Eileen (2023)
- michemar
- 12 minuti fa
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Eileen
USA/UK/SudCorea 2023 thriller 1h37’
Regia: William Oldroyd
Soggetto: Ottessa Moshfegh (romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Luke Goebel, Ottessa Moshfegh
Fotografia: Ari Wegner
Montaggio: Nick Emerson
Musiche: Richard Reed Parry
Scenografia: Craig Lathrop
Costumi: Olga Mill
Thomasin McKenzie: Eileen Dunlop
Anne Hathaway: Rebecca
Shea Whigham: Jim Dunlop
Marin Ireland: Anne Polk
Owen Teague: Randy
Sam Nivola: Lee Polk
Siobhan Fallon Hogan: Sig.ra Murray
Tonye Patano: sig.ra Stevens
Peter McRobbie: direttore penitenziario
Jefferson White: Buck Warren
Peter Von Berg: dott. Frye
TRAMA: La vita di Eileen è disperatamente intrappolata tra il prendersi cura del padre alcolizzato e fallito e il suo deprimente lavoro come segretaria in un penitenziario minorile. Qualcosa sembra cambiare con l’arrivo di una nuova collega, con cui Eileen stringe subito amicizia. Il loro rapporto, però, prende presto una piega sinistra.
VOTO 6,5

Nel nordest americano del New England, in una delle tante periferie del Massachusetts, gli inverni seguono altri inverni, quasi come se in quella regione ci sia una sola stagione che copre di neve ghiacciata tutto il paesaggio. Siamo in quella provincia tante volte narrata e fotografata su libri e film in cui la gente non vive una vera vita sociale ma si rintana o in casa davanti alla TV bevendo qualche bicchiere oppure si ritrova nei bar bevendo qualche altro bicchiere di whiskey mentre il jukebox fa ballare le coppie al ritmo della black music o del blues. Non ci sono alternative e chi cerca vie d’uscita è sparito dalla circolazione, forse spostato in città vicine. Vite monotone sotto la dittatura dell’alcolismo, come il padre della protagonista Eileen (Thomasin McKenzie), l’ex guardia carceraria Jim (Shea Whigham) che bivacca letteralmente in casa tenuto vivo – o ucciso lentamente – da due bottiglie quotidiane che gli porta la figlia, rimasta impigliata nella cittadina dopo essere stata assunta come segretaria (o quasi, essendo la terza e la più giovane) nello stesso istituto penitenziario, luogo di correzione per ragazzi adolescenti.
Timida, insicura, impacciata, Eileen, che via via diventerà cinica e spietata, ama osservare i vizi altrui, guarda con disprezzo la maggior parte degli abitanti della mesta periferia in cui vive, mai truccata e ben vestita, cerca di navigare sottacqua per non essere notata, né tantomeno viene considerata, anzi forse perfino evitata, e ciò un po’ le sta bene e un po’ la deprime, perché in fondo non essere considerati per nulla non è piacevole, soprattutto per una giovane che ha l’età per avere un fidanzato. Ed invece sfoga la solitudine ed il bisogno sessuale andando a parcheggiare con l’auto vicina a quelle delle coppiette appartate, dove deve ricorrere a qualche manciata di neve per raffreddare i bollori. In carcere ha modo di tenere sotto osservazione il secondino Randy (Owen Teague) verso cui fantastica ingroppate selvagge, salvo poi tornare al presente e conoscere più banalmente la mamma di un giovane carcerato, condannato per aver trucidato a pugnalate il padre mentre dormiva accanto alla moglie. È un caso che la incuriosisce mai immaginando che un giorno, o, meglio, una notte – è di notte che succedono le cose più importanti in questo film – il suo tragitto incrocerà quello della signora.
La monotonia che uccide ogni cosa in quel posto dimenticato da Dio, un giorno arriva una nuova psicologa che deve studiare i casi più difficili, tra cui appunto quello di quel giovane. È Rebecca (Anne Hathaway), una elegante donna spigliata che subito entra in sintonia con quella insignificante segretaria. L’amicizia nasce istantanea e il passo successivo è quello di un invito al bar per l’immancabile Martini o bourbon. In quell’ambiente è facile immaginare le reazioni dei buzzurri che notano le due donne prima simpatizzare e bere da sole e poi addirittura ballare in maniera sensuale. Rebecca, disinvolta come ogni persona indipendente e noncurante degli sguardi e delle dicerie, non nasconde la sua simpatia alla giovane e Eileen casca con entrambi i piedi nel fascino della libertà e della emancipazione dell’altra e da quel momento comincia a truccarsi e a vestirsi meglio con gli abiti della mamma ormai morta da qualche anno. Cosa che fa imbestialire il possessivo e violento padre, sempre ubriaco. Eileen crede di stare vivendo la agognata svolta della vita e magari l’evasione che sogna da sempre, perdipiù con una donna da cui si sente davvero attratta, in tutti i sensi. Fin quando arriverà veramente la svolta, ma non quella che poteva pensare, anche a causa di una maledetta pistola che la polizia ha sequestrato al padre e consegnata proprio a lei che ora ha il compito di custodire.
Più che un reale giallo, è un thriller pesantemente mentale che si riesce ad annusare sin dall’inizio, dall’aria che si respira dalle prime sequenze, dove la vita glaciale e buia del lungo inverno non promette nulla di buono. Si tratta solo di attendere chi, tra i vari personaggi che transitano sulla scena, diventi quello che scuote la monotonia della protagonista e dia il via allo smottamento del terreno che pareva così ghiacciato che non si sarebbe mai mosso. Le uniche novità di quel posto sono i crimini, piccoli o grossi che siano, per tornare poi al trantran solito. Ciò che però scuote la mente di Eileen è qualcosa di allogeno, di innovativo e spiazzante: una bionda indipendente come un uomo, cosa che per lei non esisteva neanche nell’immaginazione, né tantomeno nelle fantasie con cui si sentiva libera per qualche secondo: una scopata agognata o uno sparo immaginario verso la persona odiata in quel momento. La domanda che viene spontanea allo spettatore è fino a che punto lei può fidarsi di quella estranea arrivata lì come un fulmine a ciel sereno. Chi è veramente Rebecca? È la persona giusta per liberarsi da quell’ambiente in cui non ha mai voluto restare? Ma soprattutto, lei, così inesperta, saprebbe guidare il cambiamento e l’evasione, infischiandosi del padre ridotto a morire o a impazzire come la madre? Ed infine, Rebecca è davvero un’amica?
Ancora una volta, come nel film d’esordio, il notevole Lady Macbeth, William Oldroyd al suo secondo lavoro affronta la storia di una donna costipata in un ambiente che odia. Basato sul romanzo di Ottessa Moshfegh, qui anche cosceneggiatrice, il film si tuffa negli anni Sessanta avvolto dagli abiti e dalle pettinature femminili del periodo, dai brani tipici, ma non dai colori pastello che tanti registi utilizzano per dipingere i tempi, perché appunto l’inverno del New England è più nero che grigio, come il futuro che si prospetta a quegli abitanti. Non si vede un giovane neanche a pagarlo, se non quei pochi che compaiono nelle auto imboscate o in cella. Gli altri invecchiano precocemente tra l’alcol e il lavoro. La libertà della donna pare limitata alla bottiglia o alle sigarette, e la protagonista, quasi senza saperlo, sente il bisogno di non essere una donna come le altre, avverte il sesso come una curiosità al contempo morbosa e puritana. Eppure Eileen è romantica e sognatrice, fantastica di vivere storie d’amore, appassionati coiti, momenti di intensità sublime: “Scommetto che sogni altri mondi” le dice, appena conosciuta, l’elegantissima Rebecca Saint John, e una donna dal nome tanto hitchcockiano non può portare niente di buono, è chiaro.
Chi apprezza il film avverte, più che il giallo, il passo da melodramma hollywoodiano, l’atmosfera incombente che non promette nulla di buono, che soffoca come gli scarichi di fumo dell’auto, che fa la spola tra l’attrazione seducente tra le due donne e la tragedia che inganna. Un dramma psicologico che non prospetta niente di positivo alla fanciulla spenta, che però sogna, vorrebbe essere, crede di poter essere matura e sofisticata come la psicologa per cui ha perso la testa, e in un certo senso è come se tramite lei si innamorasse, finalmente, di se stessa, non essendosi mai stimata fino ad allora.
L’interpretazione di Thomasin McKenzie è elettrica, è spigolosa come il suo viso, ormai cresciuta e maturata per impegni meno leggeri com’è stato fino adesso: è un’attrice in piena evoluzione e questo film ne è una prova, positiva e talentuosa. Anne Hathaway è luminosa e oramai vera grande interprete da molto tempo soprattutto nei drammi, capace di saper diventare qui una femme fatale pronta ad ogni evenienza. Dal canto suo, William Oldroyd se la cava bene per quasi l’intera durata, ad eccezione per un calo di tensione e quindi di attenzione nella parte centrale, forse per accentuare la monotonia di un luogo già morto di suo.
Giallo? Thriller? Di certo mélo noir, con un finale che lascia spiazzati per la incertezza dell’ultima scena.
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