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Dune - Parte due (2024)

Dune - Parte due

(Dune: Part Two) USA/Canada 2024 fantascienza 2h46’

 

Regia: Denis Villeneuve

Soggetto: Frank Herbert (romanzo “Dune”)

Sceneggiatura: Denis Villeneuve, Jon Spaihts

Fotografia: Greig Fraser

Montaggio: Joe Walker

Musiche: Hans Zimmer

Scenografia: Patrice Vermette

Costumi: Jacqueline West

 

Timothée Chalamet: Paul Atreides

Zendaya: Chani

Rebecca Ferguson: Lady Jessica

Josh Brolin: Gurney Halleck

Austin Butler: Feyd-Rautha Harkonnen

Florence Pugh: principessa Irulan Corrino

Dave Bautista: Glossu “Bestia” Rabban Harkonnen

Christopher Walken: Imperatore Shaddam IV

Léa Seydoux: Margot Fenring

Stellan Skarsgård: barone Vladimir Harkonnen

Charlotte Rampling: Gaius Helen Mohiam

Javier Bardem: Stilgar

Giusi Merli: reverenda Madre Ramallo

Anya Taylor-Joy: Alia Atreides

 

TRAMA: Il duca Paul Atreides si unisce ai Fremen e intraprende un viaggio spirituale e marziale per diventare Muad’Dib, il messia tanto atteso dalla popolazione guerriera nomade che abita l’alto deserto di Arrakis. Nel frattempo, Paul dovrà anche cercare di scongiurare l’orribile futuro intravisto nelle sue visioni: una guerra santa combattuta in suo nome, destinata ad allargarsi a tutto l’universo conosciuto.

 

Voto 9



Dunque, eravamo rimasti al finale del primo film quando finalmente il duca Paul (Timothée Chalamet) e la madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson), in fuga, erano giunti alle pendici delle rocce al limite meridionale del vastissimo deserto dove vivono i Fremen da cui erano stati accolti molto male perché malvisti e il giovane aveva dovuto scontrarsi con il loro più temibile guerriero, Jamis, lasciandolo senza vita. E si finiva quando Chani affermava solenne: “Questo è solo l’inizio”. Il secondo episodio inizia (con la citazione “Chi ha il potere sulla spezia ha il potere su tutto”) infatti con i funerali di costui e il rifiuto della popolazione verso di loro, considerati aspramente ostili, tranne che dal loro saggio capo Stilgar (Javier Bardem) che sin da subito ha interpretato quell’avvento come l’arrivo previsto nelle loro sacre scritture: è giunto presso di loro colui che sarà il loro futuro condottiero, il Messia, il liberatore dalla tirannia dell’Imperatore Shaddam IV (Christopher Walken) e soprattutto dalla violenza assassina e distruttrice del barone Vladimir Harkonnen (Stellan Skarsgård) nella terrificante guerra per il possesso della spezia mélange. Barone il quale, ora, dispone non solo del comandante delle truppe rappresentato dal nipote Rabban (Dave Bautista), ma anche del nuovo personaggio comparso: il nipote più giovane, più violento che mai, che uccide a sangue freddo chiunque lo contraddica, il dispotico e disturbato Feyd-Rautha (Austin Butler), novello Commodo nell’arena in cui uccide avversari drogati, definito dalla giovane principessa Irulan (Florence Pugh) come psicotico. Questo nuovo personaggio femminile è la figlia dell’imperatore, ragazza bellissima e misteriosa protetta dalla Reverenda Madre Gaius Helen Mohiam (Charlotte Rampling) e avrà una influenza sempre maggiore sino al finale imprevedibile, e quindi con grandi attese nel terzo episodio.



Come e più della prima parte, il film è denso di avvenimenti, di battaglie, di intrighi, di capovolgimenti, di sviluppi imprevedibili, sempre fotografati dal superbo Denis Villeneuve mediante la eccezionale fotografia di Greig Fraser e dal montaggio perfetto di Joe Walker. Tanti sono i personaggi importanti e tante sono le storie che si intrecciano, complicando non poco l’intera trama, che, sostanzialmente, verte sul fatto che, mentre gli Harkonnen continuano a mietere la preziosa spezia tra la sabbia dell’infinito deserto, hanno anche l’intenzione di distruggere l’intera popolazione dei Fremen e assumere il potere totale. Di contraltare, questi ultimi cercano di resistere allo strapotere nemico e cercano di organizzarsi ben sapendo che hanno bisogno di un grande capo che li sappia guidare. Solo Stilgar ha intuito che il giovane Paul è colui il quale aspettano da sempre, la guida che li salverà. Il Messia! Ma è proprio lui l’atteso Lisan al-Gaib, come era scritto nelle profezie? Come esserne certi e come convincere la gente che sia davvero lui? Intanto, la Reverenda Madre del Sietch delle Bene Gesserit (organizzazione religiosa e politica chiave nell’universo di Dune), Madre Ramallo (interpretata da Giusi Merli, la ricordate la suora santa de La grande bellezza di Sorrentino?) sta morendo e le adepte cercano una nuova persona che sia in possesso delle qualità necessarie per sostituirla: sarà proprio Lady Jessica, sottoposta al pericoloso rito della acqua blu – estratta dal corpo dei vermi più piccoli che dominano il deserto – che dimostra di avere le doti necessarie e con sua grande sorpresa (ma conscia che questo, prima o poi, sarebbe avvenuto) assume il gravoso ed importante incarico.



A prescindere dallo sviluppo della trama, sempre avvincente e ricca si avvenimenti, ci sono alcuni aspetti salienti che caratterizzano in maniera importante questa seconda parte della voluminosa storia delle dune. In primissimo luogo sono i due fatti appena accennati. La prima novità notevole che succede è appunto l’ascesa al comando delle sacerdotesse da parte della madre del nostro eroe, che dà tanta importanza ai suoi compiti futuri ma soffre immaginando il distacco dal figlio, avendo ormai entrambi dei compiti precisi nella loro vita. Come una papessa, ella sa che le incombenze che le spettano la obbligano a tenere un atteggiamento sacrale tale che non può più stare accanto al figlio ma l’affetto, ovviamente, anche se celato dalla severità della sua funzione, non mancherà mai e lo osserva, quando può, con la preoccupazione di una madre. Era la consorte del Duca Leto della stirpe degli Atreides, era fuggita precipitosamente con Paul dopo l’invasione degli Arkonnen, aveva attraversato il deserto in elicottero e poi a piedi rischiando la vita, ed ora è venerata ed ascoltata come la massima personalità tra le Gesserit. Forse lo immaginava, ma ora sembra anche lei meravigliata e orgogliosa.



L’altro fatto importante di questa parte di storia è che Paul, vedendosi sempre più richiesto come futuro capo del popolo Fremen, avverte dentro di sé, nonostante il conforto e la vicinanza anche affettiva della bella Chani, la paura di non essere in grado di interpretare il compito che il destino gli sta affidando. Messo alla prova per diventare un vero guerriero di quel popolo, affronta le pericolosissime prove di iniziazione, come ad esempio attraversare a piedi zone pericolose del deserto o cavalcare gli enormi vermi delle sabbie, usati dai Fremen come velocissimo mezzo di trasporto. Ed intanto la relazione romantica con Chani si fortifica, promettendole fedeltà eterna e, diventato finalmente un guerriero Fedaykin, si dichiara devoto fino alla morte a lei e alla causa, con il nome segreto Usul e il nome di battaglia Muad’Dib. L’ostacolo, però, alla sua totale e definitiva adesione e accettazione a guidare quel popolo è proprio il timore di non esserne all’altezza e, sin quando non si convincerà di poterlo e doverlo essere, resta incerto. Poi, bevuto anch’egli la pozione dell’acqua blu, estratta dai vermi (blu come gli occhi dei Fremen!), giace esanime e apparentemente morto, ma risvegliatosi per via di un rito salvifico di Chani, si sente cambiato e pronto: sarà davvero ciò che quel popolo attendeva da sempre, la loro guida, il loro Messia. Inizia così la vera rivolta e la guerra a tutto campo agli Arkonnen, con trovate impensabili e vincenti che incombono sul destino degli odiati nemici ed oppressori.



Un’altra caratteristica influente del film è la presenza del personaggio della principessa Irulan Corrino, che acquista rilevanza con il passare del tempo ed ogni volta che si affaccia sullo schermo ci si accorge della sua importanza e di quanto influirà nel futuro. Il personaggio di Florence Pugh appare costruito sullo stereotipo di una femminilità virginale, passiva, obbediente e non sessualizzata (forse tutto dipende dalla educazione ricevuta dalla severa Gaius Helen Mohiam), ma si intuisce anche come acquisti la possibilità di smettere di essere solo un’osservatrice e diventare quindi una pedina importante per le trattative postbelliche. D’altronde, è necessario tenere a mente che siamo pur sempre in un tipo di società feudale, patriarcale e coloniale, dove appunto le donne hanno difficoltà ad esprimersi ed affermarsi. Per esempio, sebbene le mitiche Bene Gesserit siano donne e siano influenti, sono pur sempre ai margini delle grandi decisioni politiche prese dagli uomini e vengono consultate più che altro come religiose. Invece loro sono, eccome, un corpo politico in senso ampio e la rivincita se la prendono nei loro colloqui privati: “Siamo Bene Gesserit, non speriamo, pianifichiamo”, dice la Reverenda Madre Mohiam a Irulan. Come lo è anche la decisione di come Lady Fenring, interpretata da Léa Seydoux, sia incaricata di concepire una figlia con lo schizzato Feyd-Rautha e agisca solo su dirette istruzioni della suddetta Reverenda.



Queste evoluzioni importanti della trama non sono le uniche novità, perché verso il finale giunge la sorpresa che non ci si sarebbe mai aspettata: l’ascendenza di Lady Jessica! Preferisco non fare cenni in merito perché è davvero una notizia incredibile e sarebbe un clamoroso spoiler. Di certo è clamorosa fino all’inverosimile. Oltre al fatto, poi, che la donna era scappata dalla sua dimora che era già incinta e la bimba che ha in grembo è presto in arrivo. Sarà Alia Atreides (Anya Taylor-Joy, meno di un cameo). Ma lasciando da parte la trama in sé, come si può notare, la particolarità che Paul abbia paura di diventare quello per cui era destinato a diventare porta con sé delle considerazioni bibliche e religiose. Come non paragonare quel timore alla paura di Gesù negli ultimi anni della sua vita e soprattutto negli ultimi giorni poco prima del sacrificio sulla croce per cui era arrivato? Come non notare che anche i Fremen attendessero l’uomo che li salverà e che chiamano Messia? E non solo. Difatti il protagonista del film si trova coinvolto in una serie di eventi che lo portano a essere considerato tale dagli abitanti nativi di Arrakis.



Paul ha sempre avuto preveggenza e in alcune di quelle visioni vede se stesso che attraversa quello che è chiamato il Sentiero Dorato e una serie di scelte che lo porteranno al suo destino. Queste visioni sono paragonabili alle rivelazioni divine o profezie che hanno caratterizzato la figura di Gesù. In particolare, il termine “Lisan al-Gaib” utilizzato dai Fremen per Paul significa “Colui che viene dall’Invisibile”, richiamando l’idea di un Messia o profeta. La sua figura può anche essere paragonata a Mosè, il profeta biblico che guidò gli Israeliti fuori dall’Egitto attraverso il deserto verso la terra promessa. Allo stesso modo, Paul guida i Fremen verso il nord e la libertà e la rivolta contro i loro oppressori. Entrambi hanno un ruolo messianico nel liberare il loro popolo. E non è finita: anche la figura del Kwisatz Haderach è abbinata a Paul, cioè un essere superiore con poteri divinatori. La sequenza in cui lui - con un tono di voce totalmente cambiato (la recitazione di Timothée Chalamet è divenuta potente e grossa, prima era, tipicamente, sussurrata) - scatena la sua ira di comando nel grande tempio, ricorda chiaramente come Gesù inveì contro i commercianti che facevano affari nel Tempio di Gerusalemme. Se lì i venditori non capivano il comportamento del Nazareno, qui tutti gli astanti si intimoriscono e lo riconosco in modo definitivo come il loro nuovo capo e guida. In breve, Paul Atreides incarna elementi messianici e religiosi, e il suo percorso su Arrakis presenta diverse analogie con la figura dell’Uomo raccontata dalle scritture cristiane. Tuttavia, è chiaro che il film è una storia di fantascienza e mitologia e queste sono solo e semplicemente personali interpretazioni.



Come scrissi a proposito del primo film, inutile è accennare alla trama, che è complessa ed è brevemente accennata nella scheda e addirittura sono convinto che non ha importanza ai fini del giudizio. Ciò che conta è quello che si vede, che si gode, che si ammira, direi quasi che è sufficiente l’estetica meravigliosa che ne scaturisce perché essa non è vuota, non è fine a se stessa, ma riempie gli occhi e la mente, il cuore e l’anima. Il motivo, in fondo, è semplice e si spiega facilmente perché non esiste al mondo, oggi, un regista che sappia raccontare storie straordinarie come Denis Villeneuve e per giunta con tanta affascinazione. Questa grande opera è bellissima almeno quanto la precedente, è straordinaria nella sua evoluzione artistica e tecnica, è appassionante, è fantasmagorica, con primissimi piani sugli occhi dei principali attori, chiamati ad esprimere i loro sentimenti con le espressioni, con dialoghi mai lunghi e frasi efficacissime. Il regista si adopera ancora una volta, come solo lui sa fare oggi, per raccogliere sullo schermo tutto ciò che esalta i vari momenti, con idee geniali e spettacolari: battaglie, duelli, corse sui giganteschi e voraci vermi, panoramiche che sono il suo marchio di fabbrica, scenografie da brividi, musiche roboanti ma mai invasive. Il colore dominante è l’acciaio brunito e il grigio-sabbia che invade gli ambienti, le armature, le sciarpe, e il rossiccio del panorama dominato da un sole mai tramontato. Un’opera colossale che non delude le attese dei fans del regista (eccomi!) e dei lettori dell’opera magna di Frank Herbert, anche perché – grande merito – egli si attiene puntualmente allo scrittore. E non è detto che sia facile riprodurre un film bellissimo restando fedele alle pagine originarie, anzi si rischia di più.



Facile notare che, mentre alcuni fra i più grandi cineasti del nostro tempo (Nolan, Scorsese, solo per citarne un paio) rivolgono lo sguardo al passato ed esplorano la Storia, Denis Villeneuve è rimasto fra i pochi (assieme, non a caso, ai suoi conterranei canadesi Cronenberg e Cameron) a costruire e poi ad abitare possibili mondi futuri, impregnati però da tensioni e ossessioni assolutamente contemporanee. Lui ci era già andato con due capolavori come Arrival e Blade Runner 2049. Ora con Dune ci torna, ma alzando ulteriormente la posta in quanto a budget, ambizione e visionarietà. La prima parte del, per ora, dittico aveva un andamento contemplativo e immergente nella vastità vuota del deserto, ora tutto diventa più imponente e colossale anche per merito della importante scenografia di Patrice Vermette, la musica di Hans Zimmer (meraviglioso il canto della corista che resta nella memoria e dà senso di mistero e drammaticità), la già accennata fotografia di Greig Fraser. Così il film diventa potente, sontuoso, smisurato, solenne. Pesantemente condizionato dalla Storia dell’umanità che ci ha dimostrato, e ce lo dimostra ancora oggi, che le Guerre Sante non sono mai finite, come inevitabili.



Gli attori sono decisivi per la riuscita e il regista non sbaglia mai nelle scelte (e chi non vorrebbe recitare per lui?): Timothée Chalamet ci ha abituati alla sua poliedricità ma con il suo Paul ha trovato un habitat ideale per dispiegare le sue doti e grazie al regista si esibisce anche in toni mai prima sentiti, è come se avesse atteso da sempre questo ruolo. Bravo? No, bravissimo!

Zendaya è fantastica anche se ha poco modo di esprimersi a parole e piuttosto con i gesti e soprattutto con sguardi intensi, che al termine diventano cattivi e delusi, vista la sorprendete decisione finale del protagonista. Conclusione che, come ci si poteva attendere, ci lascia interdetti e in attesa del terzo episodio che dovrebbe anche essere quello conclusivo. Tra l’altro, a quanto si legge, già in produzione.

Rebecca Ferguson diventa solenne per via del ruolo che deve assumere in qualità di grande sacerdotessa Reverenda, seminascosta dal severo abbigliamento e dai tatuaggi verbali che si ritrova sul viso.

Ancora migliore il personaggio di Gurney Halleck di Josh Brolin rispetto a prima, ora maturo, più esperto, riflessivo e sempre legato al suo duca, insperatamente ancora vivo dopo l’amara sconfitta sul proprio suolo di anni prima.



Tra i tanti che ritroviamo dal primo film, si affacciano nuovi personaggi e interpreti: in primis Christopher Walken e Florence Pugh che recitano molto bene, ma chi imperversa è il sorprendente Austin Butler, passato da Elvis ad un personaggio del tutto pazzoide e spietatissimo, affrontato inevitabilmente dal nostro eroe nel duello della resa dei conti finale che lascerà un solo superstite. Inoltre è Javier Bardem che assume maggior peso nella trama rispetto a prima e quindi si può godere della sua forte e incisiva interpretazione.



Un paragrafo a sé va dedicato però alla Irulan Corrino di Florence Pugh, perché è un personaggio di difficile interpretazione, tra i più enigmatici del romanzo, tanto presente quanto assente, perché appare incisiva nell’intreccio solo alla fine e la decisione di Paul fa intendere quale peso acquisti la ragazza nel prosieguo. Ma la sua importanza viene esaltata dalla introduzione del film lasciata a lei dal regista, allorché la udiamo dire, dal Diario Imperiale, Anno 10191, terzo commento: “La battaglia per Arrakis ha colto tutti di sorpresa. Non ci sono stati testimoni. L’operazione Harkonnen è stata compiuta di notte, senza preavviso, né dichiarazione di guerra. Al mattino, gli Atreides non esistevano più. Tutti morti nell’oscurità. E l’imperatore non ha detto nulla. Da quella notte mio padre non è più stato lo stesso. E neanch’io. La sua inezia è difficile da accettare per me, perché so che amava il Duca Leto Atreides come un figlio.” Parole importantissime per inquadrare la storia e i personaggi.



Son bravi tutti gli interpreti, tutti senza eccezione e ciò è anche dovuto alla maestria di chi li dirige, che è sempre determinante ai fini della resa finale di un intero cast. Denis Villeneuve è, difatti, un maestro riconosciuto e in questo genere – grandioso e solenne – è diventato il maestro assoluto. L’operazione che riesce a fare – girando in Namibia, Giordania, ad Abu Dhabi - è che oltre ad aver realizzato un casting perfetto, riesce ad articolare la personalità dei personaggi senza farli parlare troppo, cioè senza perdersi troppo in speculazioni filosofiche o riflessioni, che invece ad Herbert, a quanto apre, interessavano tantissimo.

Nei prossimi mesi ne vedremo l’ultimo step, dopo di che spero, quale ammiratore confesso, che lasci la fantascienza per tornare lì dove si è affermato anni fa: thriller e dramma. E ne vedremo di meraviglie.



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