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Corpo e anima (2017)

Aggiornamento: 10 nov 2023


Corpo e anima

(Teströl és lélekröl) Ungheria 2017 dramma 1h56’


Regia: Ildikó Enyedi

Sceneggiatura: Ildikó Enyedi

Fotografia: Máté Herbai

Montaggio: Károly Szalai

Musiche: Ádám Balázs

Scenografia: Imola Láng

Costumi: Judit Sinkovics


Géza Morcsányi: Endre

Alexandra Borbély: Mária

Zoltán Schneider: Jenő

Ervin Nagy: Sanyi

Tamás Jordán: psicologo di Mária

Zsuzsa Járó: Zsuzsa

Réka Tenki: Klára

Júlia Nyakó: Rózsi

Itala Békés: Zsóka


TRAMA: Maria inizia a lavorare in un macello di Budapest come supervisore ma ben presto cominciano a susseguirsi i pettegolezzi sul suo conto. A pranzo sceglie sempre di stare seduta da sola ed è ligia al suo dovere, attenendosi strettamente alle regole. Il suo mondo è fatto di figure e dati impressi nella sua memoria fin dalla prima infanzia. Endre, il suo capo, è un tipo tranquillo. I due lentamente iniziano a conoscersi. Veri spiriti affini, si stupiscono di fare anche gli stessi sogni di notte. Con cautela, tenteranno di far divenire i sogni realtà.


Voto 7,5

Il cuore, fiamma vacillante,

il cuore, catturato in spesse nubi di neve,

eppure, all'interno, dei fiocchi si consumano nel loro volo,

come le fiamme eterne delle luci dell'alba della città.

(Ágnes Nemes Nagy, poeta, scrittrice, educatrice e traduttrice ungherese)

Nel mattatoio l’iter lavorativo è ripetitivamente noioso e forzatamente insensibile agli occhi mansueti dei bovini che vengono macellati in serie: ogni animale arriva tranquillo, pensando di muoversi su comando come gli succede tutti i giorni ed invece vengono immobilizzati in una sorta di stretta gabbia in cui (per pietà visiva la regista Ildikó Enyedi sceglie opportunamente di non mostrarlo) si ode un colpo secco e subito dopo, scaricato inerte, viene appeso ai ganci d’acciaio e lì inizia un sezionamento meccanico e manuale. Ossa che vengono tranciate dalle lame potenti azionate dagli operai, decapitazione mediante un coltellaccio affilato e sangue che sgorga abbondante sul pavimento. Qualcuno provvede poi a far defluire il liquido plasmatico rosso cremisi scuro verso lo scolatoio. Ma le tracce del sangue rimangono evidenti, anche dopo lo spruzzo d’acqua. Il rosso sangue unisce la sequenza iniziale e la tragica decisione di Mária quando intuisce che la sua vita vuota lo rimarrà ancora: lo era da sempre ma il rifiuto di Endre le sembra una sentenza definitiva. Dal collo del manzo il sangue zampilla abbondantemente, dalla vena del polso di Mária fuoriesce un fiotto ad ogni battito del cuore. Il corpo della protagonista è giovane e non colto, non frequentato da alcun uomo: è ancora giovane, bella, con una sensualità nascosta, soprattutto non avvertita neanche da se stessa. È un corpo abitato da un’anima fredda. Mária è glaciale, insensibile, non mostra segni di reazioni a ciò che vede e ascolta, eterea, bionda, pelle chiara, capelli pettinati in modo semplice, ordinatissima, scostante e vive sola. È una donna fuori posto, non solo in quello di lavoro ma direi in qualsiasi posto. Nel mattatoio è appena arrivata addetta al controllo di qualità ed è severissima: tutti i tagli di carne li cataloga al secondo livello, perché la massa non è magra come previsto dalla rigida regolamentazione, ha 2 o 3 millimetri di troppo. Controllati ad occhio. Credo che la sua anima sia altrove.

Endre è un uomo non più giovane, nel macello è il direttore amministrativo e ha il braccio sinistro paralizzato: è di poche parole, occhi chiari che guardano dritto in quelli dell’interlocutore, dice che è indispensabile continuare a provare pietà per gli animali. Vive solo. Dal modo di esprimersi si intuisce che sia un uomo sensibile, ma preferisce non darlo a vedere. Si concede qualche confidenza, molto limitata, con un collega durante i pasti della mensa. Magro, alto, è limitato dal suo handicap fisico a cui pone rimedio con destrezza in ogni movimento e anche la sua anima sembra intorpidita dalla vita monotona che conduce. Ma non può fare a meno di notare la nuova arrivata, che è bella, anzi perfino attraente, donna che non concede confidenze ad alcuna delle dipendenti, che invece fanno comunella, come sempre accade. La incuriosisce, lo attira, cerca il minimo contatto per poter instaurare un rapporto almeno di lavoro, tentativo decisamente difficoltoso.

Due anime solitarie, sole. Nulla le può accumunare. Fino a quando fanno entrambi, e con evidente stupore, una scoperta tanto imprevedibile quanto fuori da ogni logica. Ad un controllo effettuato dalla psicologa incaricata dall’azienda ma imposto dalla polizia, da una dottoressa provocante che scatena l’attrazione del personale maschile e che fa domande spiazzanti (la prima eiaculazione?), salta fuori che sia Mária che Endre fanno lo stesso sogno, tutte le notti, sogno che la regista ci mostra sin dai titoli di testa. Due bellissimi cervi nel bosco innevato cercano foglie ed erba per sfamarsi, il maschio agevola la femmina, assieme si abbeverano al freddo ruscelletto, i loro musi si sfiorano. Quella donna e quell’uomo sognano l’identica scena, sono i cervi stessi e non potevano immaginare di avere questa straniante esperienza onirica non solo in comune ma addirittura di vivere la medesima scena assieme. E senza mai accoppiarsi. La psicologa Klára va via convinta di essere stata presa in giro dai due, con uno scherzo di cattivo gusto ed invece la scoperta del comune sogno porta ad avvicinare i due individui, che così che cercano di capirsi, di annusarsi, pur con molta cautela. Cominciano a considerarsi.

Sono due anime diseredate, due corpi inariditi, due esseri dalla vuota esistenza fatta di monotonia e solitudine. Quando uno dei due fa un passo verso l’altro riceve rifiuti, a turno, attanagliati entrambi dalla paura di intaccare il personale isolamento dal mondo circostante. E intanto il sogno si ripete, immancabilmente. Fino a quando riescono superano l’impasse esistente e passano una notte assieme, notte in cui però non faranno sogni, nessuno dei due. È un segno del destino, della loro psiche e della loro vita, perché sono ad un passo da una decisione importante. Ma non scontata, fino al punto che quando lei si offre di tornare a passare la notte assieme Endre si rifiuta e allora il sangue torna a sgorgare, abbondante, stavolta non da un bovino. Ma è noto, le anime, la pietà, l’amore fanno giri strani e imprevedibili, come appunto ama raccontarci la regista Ildikó Enyedi in questo film sospeso, che vaga tra la poesia e l’umorismo involontario, tra i silenzi dei visi che guardano e le parole sussurrate con repentino pentimento, tra una razionalità forzata dalle convenzioni esterne (ma rifiutate) e un sentimento che pare assurdo, dove corpi umani irrigiditi e complessati, regolati da rituali solitari e minuziosi, possono sciogliersi solo attraverso la libertà dell’immaginazione. Basti osservare la nudità della casa di Endre e Mária, con le stanze appena arredate. In quella di lei il cassetto delle posate ha un (1) cucchiaio, una (1) forchetta, un (1) coltello.

Quella sera difficile, mentre il liquido venoso fuoriesce al ritmo del cuore arriva la telefonata agognata con il dialogo forse da sempre (in)atteso e (in)sperato:

Endre: Non c’è un motivo preciso per cui ti ho telefonato. Ti disturbo?

Mária: No!

E: Stai passando una bella serata?

M: Stavo ascoltando della musica ma c’è un problema con la mia radio. (…e il sangue puf, puf, puf)

E: Capito, non sapevo che ti piacesse la musica.

M: In realtà no... (il sangue scorre lungo la gamba, sui piedi, a terra, come al macello) Mi piace soltanto una canzone (What He Wrote, Laura Marling, bellissima). Ma ormai non la posso più ascoltare. (a terra è ormai una pozzanghera rossa)

E: Mi dispiace.

M: Sì. (il viso glaciale ha un sussulto ma Mária non sente ciò che spera udire)

E: Va bene, ti lascio in pace… Ti saluto, buona serata.

M: Buona serata a te, ti saluto anch’io.

(la telefonata sembra terminata, non c’è più speranza, il sangue terminerà la sua corsa, quando all’improvviso, dall’altro capo)

E: Pronto, sei ancora lì?

M: Sì, sono qui.

E: Mi sento morire, perché ti amo immensamente.

M: Anch’io ti amo immensamente.

E: Vorrei… vorrei poterti guardare negli occhi. Possiamo vederci?

M: Certo, adesso arrivo.

No, non è un film d’amore tradizionale e neanche un film solito e prevedibile. È la storia di due persone che avevano staccato la spina, forse da sempre, da quando erano nati e che dormivano con lo stesso sogno.

Alexandra Borbély e Géza Morcsányi sono superlativi e c’era da aspettarselo leggendo i loro curricula. La prima era conosciuta soprattutto come interprete teatrale ed era al suo primo ruolo da protagonista in un lungometraggio, è un'esuberante, estroversa, dinamica, calda e sexy giovane donna che ha saputo immergersi in profondità in se stessa e creare questa Mária da dentro. Tutto il contrario del suo difficile personaggio. L’attore, alla sua prima prova da attore nel ruolo del co-protagonista, è un drammaturgo, traduttore e docente universitario, nonché il direttore di una casa editrice ungherese. Una persona forte e carismatica che ha molto in comune con il suo personaggio, definito dalla regista adatto per via della sua educazione, integrità, umorismo asciutto, una grande personalità, tutto ciò che serve per rendere questo maturo uomo paralizzato, che ha lavorato tutta la vita in un posto così poco affascinante.

La eccellente Ildikó Enyedi dal canto suo sapeva bene di cosa doveva parlare il film: “Desideravo anche mostrare un'appassionata storia d'amore nella maniera meno appassionata che vi fosse. Sono una persona piuttosto solitaria e so cosa si possa nascondere dietro una superficie placida e grigia: quanto dolore, desiderio o passione... Camminando per la strada, osservo il volto delle persone e sono consapevole come, anche dietro anche al più noioso o goffo, si nasconda qualcosa di meraviglioso. L'idea per la trama è poi arrivata da sola improvvisamente: cosa accadrebbe se un giorno incontrassimo qualcuno che di notte sogna le nostre stesse cose? Cosa faremmo? Ne saremmo entusiasti o spaventati? Lo troveremmo divertente, invadente o romantico? Vorremmo approfondire la conoscenza e aprire il nostro cuore all'altro? E se non sapessimo come trattare le nostre emozioni? E se ciò che ne consegue non rispetta le aspettative che nel frattempo ci siamo creati? Ogni risposta, ovviamente, genera ulteriori domande... ma si arriva a un punto in cui ci sono una domanda e una risposta definitive.

Orso d’Oro a Berlino 2017 e candidato agli Oscar come film in lingua straniera, questo film è una scoperta che inquieta e incanta.

Premi

Oscar 2018

Candidatura per il miglior film in lingua straniera

Festival internazionale del cinema di Berlino 2017

Orso d'oro a Ildikó Enyedi

Premio della giuria ecumenica

Premio FIPRESCI

Premio dei lettori del Berliner Mongerpost

European Film Awards 2017

Miglior attrice a Alexandra Borbély

Candidatura per il miglior film

Candidatura per il miglior regista

Candidatura per la miglior sceneggiatura



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