Elvis
USA/Australia 2022 biografico 2h39’
Regia: Baz Luhrmann
Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Sam Bromell, Craig Pearce, Jeremy Doner
Fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Matt Villa, Jonathan Redmond
Musiche: Elliott Wheeler
Scenografia: Catherine Martin, Karen Murphy
Costumi: Catherine Martin
Austin Butler: Elvis Presley
Chaydon Jay: Elvis Presley bambino
Tom Hanks: col. Tom Parker
Helen Thomson: Gladys Presley
Richard Roxburgh: Vernon Presley
Olivia DeJonge: Priscilla Presley
Luke Bracey: Jerry Schilling
Natasha Bassett: Dixie Locke
David Wenham: Hank Snow
Kelvin Harrison Jr.: B.B. King
Xavier Samuel: Scotty Moore
Kodi Smit-McPhee: Jimmie Rodgers Snow
Leon Ford: Tom Diskin
Kate Mulvany: Marion Keisker
Josh McConville: Sam Phillips
Dacre Montgomery: Steve Binder
TRAMA: È la storia della più celebre star del R&R Elvis Presley vista attraverso gli occhi del suo controverso manager, il colonnello Tom Parker. Il film esplora gli alti e bassi di Elvis Presley e le molte sfide e controversie che ha ricevuto nel corso della sua carriera.
Voto 7,5
Il biopic è un filone che nella storia del cinema, per il numero considerevole dei film che vi fanno parte, si è guadagnato negli anni il merito di essere quasi un vero e proprio genere a sé, non tutti riusciti – per essere a volte troppo romanzati, celebrativi o agiografici oppure per non essere sufficientemente obiettivi o anche semplicemente perché di qualità mediocre – ma talvolta molto ben costruiti e appassionanti. Si celebrano così personaggi celebri in ogni campo delle attività umane (scienza, sport o arte) ma spiccano più di tutti i film riguardanti attori e cantanti. Gli ultimi successi veri, anche discussi, in verità, sono stati quelli riguardanti Freddy Mercury (Bohemian Rhapsody), Elton John (Rocketman), Judy Garland (Judy) ma la riuscita del film dipende moltissimo, oltre che dalla regia e da tutto il cast tecnico, dall’attore protagonista che, se si mimetizza senza cercare di imitarlo goffamente, rende credibile il personaggio, come è stato il caso della Jacqueline Kennedy di Natalie Portman (Jackie) o la Garland di Bridget Jones. La scelta del semisconosciuto Austin Butler da parte di Baz Luhrmann si è rivelata molto azzeccata anche per la predisposizione canora e fisica dell’attore, aiutato ovviamente dal giusto trucco che lo ha fatto assomigliare non poco. In più, il suo naturale talento per il canto lo ha aiutato enormemente, avvicinandosi alla impossibile missione di imitare molto bene Elvis nelle tantissime esibizioni in cui ha dovuto recitare, fino a quasi diventarne un sosia.
L’introduzione serve a dare un’idea di ciò che questo regista - con la sua ben nota cifra stilistica di operatore sfavillante di luci, colori, movimenti di macchina, scenografia sgargiante, musica a dominare le scene - ha voluto dare al protagonista e al suo comprimario, il colonnello Tom Parker (inquadrato pressappoco come e quanto il personaggio principale): il massimo splendore per un artista che ha segnato per più di vent’anni la scena musicale dell’intero pianeta e che continua ancora a splendere come una stella del firmamento dello spettacolo. Chi ha vissuto quegli anni lo ha conosciuto e apprezzato ma chi oggi è giovane ha solo (e forse neanche) sentito parlare di questa icona intramontabile, che ha dominato la musica di un Rock&Roll che non era un semplice riff ma un meraviglioso appuntamento storico tra il soul della popolazione nera del Tennessee, il Rhythm and Blues che più black non si può e il country di pura discendenza bianca. Una miscela che nella sua mente, nei gesti scenici, nei movimenti sensuali del bacino che tanti nemici si fecero tra i conservatori ipocriti del tempo, divenne una ricetta che faceva impazzire istericamente le centinaia di ragazzine (e a quanto pare anche le più mature donne, annoiate dalla vita coniugale monotona) che si assiepavano ai bordi del palcoscenico su cui Elvis si esibiva a pochissimi metri, pur di poterlo sfiorare e lanciargli le mutandine. Rito che nel corso degli anni si completò con un progressivo avvicinamento fisico, fino al bacio sulle labbra per chiunque di loro che si offrisse. Quello di Elvis non era un successo, era molto di più, era un totalizzante esplosivo roboante colorato infuocato sensuale trionfo musicale e fisico, con movimenti del corpo che l’FBI sorvegliava con decine di agenti per trovare il minimo pretesto per poterlo arrestare per gesti osceni e bloccare i concerti successivi.
Con il rammarico di chi aveva adocchiato il giovane adolescente di Memphis e ne aveva intuito con largo anticipo e soprattutto senso degli affari: quel misterioso e sedicente colonnello grasso e furbo che si faceva chiamare Tom Parker ma che in realtà era un certo Andreas Cornelis van Kuijk nato in Olanda, dotato di enorme acume per gli affari e che, dopo aver preso contato con il giovanissimo Presley, lo guidò per tutta la vita inventando di sana pianta il modo di essere manager e di gestire la carriera del cantate, procurandogli contratti d’oro per concerti in tutta America e per il cinema di Hollywood. La sua gestione della carriera di Presley ha riscritto le regole del ruolo del manager nell'industria dell'intrattenimento ed è ritenuta fondamentale nel successo ottenuto da Elvis. Egli mostrava una dedizione totale agli interessi del suo assistito (e ai propri, come ampiamente narrato dal film). Prese un compenso percentuale molto superiore al tradizionale 10% delle entrate, arrivando anche al 50% verso la fine della vita di Presley; tuttavia, riuscì a far diventare il cantante una star di livello mondiale, il quale diceva di Parker: “Non penso che sarei diventato così grande con un altro manager”. Litigarono più volte e il vecchio lo attendeva sempre sulla sponda del fiume, dove puntualmente Elvis passava per tornare assieme.
Se il nostro divo non faticò ad affermarsi nella musica, iniziando da quando quel ragazzino andava in estasi mistica ascoltando i brani soul nei locali riservati ai neri, fino ai maggiori teatri e hotel lussuosi delle grandi città americane come Las Vegas e simili, difficile invece fu il rapporto con il cinema, dove, più che altro, volevano sfruttare la sua presenza anche per film mediocri. Scrisse Gianni Amelio. “Quando girò il suo primo film, Elvis Presley aveva appena compiuto vent'anni. Il colonnello Parker, che gli faceva da agente con piglio militaresco, lo scaraventò da un giorno all'altro sul set di un western in bianco e nero, dove la sua presenza scatenò un mezzo putiferio. Non era il protagonista, doveva recitare con attori più esperti di lui e, cosa grave, non era previsto che cantasse. In fretta e furia riaggiustarono il copione e cambiarono il titolo, che diventò ‘Love Me Tender’, dall'omonima canzone che Elvis strimpellava alla chitarra e ripeteva nel finale, riapparendo in sovrimpressione come un fantasma. Dato che il personaggio moriva, fu un espediente per non sconcertare il pubblico, che si aspettava ben altro. A parte qualche innocua cavalcata e una dozzina di tiri con la pistola, a Presley non era richiesto molto movimento nel film. E la cosa, per uno soprannominato The Pelvis, cioè il bacino, suonava offensiva. Come se, infagottandolo nei panni del cowboy, qualcuno avesse deciso di gettare acqua sui bollori dei fans. Ma il film incassò molto - in Italia si chiamava ‘Fratelli rivali’ - e meglio ancora andarono i successivi, dove le parti gliele cucirono su misura. Il terzo e il quarto furono i suoi migliori (‘Il delinquente del Rock'n'Roll’ e ‘La via del male’). Gran talento musicale, fenomeno di costume clamoroso, Elvis Presley non legò mai con la settima arte. Forse fu lui a non appassionarsi alla recitazione, o il cinema serio che lo snobbò.”
Il film di Baz Luhrmann abbraccia tutto il periodo dalla adolescenza fino alla morte prematura, quando ormai era in piedi solo per miracoli chimici, tra pillole per stare sempre all’erta e siringhe che il dottore gli faceva - su spinta del ferreo manager che non voleva perdere quattrini - per farlo restare in piedi per i concerti, durante i quali, ormai ingrassato e male in arnese, faceva fatica a tirar fuori l’aria a pieni polmoni per fare acuti e note alte, mentre sudava come in una sauna. La moglie Priscilla cercava disperatamente di salvarlo dalle grinfie di chi lo sfruttava fino allo spegnimento ma, arresasi, andò via neanche disturbata dallo stormo di ragazze con cui passava le notti: era la salute e la vita del marito che la preoccupavano e non servì neanche la presenza e l’amore della figlioletta a normalizzare la situazione e a condurlo ad una vita più regolata. Tra decine e decine di canzoni cantate in concerto e veloci sequenze che seguono il personaggio nella vita privata, è un continuo susseguirsi di vicende dell’esistenza frenetica che vide Elvis vivere troppo velocemente, saltando da un palcoscenico all’aereo personale per essere portato nella città successiva, un concerto dietro l’altro, con persone che vedevano in lui solo affari. Il colonnello in prima linea. Film che si poteva e si doveva fare solo con un regista come questo, con un cinema come il suo, così come lo abbiamo sempre visto all’opera. Non amo Luhrmann, non amo il suo cinema troppo chiassoso e ipercolorato, ma è risultato il regista adatto per trasmettere i colori, le paillettes luccicanti, gli abiti che solo Elvis ha indossato, la frenesia e il caos organizzato del divo, i primi piani sul viso suo e di Parker, che dovevano darci il messaggio di ciò che stava succedendo. Questo è sicuramente il miglior film che Baz Luhrmann abbia mai girato perché è il regista più adatto di tutti per sfornare un prodotto come questo, riscuotendo anche il merito di aver scelto il giovane prestante Austin Butler, molto bravo nell’esibirsi Elvis. Chi sbalordisce è anche Tom Hanks, seminascosto da un pesantissimo lavoro di trasformazione plastico-fisica soprattutto sulla faccia e se non si è al corrente della sua partecipazione diventa difficile capire chi sia l’attore, specialmente nel finale da anziano. Lo tradisce solo la sua voce inconfondibile a cui dà un tono differente (in verità lo fa sempre per ogni personaggio, lui che ne ha fatti cento diversi!) e una cadenza particolare. Bravissimo, sorprendente, malleabile come in ogni occasione, una sicurezza per ogni regista che lo ha voluto. Un grande! E il regista non relega in secondo piano il suo ruolo, anzi in alcuni frangenti è semplicemente il coprotagonista, tanta fu l’influenza che ebbe sul suo giovanotto dalle uova d’oro.
Il film riesce anche a dare il tempo e la cadenza necessaria al declino fisico e mentale di Elvis Presley, che scompare ai nostri occhi nella sua auto per l’ennesimo concerto e dalla vita terrena a soli 42 anni, lasciando sconcertati i fans di tutto il pianeta che non si attendevano un crollo così precoce. E bene fa il regista a regalarci, anche se solo per alcuni minuti, alcune scene di repertorio in cui finalmente ascoltiamo la vera voce, momenti che ci ricordano quale stile unico avesse, quale carisma riusciva a spandere intorno, quale magia creava intorno a sé con quelle canzoni che sono per sempre nella nostra memoria collettiva.
Film buonissimo, una sorpresa per me perché non mi attendo mai granché dai biografici, che sono spesso una delusione. Ed invece questo è il miglior biopic su un cantante che io abbia mai visto assieme (forse) a Judy. Bravi tutti, dal regista agli attori, dagli scenografi ai truccatori e a chi, scrivendo a otto mani la sceneggiatura, ha voluto menzionare alcuni grandi della black music che tanti non ricordano più: B.B. King, Mahalia Jackson, Little Richard. Ed un applauso alle tante cantanti sconosciute che si sono espresse con la loro stupenda voce nei cori dei teatri e delle chiese evangeliche con meravigliosi gospel e brani soul.
Un gran film per un grandissimo artista perso troppo presto, per colui il quale detiene il record assoluto nella storia per dischi venduti da un cantante singolo.
Riconoscimenti
Premio Oscar 2023:
Candidatura miglior film
Candidatura miglior attore a Austin Butler
Candidatura migliori costumi
Candidatura miglior sonoro
Candidatura miglior trucco e acconciatura
Candidatura migliore scenografia
Candidatura migliore fotografia
Candidatura miglior montaggio
Golden Globe 2023:
Miglior attore in un film drammatico a Austin Butler
Candidatura miglior film drammatico
Candidatura miglior regista
Comentarios