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Dune (2021)

Aggiornamento: 31 mag


Dune

USA/Canada 2021 fantascienza 2h35’


Regia: Denis Villeneuve

Soggetto: Frank Herbert (romanzo)

Sceneggiatura: Eric Roth, Denis Villeneuve, Jon Spaihts

Fotografia: Greig Fraser

Montaggio: Joe Walker

Musiche: Hans Zimmer

Scenografia: Patrice Vermette

Costumi: Bob Morgan, Jacqueline West


Timothée Chalamet: Paul Atreides

Rebecca Ferguson: Lady Jessica Atreides

Oscar Isaac: duca Leto Atreides

Jason Momoa: Duncan Idaho

Josh Brolin: Gurney Halleck

Stellan Skarsgård: barone Vladimir Harkonnen

Javier Bardem: Stilgar

Charlotte Rampling: Gaius Helen Mohiam

Dave Bautista: Glossu "Bestia" Rabban Harkonnen

Stephen McKinley Henderson: Thufir Hawat

Zendaya: Chani

David Dastmalchian: Piter De Vries

Chang Chen: dott. Wellington Yueh

Sharon Duncan-Brewster: dott.ssa Liet-Kynes

Babs Olusanmokun: Jamis

Souad Faress: Bene Gesserit


TRAMA: Paul Atreides, giovane brillante e di talento nato con un grande destino che va oltre la sua comprensione, dovrà viaggiare verso il pianeta più pericoloso dell'universo per assicurare un futuro alla sua famiglia e alla sua gente. Mentre forze maligne si fronteggiano in un conflitto per assicurarsi il controllo esclusivo della più preziosa risorsa esistente sul pianeta (una materia prima capace di sbloccare il più grande potenziale dell’umanità), solo coloro che vinceranno le proprie paure riusciranno a sopravvivere.


Voto 9

= I sogni sono messaggi dal profondo =

La didascalia non l’avrà letta e non la leggerà la quasi totalità degli spettatori perché compare per qualche secondo appena si spengono le luci in sala, appena prima che compaiano sullo schermo i simboli della produzione e della distribuzione. Prima ancora che partano i titoli di testa, praticamente. Chi se ne sarà accorto? Eppure, è la chiave di lettura che ci offre Denis Villeneuve.


Il mio pianeta, Arrakis, è così bello quando il sole è basso. Ha volute sopra la sabbia, si vede la spezia nell’aria. Gli stranieri saccheggiano le nostre terre sotto i nostri occhi. Sono crudeli verso il mio popolo. Non so altro di loro. Che ne sarà del nostro mondo? PAUL!

In pochissime frasi, Chani, la misteriosa ragazza Fremen che abita su quel pianeta, oggetto del desiderio di tante Case, per via della preziosissima “spezia” contenuta nella sabbia dell’immenso deserto, spiega il motivo delle guerre. Il suo popolo è costretto a vivere di stenti aiutato solo dalle loro tute che riescono ad immagazzinare l’irreperibile ed essenziale acqua, risparmiandone ogni goccia nei pochi rifugi protetti. Il suo timore è che quella gente possa essere annientata dai nemici saccheggiatori. Che sono tanti. “PAUL!” chiama nel sogno. Paul Atreides, colui il quale ancora non sa che è il designato, il predestinato, un messia non ancora conscio dei poteri che possiede, addestrato per il suo destino dalla madre Lady Jessica, appartenente alla sorellanza delle Bene Gesserit, un ordine millenario composto da sole donne, il cui scopo ufficiale è lo sviluppo del pieno potenziale della mente umana attraverso un rigido addestramento e conferisce alle sue adepte straordinarie capacità di osservazione, ragionamento, memoria e manipolazione della mente. Paul sta diventando quello per cui la madre sta operando: sarà il salvatore che il popolo, come gli Ebrei biblici, sta aspettando. È attraverso i sogni notturni che il giovane erede del duca Leto sta maturando la coscienza di sé, provando stupore e paura della sua trasformazione e di ciò che avverte nell’onirico e nella realtà quando riesce a superare le prove a cui viene sottoposto. “Mi sta succedendo qualcosa, nella mia mente si risveglia qualcosa che non controllo. Una crociata è imminente.” “Il futuro, lo vedo.”

Sono due anni che si discute tra gli appassionati perché e come Denis Villeneuve abbia voluto affrontare un’opera tra le più ardue per il cinema: trasporre un romanzo così voluminoso di Frank Herbert e con tante vicende. Perché, se altri non si azzardavano o non ci riuscivano bene (ok, la mano del produttore De Laurentiis aveva rovinato la versione Lynch, ma questa è una leggenda lontana, senza i mezzi tecnologici necessari: un flop totale), viste le oggettive difficoltà per un lunghissimo racconto come questo (sei romanzi solo per ciò che riguarda la parte centrale!); come, che forse è il lato che più spaventa un autore per molti motivi, in primis una messa in opera chiara, lineare e comprensibile, trasportando sentimenti, motivazioni e caratteri dei tanti personaggi. Tante difficoltà che solo una lettura profonda, una totale comprensione del testo e del sottotesto, una convinta e convincibile idea di cinema potevano partorire un film di sicura accettazione e quindi di certo successo. 165 milioni di dollari e un regista di enorme potere e valore ne sono stati i presupposti ed oggi eccoci qui a goderlo e discuterne. La complessità dell’operazione gigantesca era chiara sin dal principio per il regista canadese, tanto che già in fase di studio e scrittura egli diceva: “È una storia che è rimasta con me per molto tempo e ancora riecheggia in molte cose. È un ritratto molto accurato della società di oggi, con le intricate relazioni tra religione e potere e per come i personaggi devono affrontare il loro passato genetico. Amo profondamente questa storia, è davvero potente e il fatto che ancora oggi mi dica delle cose vale il rischio di affrontare la trasposizione.” Questo era il quadro di partenza e dice tutto del difficile impegno per andare avanti o rinunciarvi, senza voler andare verso un’opera di mero surrealismo visivo e fantastico come, per esempio, era l’ideazione di Alejandro Jodorowsky. No, doveva essere ed è stato un film dal realismo epico, un racconto ambientabile nel Medio Evo o nel futuro lontanissimo.

Inutile, a mio parere, accennare alla trama, è complessa e già scritta nella scheda e addirittura sono convinto che non ha importanza ai fini del giudizio. Ciò che conta è quello che si vede, che si gode, che si ammira, direi quasi che è sufficiente l’estetica meravigliosa che ne scaturisce perché essa non è vuota, non è fine a se stessa, ma riempie gli occhi e la mente, il cuore e l’anima. Il motivo, in fondo, è semplice e si spiega facilmente perché non esiste al mondo, oggi, un regista che sappia raccontare come Villeneuve e per giunta con tanta affascinazione: ogni sequenza è bella che fa desiderare quella successiva. Il che rappresenta il massimo per un regista. Non è di facile metabolizzazione, almeno immediatamente, perché è un film che richiede riflessione, principalmente a causa del fatto che è un romanzo articolato, con molti personaggi e soprattutto lungo, corposo. Motivo per cui, infatti, la produzione ha pensato a dividerlo in due tronchi. È un racconto mastodontico, con nomi non consueti di popoli, pianeti, lune, armi, persone, oggetti volanti, quindi non semplici da ricordare, maggior motivo per cui andrebbe visto in originale anche perché solo così si leggerebbero questi nomi e poi, come ribadisco tutte le volte, è appagante sentire non i doppiatori ma gli attori, che sono uno stuolo ricco di nomi importanti.

Storia affascinante, avvincente, anche se si deve aspettare un’ora per poter vedere una prima scena di azione. Il motivo, secondo me, è che necessita di una lunga prefazione per introdurci in un mondo lontanissimo nel tempo e nello spazio: siamo nell’anno 10000 e rotti! Ma la potenza non visionaria ma visiva di Villeneuve è prepotente, magniloquente, con uno spettacolo che dura per tutto il tempo. Unire una bella trama a inquadrature come solo lui sa fare è uno spettacolo continuo, assolutamente senza manierismi di camera o riprese a mano, ma obiettivo fermo e primi piani commoventi, campi medi necessari e meravigliosi campi lunghi, il pezzo forte del regista. Che personaggi! Che attori! Che sceneggiatura! E che dialoghi! Non devono sembrare retorici, attenzione, sono solenni ed epico-romanzeschi, recitati senza enfasi ma carichi di significati che spiegano e nascondono, che il regista fa pronunciare con la camera di fronte quasi per solennizzarli. Nessuna parola è superflua, ognuna ha un carico di storia passata e futura, ogni momento è difficilmente accessorio, tutto è essenziale, asciutto. Bene hanno fatto i tre sceneggiatori a rendere la scrittura sostanziale. Eric Roth, Denis Villeneuve, Jon Spaihts: il primo ormai è divenuto negli anni uno dei più importanti sceneggiatori del cinema d’oggi, il terzo è con poche opere all’attivo ma tutte di fantascienza (es. Passengers, Doctor Strange, Prometheus). Unendo questo aspetto alla bellezza della storia, alla fotografia che è preponderante con i suoi colori forti – in cui domina l’ocra della sabbia che è dappertutto tranne che nelle grigie fortificazioni cementizie in cui vivono i personaggi ma che invade tutto lo schermo con le sue tempeste potentissime, che entra negli occhi ma non acceca Paul, anzi lo stimola, che bisogna capire e adeguarsi per non rimanerne vittima, sotto cui viaggiano mostri lunghi centinaia di metri, fonte della preziosissima spezia che è una droga capace di allungare la vita, offrire la facoltà di prevedere il futuro e dischiudere tutte le potenzialità della mente umana: spezia uguale vita, potere, ricchezza -, alla musica mai invadente di Hans Zimmer (che capolavoro la voce che vocalizza una lancinante armonia che ricorda vagamente, fateci caso, l’armonica di Ennio Morricone). Notevole pure il montaggio, di Joe Walker (collaboratore dai tempi di Sicario [recensione]) che rende ogni sequenza alla pari di una scena madre o che termina con una brusca interruzione a causa di un colpo di scena, che sono tanti; e come non parlare del sontuoso montaggio sonoro di Theo Green (altro tecnico presente anche in Blade Runner 2049)? Tutto meravigliosamente ed armoniosamente orchestrato dalla regia che ha idee chiarissime, che crea l’universo che avremmo voluto vedere, che realizza ciò che la gente aspetta dal cinema. “Le intricate relazioni tra religione e potere” diceva il regista, proprio come è sempre stato nella Storia degli uomini. Ieri le mandrie, i pascoli, i campi agricoli, i villaggi sui fiumi e sul mare; oggi il petrolio, che sarà in esaurimento; domani l’acqua, i territori meno colpiti dai cataclismi climatici; nel lontano 10000, è la spezia che fa gola del potente di turno. E tutto con l’influenza della religione, degli Dei che condizionano i comportamenti, dei profeti che annunciano i cambiamenti morali, il Messia che tutti attendono. Paul rappresenta l’essenza del personaggio centrale perché ha dentro di sé il potere della saggezza, delle tante lingue parlate, del timbro della voce necessario per farsi obbedire anche dal nemico. Il duca Leto Atreides è troppo buono e generoso, persino ingenuo per intuire che viene strumentalizzato dall’Imperatore per i suoi scopi e quindi è troppo debole: Paul invece è “il seme” del futuro, è il Salvatore che deve raggiungere la salvezza sulle rocce dove vivono i Fremen, dove troverà finalmente la ragazza che domina i suoi sogni premonitori: Chani lo intuisce, lo aspetta. Gli “uomini dagli occhi blu” sono fieri ma deboli, pochi ma coraggiosi e dopo la distruzione del Casato Artreides rimangono soli contro la prepotenza dell’alleanza dell’Impero, ma con la speranza che il “designato” li guidi verso la salvezza.

Il romanzo e il film faranno tornare in mente la saga di George Lucas, reazione inevitabile dal momento che tanti si sono più o meno ispirati a Frank Herbert e oltre ai nomi ricorrenti anche le battaglie girate da Denis Villeneuve hanno fatalmente similitudini con quelle spettacolari di Star Wars, ma la differenza sostanziale tra le due è che se nelle Guerre Stellari hanno un peso importante e preponderante nella narrazione, il regista canadese le utilizza come conseguenze fatali e come strumentali al racconto e all’evoluzione dei rapporti tra i popoli in guerra. E sono marginali, assolutamente non centrali. È la missione del giovane duca che centralizza il regista, come è cresciuto, come è stato educato al bene dal padre amoroso, come è stato allevato e istruito dalla compagna del genitore (“concubina” la definisce il Barone Vladimir, capo indiscusso, violento e cattivo degli Harkonnen, i nemici giurati degli abitanti di Arrakis), che lo ha partorito ben sapendo cosa sarebbe diventato da grande. Gli eccellenti attori si potranno giudicare in maniera definitiva solo quando sarà possibile sentirli, per adesso si può solo dire che sono molto bravi e se il regista li ha scelti non ha certo sbagliato. Timothée Chalamet è un attore che replica sempre se stesso ma che è sempre differente, che a questa età è stato chiamato solo da grandi registi, non è più il verde adolescente di Guadagnino, non è il fumoso personaggio di Allen, oggi ha affrontato un ruolo molto impegnativo e, una volta domati i capelli (cruccio di Villeneuve, che dice che sul set erano sempre un problema) è stata la scelta primaria del regista, convinto del suo talento, un tormentato Paul, emblema del film: è il linguaggio del suo corpo che parla, agitato dai fantasmi interiori, presenti e futuri. Rebecca Ferguson è un’ammirevole Lady Jessica, trasformata rispetto ai precedenti ruoli, usa il silenzioso e malinconico sguardo e l’esile fisico di madre piena di segreti per mandare messaggi in codice al figlio. Di Oscar Isaac, il duca Leto Atreides, non si sa più che dire, è in molti film in circolazione contemporaneamente, sempre perfetto e misurato, una sicurezza per ogni tipo di ruoli: dal folksinger dei Coen ha percorso tanta strada, perché è bravissimo, sempre, come questa volta, capace di molti registri di recitazione. Jason Momoa, sorpreso e lusingato dalla chiamata di un tale regista, è il miglior Duncan possibile, finalmente in un ruolo credibile e senza barba: bello come un dio, possente come un eroe invincibile, non è il solito personaggio fantasy ma l’addestratore alle armi di Paul e soprattutto soldato fedele sino alla morte. Javier Bardem è Stilgar, il fremen saggio dagli occhi blu che ripone la fiducia nel predestinato appena conosciuto: credette al padre, si affida fiducioso al figlio. Josh Brolin è Gurney Halleck, un capo guerriero coraggioso e mentore di Paul che si schiera sempre in pima fila nelle battaglie. Dave Bautista fa il Bautista appena uscito da Blade Runner 2049: con quella faccia e quel fisico difficile essere altri. Uno irriconoscibile Stellan Skarsgård è l’unico totalmente trasformato, quasi un mostro per fare il cattivo per eccellenza, il barone Vladimir Harkonnen. A parte Charlotte Rampling che è totalmente nascosta dall’abito che la copre come un burqa da sacerdotessa, per cui una volta doppiata non si sente neanche la sua voce, uno dei personaggi più interessanti, anche come interpretazione (Sharon Duncan-Brewster), è la ecoplanetologa Liet-Kynes: nera con gli occhi blu, è lei che si sacrifica per far giungere alla salvezza Lady Jessica e Paul. Un campionario effettivamente vario e validissimo per un film che assume le proporzioni di un vero kolossal, senza, si badi bene, mai essere assolutamente un blockbuster. Errore grave se lo si giudicasse così, perché se è vero che vedremo la seconda parte a patto che gli incassi della prima saranno favorevoli, è anche vero che non ha quelle pretese né le caratteristiche. Ed è un’opera maledettamente seria quando affronta temi come il controllo della paura, il training autogeno e il destino della predestinazione, tutte caratteristiche che vanno a sedersi nel corpo e nella mente di un solo personaggio: il messia Paul.

Bello come Arrival (recensione) o Blade Runner2049 (recensione)? Difficile dirlo. È in ogni caso un grandissimo film: fantastico, di fantascienza pura purissima (a differenza degli altri due, che hanno altre ragioni), anzi cristallina, con le basi morali che risalgono alla notte dei tempi dei popoli. Le attese erano altissime e per questo potrebbe anche deludere qualcuno, ma a torto: tecnicamente è eccelso, più dei precedenti menzionati, è un capolavoro di concezione e di pre-visione, nel senso di essere stato immaginato nello stadio preparatorio da Denis Villenuve già perfetto così, solo da materializzare e far muovere gli interpreti, il cast tecnico e i mezzi di scena come era nella sua mente. Al resto ci ha pensato la tecnologia, necessariamente. Denso di sentimenti, sensazioni, preveggenze, intuiti, paure, sicurezze, lealtà, tradimenti assolutamente imprevisti, coscienze morali, comportamenti etici, amore per i sudditi, rispetto per i sovrani, fedeltà e abnegazione. Film spettacolare che non cerca spettacolo o forzature, anzi si avverte morigeratezza ed equilibrio della regia in vari momenti, che non è mai sovrastante, pur rimanendo e, forzatamente, un film autoriale più che attoriale: sono tutti nelle mani di Denis il québécois, che li dirige come un Toscanini ispirato. Chi mi legge da tempo sa bene che non giustifico mai un film che va oltre i 100’, più lungo deve avere valide motivazioni: questo dura 2h35’ e manco te ne accorgi, tanto è intenso e narrativamente affascinante.

Questo è cinema!


Tutto perfetto, quindi? No: avverto la mancanza dell’emotività, della passione, della trasmissione di sentimenti, la debolezza dell’umano, ma non è detto che sia colpa del film, piuttosto del romanzo e forse Villeneuve non le ha cercate. Ciononostante, resta un film coinvolgente.

E adesso aspettiamo Chani


(N.B. Sono certo che, come mi è già tante volte successo, dopo che l’avrò ammirato in originale alzerò il voto almeno di mezzo punto. La voce degli attori è troppo importante. È recitazione.)

Infatti, l'ho aumentato.


Riconoscimenti

Vincitore di 6 Oscar, ha nel suo palmares 173 vittorie e 294 candidature totali, in particolare:

2022 - Premio Oscar

Migliore fotografia a Greig Fraser

Migliore colonna sonora ad Hans Zimmer

Miglior montaggio a Joe Walker

Miglior sonoro a Mac Ruth, Mark Mangini, Theo Green, Doug Hemphill e Ron Bartlett

Migliore scenografia a Patrice Vermette e Zsuzsanna Sipos

Migliori effetti speciali a Paul Lambert, Tristan Myles, Brian Connor e Gerd Nefzer

Candidatura per il miglior film

Candidatura per la migliore sceneggiatura non originale a Jon Spaihts, Denis Villeneuve e Eric Roth

Candidatura per i migliori costumi a Jacqueline West e Robert Morgan

Candidatura per il miglior trucco e acconciatura a Donald Mowat, Love Larson ed Eva von Bahr

2022 - Golden Globe

Migliore colonna sonora originale ad Hans Zimmer

Candidatura per il miglior film drammatico

Candidatura per il miglior regista a Denis Villeneuve



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