Creed III
USA 2023 dramma/sportivo 1h56’
Regia: Michael B. Jordan
Sceneggiatura: Keenan Coogler, Zach Baylin
Fotografia: Kramer Morgenthau
Montaggio: Tyler Nelson, Jessica Baclesse
Musiche: Joseph Shirley
Scenografia: Jahmin Assa
Costumi: Lizz Wolf
Michael B. Jordan: Adonis Creed
Tessa Thompson: Bianca Taylor
Jonathan Majors: Damian “Dame” Anderson
Phylicia Rashād: Mary Anne Creed
Wood Harris: Tony “Little Duke” Evers
José Benavidez Jr.: Felix Chavez
Tony Bellew: Ricky Conlan
Florian Munteanu: Viktor Drago
TRAMA: Dopo aver dominato il mondo della boxe, Adonis Creed ha prosperato sia nella carriera che nella vita familiare. Quando l'amico d'infanzia ed ex prodigio della boxe Damian riappare dopo aver scontato una lunga pena in prigione, è ansioso di dimostrare che merita la sua possibilità sul ring. Il faccia a faccia tra ex amici è più di un semplice litigio. Per regolare i conti, Adonis deve mettere in gioco il suo futuro tornando a boxare per battere un uomo che non ha ormai nulla da perdere.
Voto 5.5
Il detentore del titolo dei pesi massimi Adonis Creed (Michael B. Jordan) ha appeso i guantoni al chiodo. Ora possiede una palestra e allena i campioni di domani. A tempo perso fa pure il modello per Ralph Lauren. Il danaro non manca e il mondo gli sorride. Ha una moglie, Bianca, (Tessa Thompson), un tempo artista e ora producer musicale di successo che lo ama moltissimo, una madre (Phylicia Rashād) affettuosa e saggia, nonostante la salute precaria, e una figlia non udente dalla nascita a cui insegnare qualche colpo, senza dimenticare che la violenza non è mai la risposta giusta. Tuttavia, come sovente accade nei drammi sportivi, il passato viene a bussare. Si tratta infatti di Damian Anderson, detto Dame (Jonathan Majors), amico d’infanzia di Adonis nonché giovane promessa non mantenuta del pugilato, che riappare, dopo 18 di anni di carcere. Ora è in libertà vigilata e muore dalla voglia di tornare sul quadrato e conquistare un titolo per il quale si è sempre sentito un predestinato. E l’amicizia di un tempo si trasfigura in uno scontro in 12 riprese. Damien non ha niente da perdere, Creed, invece, può perdere tutto.
Ennesima appendice della saga gloriosa il cui mito resiste ancora - quello di Rocky e del pugilato popolare e faticoso - dopo il ramo cresciuto dal tronco di Sylvester Stallone, il figliuol prodigo Adonis, figlio di Apollo, l’avversario tenace di Rocky, interpretato da Michael B, Jordan torna sul ring e dal punto di vista artistico c’è la grande sorpresa dell’assenza della star italo-americana. Infatti, stavolta non è compreso nel cast ma solo tra i produttori e la responsabilità della regia va nelle mani dell’attore protagonista. Un esordio, quindi, un battesimo sull’onda del successo e degli incassa dei primi due film: Creed - Nato per combattere del 2015 e Creed II del 2018.
L’attore-regista sviluppa la prima parte della storia fuori dallo sport, tra il periodo giovanile in cui si era costituita l’amicizia fraterna tra Adonis e Dame nelle strade di Los Angeles e la sua attività di sportivo in pensione come gestore di una palestra di allievi promettenti raccolti dal sottobosco violento e influencer della moda. Il successo nello sport attivo lo ha portato ad una vita più che agiata, anche per la affermata carriera della moglie Bianca in qualità di produttrice discografica. Poi, la seconda parte del film prende una piega drammatica, dal lato psicologico, lontana dalla pace familiare, quando il suo vecchio amico, uscito di prigione, si rifà vivo rivendicando il suo vero ruolo di campione mancato che vuole raggiungere la vetta del titolo mondiale usurpata dall’altro. Dopo i primi giorni di falsa pacificazione lo scontro verbale è durissimo e si profila all’orizzonte l’inevitabile scontro sportivo, in cui combatteranno ferocemente con lo scopo di annientare l’avversario, più sul piano emotivo e di anima che su quello fisico. Una battaglia all’ultimo colpo, ognuno dei quali durissimo da assorbire, senza il risparmio di energie. Solo alla conclusione si potrà parlare eventualmente di riconciliazione, ma prima la rivalità, latente da adolescenti, deve trovare il suo primato. È la legge dello sport, anche se nobile arte.
Lo schema classico è rispettato, è semplice, è scontato, con o senza dramma. Lo sport nel cinema ha delle regole che raramente vengono modificate e Michael B. Jordan corre sul tapis roulant seguendo il sentiero percorso da sempre. Nessuna novità e sceneggiatura scorrevole, peranche prevedibile: coppia felice, bimba portatrice di handicap ma molto sveglia e perspicace, mamma molto malata, incomprensioni, litigi, duello finale. Ma direttori di scena non si può inventare o improvvisare, per cui la regia è telefonata e di medio livello, anche se leggo con stupore di apprezzamenti anche di critici di professione: regia ordinaria, senza invenzioni e con l’aggiunta di qualche ralenti chiaramente didascalico nei momenti di bagarre sul quadrato delle corde o per dare maggiore drammaticità ai pugni che fanno molto male. Non c’è epica del combattimento, manca l’imprevedibilità dell’esito ed anche Tessa Thompson viene messa alquanto da parte subendo un ruolo minore rispetto ai film precedenti. Sarà pure spettacolare guardare due corpi adonici neri lucidi scolpiti di muscoli ma quello che conta è il dramma che devono esprimere, l’epicità della supremazia, come due capibranco per stabilire che è il leader.
Di buono riscontro l’attendibilità dei movimenti atletici e pugilistici: come mi sono espresso sin dal primo episodio, la boxe ammirata sul ring è veramente credibile e verosimile, al contrario di quasi tutti i film su questo sport in cui i due contendenti si picchiano da fermi senza mai parare o schivare un pugno. Anche qui lo sport è ben raffigurato e interpretato da due attori che si sono adeguatamente preparati e si muovono da veri pugili: Jordan cura benissimo questo aspetto. Se la regia del film zoppica, anche se sicuramente Sylvester Stallone avrà consigliato dietro le quinte Jordan su alcune scelte, nell’insieme non soddisfa le esigenze se non al minimo sindacale e la pellicola arriva al finale non solo scritto ma anche atteso. La recitazione è promossa, dato che il protagonista e Jonathan Majors hanno sia l’esperienza per cavarsela sia il fisico adatto a rappresentare i due personaggi rivali. I fotogrammi passati al rallentatore e la metaforica cancellazione del pubblico nel momento topico sono piccoli espedienti che fanno atteggiare Michael B. Jordan ad autore, ma il frutto acerbo risulta sempre amaro.
La violenza finale dell’incontro? Beh, come diceva Jack La Motta sul lato cattivo “non puoi salire sul ring ed essere una brava persona”, che si affianca alla citazione di Sugar Ray Robinson: “il mio lavoro è far male alla gente”. È la dura legge dello sport di contatto, anzi di combattimento. Per fortuna, il finale, come insegna Rocky, è sempre positivo e apre al futuro più benigno.
A prescindere da tutto, le serie dei film non le amo. Per me possono anche fermarsi qui. È sufficiente.
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