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Educazione fisica (2022)

Aggiornamento: 25 gen


Educazione fisica

Italia/Polonia 2022 dramma 1h28’


Regia: Stefano Cipani

Soggetto: Giorgio Scianna (pièce teatrale)

Sceneggiatura: Damiano e Fabio D'Innocenzo

Fotografia: Fabio Cianchetti

Montaggio: Jacopo Quadri

Musiche: Mario Fanizzi

Scenografia: Ivana Gargiulo

Costumi: Katia Dottori


Giovanna Mezzogiorno: preside Diana Peruggia

Sergio Rubini: Aldo Stanchi

Claudio Santamaria: Franco Zucca

Angela Finocchiaro: Rossella Stanchi

Raffaella Rea: Carmen Majano


TRAMA: I genitori di tre alunni vengono convocati dalla preside di una scuola media di provincia: è successo un fattaccio, di cui i loro figli sono i responsabili. Ma è difficile da credere e da accettare. La palestra si trasforma in un’aula di tribunale improvvisata, dove ha inizio un processo feroce nel tentativo ostinato di smentire e nascondere la verità.


Voto 6

L’inquadratura che introduce la seconda opera di Stefano Cipani (Mio fratello rincorre i dinosauri) fotografa una grande scuola di estrema periferia abbandonata e assolata, come quelle a cui i terribili fratelli D’Innocenzo ci hanno abituati: sono proprio loro, infatti, che hanno realizzato la sceneggiatura della trasposizione cinematografica di una pièce teatrale dello scrittore Giorgio Scianna (La palestra), riportando quasi fedelmente le atmosfere e i personaggi rudi e litigiosi dei loro film. In questo scenario arrivano due auto i cui conducenti lasciano scendere i loro due ragazzi che corrono a giocare a pallone nei campetti dell’istituto, un edificio che ospita studenti delle elementari e delle medie inferiori e superiori. Sono Franco Zucca (Claudio Santamaria), un affarista immobiliare prepotente, presuntuoso e cafone dalle maniere spicce, e Carmen Majano (Raffaella Rea), una attraente signora dei quartieri alti della città. Si chiedono, appena entrati nella palestra della scuola dove sono stati convocati dalla preside Diana Peruggia (Giovanna Mezzogiorno), per chissà quale misterioso motivo sono lì: forse li ha notati il giovedì precedente mentre si incontravano clandestinamente fuori della scuola in attesa dei figli, tradendo i loro familiari? Se la causa è quella basterà negare decisamente. Anzi, che rabbia per il troppo indaffarato uomo: dov’è la preside, è in ritardo!

Mentre Franco cerca di approfittare dell’assenza di persone per entrare in confidenze fisiche con la donna, giungono altri due genitori, anch’essi convocati. Sono una coppia piuttosto ordinaria: Aldo (Sergio Rubini), un dipendente dello sportello accettazione dell’ospedale, e sua moglie Rossella (Angela Finocchiaro), donna dimessa che tiene al guinzaglio il loro cagnolino. Anche loro chiamati dalla dirigente scolastica? E che sarà mai accaduto? Mentre tutti e quattro costruiscono fantasiose ipotesi, innervositi dall’attesa e mentre i ragazzi – compreso il figlio di colore adottato dalla coppia – giocano fuori, hanno modo di conoscersi e ovviamente si stabiliscono anche le distanze sociali che il finto disponibile Franco non tarda a far pesare. Quando finalmente la Peruggia arriva inizia il colloquio, volutamente tenuto da quest’ultima in totale riservatezza, senza l’intervento né dei ragazzi (che non devono conoscere l’oggetto della discussione) né di altri genitori. Il motivo è estremamente grave e non è neanche uno spoiler, dato che salta evidente ben presto e ha la centralità dell’argomento trattato dal film: una ragazzina è stata molestata, maltrattata e stuprata proprio dai tre loro figli e proprio in quella palestra, luogo di educazione fisica ma evidentemente per nulla di quella morale e civile.

Apriti cielo! Mio figlio? Ma è impossibile, non è proprio il tipo. È un ragazzo per bene e ben educato! Ma di cosa va parlando questa donna? Anzi, la piega che prende la reazione dei quattro è quella che purtroppo spesso si riscontra in questi tempi malati: sicuramente è lei che ha voluto stuzzicare i giovanottini, che magari era impasticcata o li ha accusati scambiandoli per altri. E così via, come sempre succede quando non si accetta una brutale verità, sostenendo che la storia del branco sia irreale, che sicuramente (la considerazione peggiore, ahimè) sarà stata lei che se l’è andata a cercare. D’altronde ogni proprio figlio è sempre tra i migliori, è bravo anche nello sport, non farebbe male ad una mosca. E pur di difendere le proprie posizioni i quattro, spinti dall’insopportabile faccendiere – il più irrequieto, il più nervoso, il più aggressivo -, passano al contrattacco accusando la preside di aver creduto troppo ingenuamente alla signorina, di aver ricostruito l’accaduto solo sulla base delle sue isterie. Ma in seguito alla minaccia di dover obbligatoriamente avvertire la polizia, la reazione dei genitori diventa quasi violenta. Ciò che accade dopo è un epilogo tragico e imprevedibile. Che diventa sicuramente una sorpresa ma parte da un gesto del tutto inattendibile ed improbabile da parte della preside.

Quella palestra, alquanto fatiscente, come tante nelle scuole italiane, era diventato una vera aula di tribunale con un processo in cui l’accusatrice era in minoranza e indebolita dalla violenza verbale dei convocati: la riservatezza che la preside aveva giustamente preteso prima di denunciare l’accaduto si rivela così pericolosa, trovandosi sola alla mercè delle reazioni degli altri. Interamente girato all’interno del luogo, il film si dichiara immediatamente un vero kammerspiel, in cui, per salvare il proprio orto, ognuno reagisce cercando di sbranare l’altro; poi ,pian piano, l’alleanza dei quattro si rivela conveniente e diventa un fronte forte e coeso, teso a vincere la battaglia verbale e quasi fisica, come l’educazione del posto, lasciando poco spazio alla morale e alla civiltà che dovrebbe invece far riflettere chi ha il dovere di educare e sorvegliare i figli con attenzione e obiettività. Tuttavia, si creano, nel gruppo, alleanze variabili, a seconda dei momenti, giusto come avviene nello splendido Carnage di Polanski, uno dei migliori esempi di kammerspiel dell’era attuale.

La recitazione subisce la matrice teatrale (particolare che non è un difetto, anzi) e ha quindi forte influenza sul risultato finale che, a tratti, sembra meno cinema di ciò che si potrebbe attendere. L’ambiente chiuso e il cast ristretto accentuano ed esaltano a loro volta la narrazione chiusa in spazi ristretti, claustrofobica, ad alto tasso di tensione psicologica, tipica appunto del genere tedesco citato. I veri problemi del film di Stefano Cipani non vengono dalla regia, sebbene sia senza grandi guizzi né trovate originali, con movimenti di macchina canonici e inquadrature scontate, piuttosto (e questa mia asserzione può far storcere il naso) dalla sceneggiatura dei celebrati fratelli D’Innocenzo, da cui ormai ci si attende sempre la novità e la rivoluzione artistica: i personaggi sono per nulla dipinti con cura e sfumature, ma piuttosto creati con l’accetta, a grandi colpi di arma bianca, rendendo ognuno di loro così standardizzati e così stereotipati che paiono macchiette. Il modesto impiegato che valorizza il suo umile lavoro, la casalinga che pare sia arrivata da Varazze, la bella donna sposata che tradisce, ma soprattutto e in maniera sfacciata l’uomo d’affari immobiliari invadente e maleducato, che non ha tempo da perdere. Maggiormente perché il pur valente Claudio Santamaria carica il suo personaggio fino ad ingrossarlo nei suoi difetti, sicuramente sotto le indicazioni del regista. Così fortemente caratterizzato da perdere in credibilità. L’argomento è scottante e serio e non viene maltrattato dal regista e dagli sceneggiatori, ma nell’insieme non è complessivamente apprezzabile e si arriva al momento cruciale incuriositi ma stanchi. Fino a quel momento non mi suscita un giudizio positivo, che però cambia indirizzo per la trovata del vero finale, una soluzione probabile ma non scontata che fa guadagnare qualche apprezzamento in più, avvicinando la valutazione ultima a sfiorare la sufficienza. Peccato, quindi, per i dialoghi dialetticamente scontati e per la caratterizzazione dei personaggi, e menomale per il finale quasi sorprendente, che, volendo, è anch’esso un classico.

La domanda di fondo è: fino a dove puoi spingerti per cambiare la verità? È giusto o riprovevole che i genitori difendano l’indifendibile ad ogni costo, solo per salvare la loro reputazione e quella dei figli?

Detto già della regia, i bravi attori sono esperti e sanno giostrarsi sulla scena. Unica eccezione è la solitamente brava Giovanna Mezzogiorno troppo scarificata in una recitazione da baritono che non saprei imputare a chissà quale ragione. È come se il regista abbia scelto di esaltare alcune figure, eccitandole oltre i livelli di guardia, e tenere a freno la preside della nostra attrice, che, va detto, è ormai da alcuni anni che non trova più ruoli belli come quelli di tempo addietro.

Il materiale di base è buono e importante, essendo un argomento urgente e purtroppo sempre attuale., ma è scontato supporre che un regista più “cattivo” ne avrebbe ricavato un film senz’altro più incisivo.


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