Emily
UK/USA 2022 biografico 2h10’
Regia: Frances O’Connor
Sceneggiatura: Frances O’Connor
Fotografia: Nanu Segal
Montaggio: Sam Sneade
Musiche: Abel Korzeniowski
Scenografia: Steve Summersgill
Costumi: Michael O’Connor
Emma Mackey: Emily Brontë
Alexandra Dowling: Charlotte Brontë
Fionn Whitehead: Branwell Brontë
Amelia Gething: Anne Brontë
Oliver Jackson-Cohen: William Weightman
Adrian Dunbar: Patrick Brontë
Gemma Jones: zia Branwell
Veronica Roberts: Tabby
Gerald Lepkowski: Mr. Linton
Cara Foley: Mrs. Linton
Paul Warriner: reverendo Miller
TRAMA: Il viaggio trasformativo, esilarante ed edificante della femminilità di Emily Bronte, ribelle, disadattata e destinata a divenire una delle scrittrici più famose, enigmatiche e provocatorie del mondo, morta troppo presto all’età di trent’anni.
Voto 6,5
“Un romanzo che avrebbe potuto essere scritto da un’aquila”, scrisse Gilbert Keith Chesterton – scrittore e giornalista britannico - a proposito di Cime tempestose (Wuthering Heights), restituendone così la forza della narrazione tesa a spiccare il volo verso l’assoluto delle grandi (e irrisolte) questioni dell’esistenza umana: amore, odio, bene, male, perdita, morte. Ma non fu un’aquila, bensì una giovane donna nata nello Yorkshire a realizzare quello che, uscito per la prima volta nel 1847, a tutt’oggi è considerato uno dei capolavori della letteratura inglese e mondiale: quella donna era Emily Brontë, di cui si è interessata l’attrice Frances O’Connor qui all’esordio dietro la camera da presa.
Lo fa trasformando Emily Brontë in una sorta di diva moderna, costruendole attorno un rapporto amoroso molto tribolato e fittizio e una relazione fortemente affettiva con il tormentato fratello Branwell. Anche la cronologia editoriale di Emily e della sorella Charlotte viene stravolta dalla O’Connor, qui anche sceneggiatrice, che strizza l’occhio al cinema di Jane Campion (vedi Ritratto di signora ma anche Bright Star, quest’ultimo racconto della breve vita di un altro grande della letteratura inglese, John Keats. La O’Connor gioca con le luci e i colori della campagna dello Yorkshire assecondando gli umori di Emily, interpretata da Emma Mackey, poche volte così in parte, così intensa. Qualcosa manca, però, ed è quello che ha reso immortale la giovane scrittrice: la passione di cui dovrebbe essere infuso il film è programmatica e non esplode mai. Si sta in attesa di chissà cosa e non accade. A prescindere da ciò, il film è comunque una visione moderna, con una predilezione verso un pubblico giovanile.
L’opera esplora principalmente le relazioni che hanno ispirato la giovane dalle sorelle Charlotte (Alexandra Dowling) e Anne (Amelia Gething), al fratello anticonformista che lei idolatra (Fionn Whitehead), fino al suo primo – doloroso e proibito – amore per il reverendo Weightman (Oliver Jackson-Cohen). Al centro di tutto il racconto c’è sempre e comunque il grande romanzo che l’ha resa celebre, usato come fosse un oracolo, un traguardo definitivo. Ma questo non lo sapremo mai perché chissà cosa avrebbe potuto scrivere solo se la sua vita non fosse stata così breve, spezzata dalla tubercolosi. Ciò nonostante, la donna è diventata nel tempo una delle rappresentanti più forti di un femminismo che allora non esisteva. Su questo piano, indubbiamente la regista investe tutta la sua inventiva per mostrarcela forte, volitiva, ribelle, una donna-contro che si ribella al patriarcato e ad un padre troppo poco favorevole alla sua indipendenza, che le ha voluto troppo poco bene.
È brava Frances O’Connor a inquadrare la “strana” (così la definiscono) Emily di Emma Mackey: di fronte e in primo piano, i suoi occhi grandi che guardano dritto non si sa dove, quinta di sei figli di un pastore severo (come da schema classico) che mal sopporta questa ragazza disubbidiente e ostile alle regole imposte, che fa preoccupare le sorelle che la osservano spaventate. Cosa combina lei? Prima di tutto agevola le ribellioni del fratello Branwell, soprattutto quando questi diventa alcolizzato e oppiomane, rapporto che va oltre (ma quanto?) il legame familiare, quasi un accenno minimo di incesto, ma soprattutto si innamora del nuovo pastore appena giunto sul luogo, un uomo affascinante che la attira, dopo qualche schermaglia iniziale, come da prassi narrativa del tempo. Sono i tempi in cui le sensazioni represse si tramutano in versi di poesie e romanzi rivoluzionari, scritti con la penna d’oca a lume di candela e poi nascosti per tenere i segreti in serbo. O il tatuaggio della frase ribelle “Libertà di pensiero”, urlato al vento assiema al fratello: donna irriverente che cerca la libertà di espressione e di comportamento femminista al 100% ante litteram.
Se hanno un merito il film e la sua autrice sta nella cattura dell’atmosfera, dei colori e dei costumi, curati dal suo omonimo Michael O’Connor, già Oscar per La Duchessa di Saul Dibb e noto per Ammonite - Sopra un’onda del mare, A Private War, La ragazza dei tulipani, Jane Eyre, Suite francese, diciamo abituato ai film in costume. Grande anche il contributo degli interpreti: se Fionn Whitehead è molto bravo, se Oliver Jackson-Cohen è interessante, Emma Mackey è straordinaria. Prende di petto il personaggio, lo ingoia e lo espira come se Emily fosse stata sempre in lei: impetuosa, travolgente, la fa propria e ce la fa immaginare come vera.
Il finale è commovente, tragico e annuncia una predizione: dopo una corsa sotto la pioggia, Emily, la cui salute è sempre stata cagionevole e debole, si ammala ed è prossima alla morte. Confessa a Charlotte del suo amore per William e le chiede di bruciare le loro lettere d’amore dopo la sua morte. L’altra esegue il compito assegnatole e, spronata dalle ultime parole della sorella di sviluppare il suo talento e le sue storie, comincia anche lei a scrivere un proprio romanzo. E sarà appunto Jane Eyre.
Buon film, ma nulla di eclatante.
Tra i riconoscimenti vanno segnalati 5 vittorie e 11 candidature in manifestazioni secondarie.
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