. Tanto da essere di conseguenza costoso. Non è proprio il tipo silenzioso come spesso accade nella letteratura cinematografica: a volte preferisce agire veloce e silente, ma quando c’è da difendere i propri interessi con chi lo deve pagare lo vediamo sciorinare argomenti filosofici sull’attualità e sul momento sociopolitico. Da non credere, per un delinquente che ama agire e poi sparire nell’anonimato. Cogan ha un suo stile, entra in scena solo quando è sollecitato, esegue, dà l’idea di chi non sbaglia mai. Ma il lato affascinante dei noir è che non si sa mai da dove possa arrivare e dove si possa nascondere il granello di sabbia che fa inceppare un meccanismo che sembra oliato e funzionante. L’imprevisto è quello che interviene a sconvolgere il piano che sembra facile. Nel cinema del noir c’è sempre. Può essere il caso, l’infortunio, un animale, un temporale. A volte è la scelta sbagliata del collaboratore, del piccolo criminale da strapazzo che serve come fiancheggiatore. Se il killer se ne accorge in ritardo, la miglior soluzione è la pulizia delle tracce e dei soggetti che lo hanno aiutato. Cogan sa bene come risistemare le cose appena finito il lavoro. Di delinquenti di mezza tacca ne è pieno il genere, ne abbiamo visti di grassi che compiono errori per leggerezze alimentari, uomini solitari con manie sessuali, sicari in profonda crisi esistenziale: Cogan è di un’altra consistenza, freddo calcolatore, cinico osservatore della situazione e il monologo che tira fuori seduto al bar con l’avvocato, emissario dell’organizzazione che lo ha assoldato che cerca di spiegargli le difficoltà che anche loro stanno attraversando, è da antologia.


"Ma non farmi ridere! Siamo un solo popolo, un mito creato da Jefferson. Amico mio, Jefferson è un santo americano, perché ha scritto le parole: ‘Tutti gli uomini sono creati uguali’, cosa in cui evidentemente non credeva, visto che faceva vivere i suoi figli in schiavitù. Era un ricco enologo stufo di pagare agli inglesi troppe tasse e così scrisse belle parole alla plebaglia che andò a morire per quelle belle parole, mentre lui rimaneva a casa a bere il suo vino e a scoparsi la sua schiava. E quello (nota: si riferisce all’allora sen. Obama che sta parlando in TV) viene a dirmi che viviamo in una comunità. Ma non farmi ridere! Io vivo in America e in America tu sei solo! L'America non è una nazione, è soltanto affari. E adesso, pagami!"



Andrew Dominik, che ben 5 anni prima aveva girato con lo stesso attore protagonista il meraviglioso e dimenticato L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, compie un’operazione straordinaria sotto il profilo artistico: scarnifica i personaggi, li riempie di ideali terreni, li spinge ad agire per bisogni animaleschi, li disperde in vaniloqui, li utilizza volutamente come stereotipi per poi svuotarli. Dall’avvocato timido come solo Richard Jenkins sa fare, al boss dei boss che abita nella corpulenza di James Gandolfini, dal criminale emarginato che si crede furbo come una volpe di Ray Liotta (che rifà il se stesso dei bravi ragazzi di Scorsese) ma è un fallito totale ai due teppistelli inaffidabili e tossicodipendenti (Scoot McNairy e Ben Mendelsohn: erano ancora attori semisconosciuti). Un campionario completo nel buio umido della fotografia che incupisce tutta la perfetta ambientazione scelta da questo valente ma invisibile autore. È un noir che lascia il segno, un film duro e violento e nello stesso tempo quietamente lineare e logico, come un discorso sociale ineccepibile che possiamo ascoltare in un locale pubblico, ma che non disarma più di tanto. Perché poi, mica la criminalità è nata per femminucce!


Nell’ambito di questo film che ritengo memorabile, un discorso a parte è doveroso farlo per l’attore protagonista, Brad Pitt. Viene sempre poco elogiato quando riesce a trovare il ruolo giusto e a dare quindi il meglio di sé. Evidentemente è proprio Andrew Dominik che ha capito dal primo momento le sue doti e i personaggi adatti per lui. Come è successo nel film di Jesse James su citato, l’attore è a dir poco strepitoso, il miglior Brad Pitt che io abbia mai visto: sarà per come ha saputo interpretare Cogan, sarà come lo ha fatto pettinare e vestire il regista, sarà la perfetta gestualità che ha saputo utilizzare, sarà un po’ tutto questo ma si resta rapiti dalle sue movenze, a cui la sceneggiatura ha potuto dare maggiore risalto.


Al termine della visione si prova uno strano effetto, si ha la vaga sensazione di aver assistito non al solito noir ma al suo tramonto. È la malinconia che lo attraversa, che lo permea fino a decolorarlo, fino indurci a provare empatia verso un criminale, come fosse un piccolo e sconosciuto eroe. È uno dei tanti motivi per cui questo film si fa amare.



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