El Conde
Cile 2023 commedia fantastica 1h50’
Regia: Pablo Larraín
Sceneggiatura: Guillermo Calderón, Pablo Larraín
Fotografia: Edward Lachman
Montaggio: Sofía Subercaseaux
Musiche: Juan Pablo Ávalo, Marisol García
Scenografia: Rodrigo Bazaes
Costumi: Muriel Parra
Jaime Vadell: Augusto Pinochet
Gloria Münchmeyer: Lucía Hiriart
Alfredo Castro: Fëdor
Paula Luchsinger: Carmencita
Catalina Guerra: Luciana Pinochet
Marcial Tagle: Anibal Pinochet
Amparo Noguera: Mercedes Pinochet
Diego Muñoz: Manuel Pinochet
Antonia Zegers: Jacinta Pinochet
Clemente Rodríguez: Claude Pinochet
Stella Gonet: Margaret Thatcher
TRAMA: Augusto Pinochet non era morto ma un vecchio vampiro. Dopo aver vissuto 250 anni in questo mondo, ha deciso di morire una volta per tutte.
Voto 6,5
Per Pablo Larraín, Pinochet è sempre stato un fantasma e ora, finalmente, ne fa giustizia e lo presenta come un vampiro, degna configurazione da parte di un cittadino del popolo cileno. L’anima nera del dittatore vagava molto nei suoi primi film che lo hanno reso celebre in tutto il mondo: in Tony Manero (2008), Post Mortem (2010) e No - I giorni dell'arcobaleno (2012), e se vogliamo anche in Il club, che ne mostra la coda tragica delle conseguenze, lo spirito negativo aleggiava nell’atmosfera come una cappa di piombo, anche perché quelli erano davvero anni di piombo, quello dei proiettili sparati dall’esercito contro la popolazione, ma specialmente per la sparizione di chi protestava. Il piombo che uccise il presidente Salvador Allende, rappresentante della politica della sinistra. In quel momento al potere nel Palazzo della Moneda. Ora il regista lo porta materialmente sullo schermo e lo descrive come un vampiro la cui origine risale ai tempi della Rivoluzione Francese, quindi quasi due secoli e mezzo fa, quando riuscì a rubare la testa mozzata della regina Maria Antonietta ed iniziò così la sua attività connaturata, cominciando a nutrirsi di sangue e cuore dei malcapitati.
Ora il generale Pinochet (Jaime Vadell) si è ritirato in una terra sperduta, in Patagonia, dove vive in una sorta di fattoria con la moglie Lucía (Gloria Münchmeyer) e il maggiordomo Fëdor (il fidato e immancabile attore Alfredo Castro), un russo bianco che in vita addestrava i suoi squadroni della morte e ora gli procura vittime da mordere. Decrepito e amareggiato da un giudizio storico sempre più critico sulla sua figura, Pinochet ha deciso di lasciarsi morire, rinunciando quindi a nutrirsi di sangue umano. Quando però sembra cambiar idea all'ultimo momento, i suoi cinque figli di mezz’età, determinati ad ereditare il patrimonio che l'immortale genitore ha nascosto in giro per il mondo, assoldano una suora, Carmencita (Paula Luchsinger), perché si infiltri nella villa come contabile e si conquisti la fiducia di Pinochet. Da una parte lui, deciso a resistere fino a quando decide di farla finita, ubbidito ciecamente (ma sino ad un certo punto) solo dal maggiordomo, da un’altra parte la moglie che si dichiara fedele (anch’ella sino ad un certo punto) ed infine lo schieramento opposto: i figli ingordi che non provano alcun sentimento verso il padre se non la voglia insaziabile di arrivare a mettere le mani sull’eredità, di cui l’anziano ha poco rendiconto. La sorpresa, l’intrusa, è la suora che si mimetizza laicamente, ingaggiata dai figli per entrare nella sua intimità e carpirgli i segreti della ricchezza nascosta o sparsa per il mondo.
Succederà di tutto, cambieranno le alleanze a seconda dei momenti e delle convenienze, perché qui è una lotta senza sconti. Ma, quindi, è un film storico, una commedia, un horror vampiresco? No, girato totalmente in bianco e nero, ad eccezione degli ultimi fotogrammi, è in realtà una commedia dark/horror che ipotizza un universo parallelo ispirato alla storia recente del Cile. Il film ritrae Augusto Pinochet, un simbolo del fascismo mondiale, nei panni di un vampiro che vive nascosto in una villa in rovina nella fredda estremità meridionale del continente: nutre il suo desiderio di malvagità al fine di perpetuare la propria esistenza. Dopo duecentocinquanta anni di vita, Pinochet decide di smettere di bere sangue e di abbandonare il privilegio della vita eterna. Non può più sopportare che il mondo lo ricordi come un ladro. A dispetto della natura deludente e opportunistica della sua famiglia, trova una nuova ispirazione per continuare a vivere una vita di passione vitale e controrivoluzionaria attraverso una relazione inaspettata, quella con la suora che, una volta morsa, diventa anche lei una vampira. Quasi come tutti.
Ma da dove nasce l’esigenza da parte di Pablo Larraín a girare un film di questo genere e con questi contenuti lo spiega lui stesso, anche se la mia introduzione ne è già una spiegazione. “Ho trascorso anni immaginando Pinochet nelle vesti di un vampiro, come un essere che non smette di imperversare nella storia, sia nella nostra immaginazione che nei nostri incubi. I vampiri non muoiono, non scompaiono, e nemmeno i crimini e le ruberie di un dittatore che non ha mai affrontato la giustizia. Io e i miei collaboratori volevamo mettere in evidenza la brutale impunità che Pinochet rappresenta. Mostrandolo per la prima volta apertamente, in modo che il mondo potesse cogliere la sua vera natura: vedere il suo volto, respirare il suo odore. Per questo, abbiamo utilizzato il linguaggio della satira e della farsa politica, in cui il Generale soffre di una crisi esistenziale e deve decidere se vale la pena continuare la sua vita come vampiro, bere il sangue delle sue vittime e punire il mondo con il suo male eterno. Un monito allegorico del perché la storia debba necessariamente ripetersi, per ricordarci quanto le cose possono diventare pericolose.”
Ed in effetti, è una commedia di profonda satira, acida, non cattiva ma pungente, sarcasticamente riuscita ma purtroppo in alcuni momenti noiosa, anche se non si sa mai quale piega possa prendere la narrazione. I personaggi, interpretati da attori validi, sono caricati, anneriti, incattiviti: non c’è da fidarsi mai per quello che dicono, tant’è che spesso si contraddicono nel comportamento alcuni minuti dopo. Come ogni decente horror, alcune scene possono essere ritenute disgustose da chi non sopporta il genere, ma è chiaro che il regista voleva provocare, quindi disgustare per dare un senso alla esistenza nefasta del dittatore. Alcune sequenze sono così apertamente e volutamente irritanti che diventano comiche, seguendo appunto le intenzioni provocatorie dell’autore. Il culmine storico, oltre ovviamente alla trama irreale, si raggiunge quando compare in scena una certa Margaret Thatcher, dando così una spiegazione logica alla voce narrante che è una donna che ci illustra gli eventi in inglese con una perfetta pronuncia, che ricorda vagamente l’interpretazione che ne fece Meryl Streep a suo tempo. Anche la premier britannica nel mondo di Pinochet!
C’è un po’ di tutto Pablo Larraín in questa scrittura, partendo da Alfredo Castro, protagonista assoluto dei primi due film citati, fino ad accumulare eventi ricostruiti ai fini della derisione macabra del personaggio del titolo, che, da buon vampiro, si sposta nella fredda campagna cilena in volo, rassomigliante più ad un condor che ad un conte, in perfetta divisa militare con tanto di mantello a mo’ di ali di pipistrello. Ma alla fine della visione ci si accorge che, se uno spettatore non l’abbia visto, non sia perso granché ma non perché sia un brutto film, ma solo in quanto sorge una domanda: era proprio necessario? La risposta è, forse, che era imprescindibile e doveroso nell’animo dell’autore dal momento che sono noti i legami con la dittatura che ebbe l’influente famiglia Larraín. Già.
In ogni caso, a mio parere, è un Larraín sottotono e non all’altezza delle opere precedenti ma merita la piena sufficienza perché è un film fatto bene, una fotografia cupa come il personaggio, un film che serve, a suo modo, per non dimenticare l’infausto periodo storico del Cile, parallelo a quello ugualmente sciagurato dell’Argentina di Videla.
Riconoscimenti
2023 – Festival di Venezia
Premio Osella per la migliore sceneggiatura
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