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Immagine del redattoremichemar

DNA - Le radici dell'amore (2020)


DNA - Le radici dell'amore

(ADN) Francia/Algeria 2020 dramma 1h30’


Regia: Maïwenn

Sceneggiatura: Mathieu Demy, Maïwenn

Fotografia: Sylvestre Dedise, Benjamin Groussain

Montaggio: Laure Gardette

Musiche: Stephen Warbeck

Scenografia: Angelo Zamparutti


Maïwenn: Neige

Fanny Ardant: Caroline, madre di Neige

Louis Garrel: François

Marine Vacth: Lilah

Dylan Robert: Kevin

Caroline Chaniolleau: Françoise, zia di Neige

Alain Françon: Pierre, padre di Neige

Florent Lacger: Ali

Henri-Noël Tabary: Matteo

Omar Marwan: Emir, il nonno


TRAMA: A Parigi è piena estate e la città è deserta. Neige fa visita regolarmente all'amato nonno algerino Emir nella casa di riposo in cui è ricoverato. Del resto, è stato lui a crescerla e a proteggerla dai genitori e dalla loro cattiva influenza. Le relazioni familiari di Neige con i fratelli, la sorella, la zia e la madre non sono facili: risentimento e amarezza hanno con il tempo preso il sopravvento. La morte di Emir non farà altro che aumentare le tensioni e scatenare una profonda crisi di identità in Neige.


Voto 7

La bravissima attrice e regista Maïwenn Le Besco, ormai per tutti semplicemente Maïwenn, ha al momento all’attivo una quarantina di partecipazione a film come interprete e, con questa intima e corale opera, anche cinque regie, quasi completamente scritte e girate con ampi riferimenti alla vita personale. Eccettuato infatti il bellissimo Polisse (recensione), che solo apparentemente sembra un film che non tocchi la sua privata esperienza e che invece nasce proprio dalle durezze fisiche subite da bambina a causa di un padre violento, gli altri film, compreso più che mai questo, riguardano tutti la sua vita, di donna di origini franco-algerine, particolare molto importante ed influente, con evidenti conseguenze sulla sua mentalità e sugli affetti familiari. Pardonnez-moi, Le bal des actrices, i primi due lavori, sono opere che descrivono le emozioni di Maïwenn come donna e come attrice appassionata di fotografia e cinema. Ed eccola allora macchina fotografica in mano che racconta in soggettiva l’attesa del primo figlio o che ruolo e che importanza può avere un’attrice nel processo creativo di un film. Quindi sempre qualcosa di molto personale.

Mai però ha affrontato la proiezione del suo futuro proprio in base alle esperienze intimamente vissute in una ordinaria famiglia magrebina emigrata e cresciuta in Francia. Le violenze subite che la hanno allontanata con decisione dal padre, una mamma con cui non va per nulla d’accordo (frequenti i battibecchi che osserviamo e udiamo in questo film), il forte legame con i fratelli e con la sorella minore risaltano evidenti nella sua sceneggiatura densa di dialoghi. Ma sopra tutto e tutti (perciò, più che “soprattutto”) l’intenso rapporto con il nonno della protagonista Neige, Emir, in pratica il loro patriarca, colui che con enorme buon senso e gran sentimento per la famiglia ha praticamente cresciuto i nipoti come un vero padre, inculcando in ognuno di loro il pensiero indipendente, i suoi principi da comunista, il valore delle tradizioni della terra di origine e del loro popolo anche in terra di Francia (nazione che lo aveva accolto e che lui ricambia con affetto), il senso della giustizia sociale. Il legame dell’amore familiare. Un punto di riferimento assoluto a cui sia le due figlie che tutti i nipoti e i pronipoti guardano come fonte di saggezza e come appoggio morale nei momenti difficili. E siccome è tanto vecchio e molto malato, assalito e consumato dall’Alzheimer, vive in un ricovero per anziani, dove è continuamente coccolato dai giovani nipoti – specialmente da Kevin, praticamente cresciuto sotto l’ala protettiva del nonno, che gli fa ascoltare con gli auricolari la sua musica rapper – e dall’amore della protagonista Neige. Lei soffre nel vederlo così ridotto dall’infermità e quando muore capisce quanto vuoto possa lasciare nella sua vita.

Una delle sequenze più caotiche e divertenti si sviluppa negli uffici della ditta funebre che la famiglia incarica per le esequie: discussioni infinite e nervose per decidere quale tipo di legno per la bara, il colore del drappeggio, cosa leggere nella cerimonia… ogni particolare non fa che causare litigi e inasprimento dei pessimi rapporti che già esistevano tra Neige e la mamma, tra sua madre Caroline e la zia Françoise, sorelle nemiche perenni, tra gli altri nipoti ed il resto della famiglia: una baraonda che, contrariamente al momento triste, scatena i divertiti commenti della venditrice della ditta. È un momento da commedia che invece a Maïwenn/Neige serve per (di)mostrare ancora meglio quanta distanza esista tra lei, che soffre per la morte del nonno, e sua madre, sempre indispettita e infastidita dalle incombenze e le discordanze con gli altri familiari. In fondo, a Neige interessa solo un particolare: portare a casa sua l’urna delle ceneri del nonno Emir, che per lei ha avuto il grande merito di instillarle l’amore per le radici algerine, per le tradizioni della sua terra d’origine, per il buon carattere degli abitanti di quella terra che non ha mai visitato in vita sua, per la bellezza del paesaggio che sogna di andare a vedere di persona.

Cresciuta nel culto dell’Algeria e delle sue origini, quindi del suo DNA, di ogni molecola del suo corpo e soprattutto della mente (per conoscere meglio la sua origina algerina si sottopone perfino ad un esame genetico da cui ricava risultati sorprendenti, in cui si riesce a dedurre ancora una volta che noi tutti siamo una mescolanza di razze), che ha assorbito i racconti e le memorie del caro nonno, il reale sogno di Neige è quello di ottenere la sospirata nazionalità algerina per così ottenerne il passaporto e andare finalmente ad Algeri, città da cui un lontano giorno è partito il nonno Emir, con il carico umano che tanto ha arricchito i suoi discendenti che lo hanno amato e riverito come un padre, sostituendosi anzi al vero padre, uomo svagato e senza amor di famiglia. Quel vecchietto aveva risvegliato nella progenie – ma in particolare a lei - l’attaccamento alla terra che aveva germogliato la stirpe, aveva trasmesso loro l’impegno politico e sociale, i valori che rendono uomo dignitoso un individuo. Ma ciò che il film evidenzia con chiarezza è che per Maïwenn il cinema, quello suo, è sempre un fatto personale, sino al punto che in questo film, forse più degli altri, pare di assistere ad una personalissima autoanalisi, anche se lei lo ha smentito in un’intervista. Ma è impossibile non accorgersi quanto di proprio è nel dolce, nervoso, resistente, amorevole personaggio di Neige, è impossibile non pensare che dentro quegli abiti di immigrata di terza generazione ci sia tutta la bravissima autrice, che in questa maniera si è sinceramente aperta, rivelata, svelata, motivo per il quale merita tutto il rispetto, avendo avuto coraggio di mostrare e raccontarsi. Maïwenn ha raccontato la storia di Neige, Neige ha raccontato la vita di Maïwenn, o qualcosa di simile. Belle tutte e due specialmente quando, nel momento che la nave che la conduce finalmente nel porto di Algeri, la donna abbandona ogni tic nervoso e psichico (i litigi con i parenti, l’irrequietezza, la pericolosa anoressia che l’aveva assalita negli ultimi tempi) e si lascia andare al più bel sorriso luminoso che può fare una bellezza magrebina, per perdersi felice ed appagata nella folla che trova tanto familiare, come una molecola di DNA mescolata in altre simili.

Una commedia agrodolce, nervosa come la macchina da presa, divertente e a tratti commovente, tenera e piena di dialoghi, come piace sia al cinema francese che alle amichevoli abitudini algerine. Film che sa esprimere appieno le esplosive dinamiche familiari, positive e negative. Maïwenn è brava a conciliare tutto questo: forse in qualche momento il film si immobilizza su alcuni argomenti ma nel complesso fila liscio verso un finale premiante. Dal punto di vista della direzione, sicuramente il numeroso e qualificato cast ha risposto egregiamente: dai nomi importanti fino a quelli meno. Fanny Ardant è quello più altisonante, per non parlare del simpaticissimo ruolo ricoperto da Louis Garrel (“Com’è stato il funerale di tuo nonno?” “Un’emozione indescrivibile!” “Mi prendi in giro?” “No!... Ti giuro, mi ha fatto venire voglia di morire!”) e di quello affascinante di Marine Vacth, che fa la sorellina di Neige, che scopriamo molto rassomiglianti. La regista/attrice non ha nascosto che sostanzialmente la morte del nonno di Neige ha il valore simbolico della perdita del nido, della sola fonte d’amore che aveva nella vita, non essendo mai stata protetta dai genitori evanescenti. O perfino dai fratelli con cui ha frequenti scambi alquanto vivaci. Secondo lei quella morte simboleggia l’addio all’infanzia e se è vero che per ognuno di noi esiste un prima e un dopo la morte dei genitori, quel giro di boa per lei è rappresentato da quella del carissimo Emir. È l’inizio di una nuova vita. Ancora una volta la sua bravura da regista sta nel mettere a fuoco i vari personaggi senza filtri, mettendoli davanti allo spettatore in maniera frontale e lasciando scorrere velocemente i dialoghi come se fossero in parte improvvisati o semplicemente basati su un vago canovaccio, con l’importante particolare di far partecipare attivamente gli attori, coinvolti direttamente ed emotivamente. Importante di conseguenza diventa il montaggio, affinché la scena possa appassionare vieppiù chi li ascolta.

E intanto Maïwenn cresce, di film in film.


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