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Con la grazia di un Dio (2023)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 13 feb
  • Tempo di lettura: 5 min

Con la grazia di un Dio

Italia 2023 dramma 1h14’

 

Regia: Alessandro Roja

Sceneggiatura: Alessandro Roja, Ivano Fachin

Fotografia: Massimiliano Kuveiller

Montaggio: Marco Spoletini

Musiche: Lyra Pramuk

Scenografia: Gaia Moltedo

Costumi: Silvia Segoloni

 

Tommaso Ragno: Luca

Maya Sansa: Claudia

Sergio Romano: Maurizio

Ahmed Hafiene: Adel

Roberta Mattei. Giulia

Aldo Ottobrino: Massimo Russo

Mathe Kabe: Luca da giovane

 

TRAMA: Dopo venticinque anni, Luca torna a Genova per partecipare al funerale del suo migliore amico d’infanzia. Luca ritrova i suoi compagni di un tempo: tutti credono che la morte sia dovuta ad una vita di eccessi, tranne lui, che comincia ad indagare.

 

VOTO 6


Bisogna avere intuito, figuriamoci per un esordio, per capire quale città sia l’ideale per sviluppare una storia, per giunta noir e cupa. Bisogna avere una buona dose di intuito per azzeccare la location adatta come ha fatto Alessandro Roja, che fino a questo punto era conosciuto per le tante partecipazioni a commedie italiane di questi anni (Song’e Napule, Restiamo amici, Diabolik, solo per fare qualche titolo). Romano, simpatico, di bell’aspetto, tipico attore per le nostre commedie alcune delle quali hanno avuto anche un successo oltre le speranze. Vederlo all’opera per un noir come questo fa impressione e rivela che probabilmente era un soggetto che covava da tempo e che era giunto il momento e di sicuro si può affermare che ha azzeccato più di un particolare.



La città è Genova, nei suoi mitici carrugi notturni e bui, con scritte con cui si inneggia ai rischi che si corrono (“Amo i vicoli e i suoi pericoli”) che il protagonista percorre con padronanza e con intenti segreti. Lui è Luca (Tommaso Ragno), che torna a Genova dopo tanti anni per il funerale del suo migliore amico lasciato da più di un ventennio. Lo aspettano Claudia (Maya Sansa), Adel (Ahmed Hafiene) e soprattutto Maurizio (Sergio Romano) che lo ha avvisato, mentre i ricordi lentamente riaffiorano. Il gruppo, da ragazzi, ha vissuto la città tra luci, avventure lisergiche e ombre, dettate da una insanabile voglia di vivere ma anche di morte e gioia, una vita vissuta con la velocità delle avventure e delle corse in motocicletta, vera passione che aveva unito Luca all’amico morto. La causa del decesso improvviso pare sia stata un’overdose ma l’uomo, nei suoi pensieri ossessivi, si convince quasi immediatamente che la morte sia stata violenta o perlomeno causata da qualcuno. Chissà quale sgarbo o fastidio avrà commesso.



Appena gli amici si accorgono dei dubbi, lo invitano prima con gentilezza poi con maggiore insistenza, per lui sospetta, a cambiare idea e a tornare da dove è venuto. Lui ora, come dice, ha solo cambiato mare, abbandonando la Liguria per andare a fare il ristoratore sulle coste della Calabria. Difatti la prima sequenza, certamente simbolica, è lo sventramento di un bell’esemplare di pesce spada per eviscerarlo e presentare le ricette ai suoi clienti. Ma parallelamente a quel gesto culinario, Luca vuole aprire e scoprire cosa ci sia in realtà dentro la morte dell’amico per la pelle, con cui aveva condiviso tutto. Giorni e sensazioni. Tempo e passioni. Per questo, in segreto e come un ladro, conoscendo dove normalmente nascondeva le chiavi di casa (nell’amata moto) riesce ad entrare nel suo appartamento alla ricerca di elementi che confortino la sua tesi. Ovvio che, così facendo e prolungando la sua permanenza in città, faccia aumentare i sospetti del litigioso e nervoso Maurizio, il quale a più riprese lo rimbrotta e quasi lo minaccia affinché se ne torni a casa e lasci perdere questa specie di indagine personale. Pare proprio che Luca stia rischiando grosso, specialmente quando viene in collisione con Massimo Russo, il piccolo criminale della zona, un magnaccia e trafficante di droga che sicuramente sa molto sull’improvvisa morte.



Se sta facendo tanto agitare il giro delle conoscenze vuol dire che, come una mosca, sta volando molto vicino alla verità e sta disturbando uno status quo che andrebbe lasciato in pace. Esattamente il contrario delle sue intenzioni. Dimostrazione ne è quando, dopo il colloquio non semplice con il protettore, viene avvicinato da due tipi loschi armati di bastoni, disavventura da cui ne esce ferito ma unico in piedi. Solo quando avrà compiuto ciò che lui ritiene giustizia, ne rimane soddisfatto e può ritornare a ripulire il pesce spada. Inizio e fine del film.



La sorprendente opera d’esordio di Alessandro Roja è tale anche perché, vivaddio, c’è qualcuno che prova a immaginarsi autore di noir, genere così poco praticato da noi che questa è già di per sé una novità a cui dare il benvenuto. A maggior ragione pensando che non è facile realizzarlo prima di tutto perché necessita di un buon soggetto e poi di una buona sceneggiatura, oltre alla citata location che Genova ha saputo offrire con i suoi vicoli. Il regista adotta uno stile adatto, inquadrature soprattutto di piani primi e medi in modo da studiare e illustrare da vicino i personaggi, a cominciare dal protagonista Tommaso Ragno, divenuto uno degli attori più presenti sui set italiani di questi ultimi anni, come se nessun film possa vedere il primo ciak senza la sua presenza. Solo dall’inizio degli anni Venti di questo secolo ha girato ben 17 film!



Ebbene, Luca gli va a pennello e lui sa bene come contraccambiare tale fiducia con una prova maiuscola, a cui danno una mano il tenebroso Sergio Romano e la più dark Maya Sansa mai immaginata. Si rivede anche il buon Ahmed Hafiene (chi lo ricorda nel bellissimo La giusta distanza, 2007, di Carlo Mazzacurati?). Il regista non lascia un secondo il protagonista e tutto il film ruota attorno a lui, non facendo abbandonare mai il senso di cupezza che Luca si porta addosso e che domina continuamente. L’atto finale, che chiude come una amarissima parentesi la trasferta genovese, è la degna conclusione di tutto ciò che andava maturando in quei pochi giorni. Lui avrebbe dovuto mollare subito, ma la maniera con cui conclude la storia gli stava oramai maturando. Una volta soddisfatto, torna alla sua cucina, dove sa bene come usare il coltello.



La necessità della grazia e dell’assistenza del Dio superiore, uno qualsiasi, riflette il tema centrale che ruota attorno alla ricerca di verità e quindi della redenzione del protagonista stesso, come una definitiva liberazione. Da qui il senso di un intervento divino, in modo da risolvere le vicende dei personaggi. Questo elemento di spiritualità e introspezione è centrale nella narrazione, poiché se Luca cerca disperatamente di comprendere le circostanze della morte del suo amico lo fa principalmente al fine di trovare pace con il proprio passato, di sanare una gioventù che aveva solo messo da parte: ora, con gli ultimi fendenti, l’ha chiuso.



Che l’operazione cinematografica - scritta dal regista e da Ivano Fachin in maniera essenziale ed efficace - sia riuscita pienamente non si può dire al cento per cento: di positivo c’è un coraggioso tentativo in un genere non facile, di negativo quello velleitario di cercare una via autoriale, troppo acerba per un esordiente: simbolismi, cose non dette, silenzi, allusioni, minacce chiare e non, reticenze, tutto materiale che contribuisce a creare il giusto climax ma che mi lascia qualche volta perplesso (cosa rappresenta il morso al bicchiere?). In compenso si può però confidare in un neoregista che potrà darci ancora qualcosa di nuovo come idee e come sguardo sul cinema italiano.

Presentato alle Giornate degli Autori a Venezia 2023.



 
 
 

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