Corvo Rosso non avrai il mio scalpo! (1972)
- michemar
- 8 set 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 29 mag 2023

Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!
(Jeremiah Johnson) USA 1972 western 1h48'
Regia: Sydney Pollack
Soggetto: Vardis Fisher (Mountain Man)
Sceneggiatura: Edward Anhalt, John Milius
Fotografia: Duke Callaghan
Montaggio: Thomas Stanford
Musiche: Tim McIntire, John Rubinstein
Scenografia: Ted Haworth
Costumi: Wesley Jeffries
Robert Redford: Jeremiah Johnson
Will Geer: Artiglio d'Orso
Stefan Gierasch: Del Gue
Delle Bolton: Cigno Pazzo
Josh Albee: Caleb
Joaquín Martínez: Mano Che Segna Rosso
Allyn Ann McLerie: vecchia pazza
Richard Angarola: Lingua Biforcuta
Paul Benedict: reverendo Lindquist
TRAMA: Nel 1840, Jeremiah Johnson, stanco della vita sociale, si ritira sulle Montagne Rocciose. La sua nuova esistenza di cacciatore lo porta a farsi una famiglia, adottando un orfano e sposando la figlia di un capo indiano. Quando i Corvi, per vendetta, gli uccidono l'una e l'altro, inizia una sua guerra personale contro questa tribù, per la quale la sua figura assume una figura leggendaria.
Voto 8

Western davvero speciale e particolare quello girato da Sydney Pollack e intensamente interpretato da Robert Redford: un bel film con il paesaggio incontaminato e un piccolo eroe che si difende. È uno dei western che inaugurarono la nuova tendenza del genere, con gli indigeni visti come una cultura ostile all'estendersi della civilizzazione, ma non inferiore né negativa. Il conflitto tra la collettività dei legittimi padroni del luogo e la necessità storica del pioniere scatena una dura lotta, che fortunatamente sfocia nella necessaria pratica della tolleranza.

La trama di partenza è semplice e classica. Infatti, dopo la guerra messicano-americana il protagonista Jeremiah Johnson, stanco della vita che ha condotto fino ad allora, si ritira sulle Montagne rocciose a fare commercio con le pelli, cioè il cacciatore e venditore di pelli. In pratica quello che nella tradizione è sempre stato definito trapper, come altri mitici personaggi dei fumetti e di film dell’epoca. Adattandosi alla perfezione alla nuova esistenza, trova normale farsi una famiglia (anti)convenzionale, adottando un orfano e sposando la figlia di un capo indiano. Ma quando i Corvi, per vendetta, gli uccidono entrambi i congiunti, inizia una sua guerra personale contro questa tribù, durante la quale la sua figura assume una statura leggendaria in tutta la regione. Sydney Pollack, dall’alto della sua grande maestria, non pensa affatto a girare una semplice storia del vecchio West, lui pensa a tutt’altro. Il suo bel protagonista, con le sue gesta e l’amore per quella natura, diventa pian piano il simbolo del ritorno alla vita naturale, ben conscio che si tratti di una vita fatta di fatica e sangue e tramite questi sentimenti il film diventa chiaramente un racconto di ampio respiro esistenziale e politico. Un discorso sociale, esistenziale, cercato con forte temperamento e voglia di sopravvivenza nonostante le evidenti difficoltà che si frappongono tra la natura e l’uomo che la abita.


Un film appassionante, che Robert Redford affronta con piglio di grande attore, come sempre è stato nel meraviglioso connubio creato con il regista, che gli ha potuto regalare personaggi bellissimi in film straordinari. Narra la leggenda che, essendo uno dei due sceneggiatori il massiccio (di corpo e di spirito) John Milius, notoriamente amante delle storie di azione e di forza, per giunta con idee politiche conservatrici, aveva scritto un copione alquanto votato all’azione mentre le intenzioni del regista erano ben altre. Difatti inizialmente pare che la sceneggiatura prevedesse l’intervento dei nativi indiani senza alcun pretesto solo perché, secondo Milius, è nel carattere dell’uomo uccidere (guardare la sua filmografia per credere) invece Pollack aggiunse almeno un valido (ai fini della trama) motivo della irruzione della tribù: la profanazione del cimitero da parte dell’uomo bianco. Da qui ecco che il film si caratterizza sia per il furore delle scene d’azione che per la meravigliosa messa in scena che esalta la filosofia che predomina nel carattere di Jeremiah Johnson. Poteva diventare un successo come un blockbuster dei giorni nostri, invece lo è diventato per meriti intrinsechi e per bellezza interiore. La scena finale è la dissolvenza dell’uomo nella montagna innevata, è la natura che si riprende il suo spazio, è l’uomo che ne viene assorbito.


La cosa più strana è che non c'è nessun personaggio che si chiami Corvo Rosso: magia dei distributori italiani e dei titoli fantasiosi che sanno inventarsi! In compenso si conferma ancora una volta la magica alchimia tra Robert Redford e Sydney Pollack, una coppia di cineasti che tanto ha fatto per il bel cinema.
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