End of Sentence (Fine pena)
(End of Sentence) UK/Irlanda/USA/Islanda 2019 dramma/avventura 1h36’
Regia: Elfar Adalsteins
Sceneggiatura: Michael Armbruster
Fotografia: Karl Oskarsson
Montaggio: Kristján Loðmfjörð, Guðlaugur Andri Eythórsson, Valdís Óskarsdóttir
Musiche: Petur Benediktsson
Scenografia: Ray Ball
Costumi: Lara Campbell
John Hawkes: Frank Fogle
Logan Lerman: Sean Fogle
Sarah Bolger: Jewel
Andrea Irvine: Anna Fogle
TRAMA: Dopo essere stato rilasciato dal carcere, un giovane intraprende con riluttanza un viaggio con il padre per spargere le ceneri di sua madre nella nativa Irlanda.
Voto 7
Elfar Adalsteins (di probabili origini islandesi, vai a capire perché il web non fornisce notizie) parte da un soggetto che si riscontra non poche volte nella letteratura e nel cinema: il rapporto più che rovinato tra un padre ed un figlio, solitamente contemplato nelle forme più varie di incomprensione e insopportabilità. Frank è un bravissimo uomo rimasto recentemente vedovo dopo una malattia incurabile della moglie Anna, mentre Sean è il giovane figlio scapestrato arrestato più volte per furto ed ora in carcere dove è divenuto un ragazzo più ribelle e indisponente di prima. È il secondo che non accetta la presenza dell’altro, che invece cerca di lenirgli l’astio nei suoi confronti e con il mondo intero con la pazienza e le buone maniere che lo caratterizzano. Frank si reca ad accoglierlo all’uscita dalla prigione il giorno in cui viene finalmente dimesso: è il momento della End of Sentence: la pena è stata scontata e Sean è libero e non vede l’ora di scappare lontano, magari in California dove avrebbe trovato un lavoro. Il problema è però trovare i soldi per arrivarci. Questo è quindi il punto di partenza del film, appunto una base non nuova per una sceneggiatura, ma la prospettiva è altro.
Apriamo l’orizzonte. Dopo essere rimasto vedovo, Frank Fogle (John Hawkes) sente il dovere di intraprendere un lungo e complicato viaggio per onorare l’ultimo desiderio di sua moglie, quello di spargere le sue ceneri in un lago remoto nel nord della sua nativa Irlanda, con la promessa di portare con sé il figlio che era andato via di casa molto tempo prima, Sean (Logan Lerman). Quando il giovane esce di prigione, l’ultima cosa che ha in mente è proprio il viaggio all’estero con il padre, che non sopporta neanche alla vista. Ciò di cui ha bisogno è un nuovo inizio in California. Ma quando i suoi piani di viaggio si rivelano piuttosto difficili da attuare a causa della mancanza di denaro, accetta con riluttanza la proposta di suo padre, il quale in cambio gli assicura il biglietto aereo per il suo progetto, con la promessa che non si rivedranno mai più. Anzi, gli concede anche l’eredità della madre consistente in una vecchia casa irlandese. Ricompense da non disprezzare, anche se la voglia del giovane è solo quella di scappar via dalla regione che comprende sia la casa da cui è fuggito che la prigione che lo ha bloccato per anni. Tra una sconcertante veglia funebre irlandese, il riaffiorare di una vecchia fiamma della defunta, il passaggio concesso ad una attraente autostoppista dopo una sosta e un sacco di questioni irrisolte, il viaggio diventa un po' più di quanto padre e figlio si aspettassero.
Finalmente si parte e l’intero film si dipana on the road tra tanti, troppi imprevisti, come spesso capita nei lunghi viaggi che comprendono pernottamenti, diversi mezzi di trasporto, soste in alberghi e pub, il cordoglio dei lontani parenti irlandesi, la scoperta di una foto ingiallita di Anna con un giovanotto in viaggio sulla moto. Frank credeva di conoscere tutto di sua moglie, come anche del figlio e così invece non è; come di Sean, che mal sopporta la pazienza di quell’uomo troppo gentile e all’antica per i suoi gusti. Da dove parte il sentimento aggressivo e rancoroso del giovane è sicuramente la chiave di lettura per capire il rapporto totalmente rovinato tra i due: risiede nel vecchio che viveva con loro, rivelatosi pessimo nonno e pessimo padre, violento e alcolizzato, che maltrattava entrambi. Solo molto più tardi il giovane, che accusava il genitore di non difenderlo, scoprirà che la stessa sorte non toccava solo a lui.
L’odio del ragazzo – che nel frattempo approfitta della facile compagnia femminile accodatasi - fa da contraltare alla generosità e alla tolleranza dell’uomo, le cui buone maniera egli avverte insopportabili. Ma Frank ha pazienza e si sente in dovere di vedovo e di padre di portare a termine il compito, costi quel che costi, nonostante l’incauta presenza del terzo incomodo rappresentato della bella ed esuberante Jewel che è salita sulla macchina presa a noleggio una volta atterrati. È lei che fa sballare l’ago della bilancia che è già di per sé in equilibrio precario e lo sgarbo che questa ragazza compie ad entrambi li fa reagire. Al padre, che si era illuso di avere a che fare con una ragazza riconoscente; al figlio, che pensava di aver trovato una partner seppur momentanea. Questo evento totalmente inaspettato e deludente in qualche modo unisce i due maschi, che si alleano per riprendersi il maltolto e ritrovarsi all’improvviso e insperatamente l’uno a fianco dell’altro. Situazione nuova che non solo fa finalmente sorridere Frank, ma che almeno ripara la profonda delusione dopo aver scoperto l’antico amore irlandese della moglie: credeva di sapere tutto di lei, ma l’aver scoperto che il suo segreto amore di gioventù ha a che fare con il luogo della dispersione delle ceneri lo aveva distrutto moralmente, lui così comprensivo e gentile con tutti, persino con quel figlio irriconoscente. Ed invece, nella chiesa cattolica dove lei prestava volontariato scopre la verità e dato che, dopo la lunga traversata, mancano solo pochi minuti al traguardo, ecco i due, l’uno vicino all’altro, nella cerimonia del definitivo addio ad Anna, sulla riva ghiaiosa del lago designato.
Prima una perdita, poi una missione che si realizza lungo un viaggio pianificato dal volenteroso padre, ed infine una probabile rinascita, tra un uomo mite ma determinato e un giovanotto intrattabile: il film è questo, sempre in bilico tra la mansuetudine e il litigio, il fallimento e il compimento, l’odio e l’affetto, con il destino di due persone che può farli conoscere meglio, per capirsi a vicenda. Che sia una tregua o una pace duratura non lo sapremo, ma i primi passi li hanno compiuti, almeno da parte del ribelle, il quale, come tutti i giovani che vogliono fare i duri, nascondo il lato intimo vulnerabile. Neanche Frank è privo di difetti: il suo lato debole è voler confidare sempre che la gente sia gentile come lui tratta gli altri, invocando la medesima educazione e sensibilità, ammesso che ciò sia una lacuna del suo buon carattere. Chissà, forse solo nel bel finale siamo di fronte alla fine della pena, quarta ed ultima tappa narrativa. Non la scarcerazione ma l’ingresso nella vita nella maniera giusta.
La regia d’esordiente Elfar Adalsteins, che è inappuntabile, può contare principalmente su due attori che arricchiscono il film. Logan Lerman è quindi cresciuto ed è diventato un bel giovanottone robusto e dalla bella presenza, lontano dal ragazzino timido di Noi siamo infinito, che affronta il college nell’inattuabile Indignazione (Philip Roth non è rappresentabile al cinema, troppo complesso, vedere le difficoltà di Ewan McGregor con American Pastoral): ora è pronto, e qui lo dimostra, per i ruoli di adulto. John Hawkes stupisce. Nel girovagare tra tantissimi ruoli di comprimario, tante volte di seconda fila, quando ha la possibilità di esprimersi pienamente dà ragione ai registi che lo chiamano: qui il suo Frank è un personaggio che non ti aspetteresti affidato a lui, solitamente molto più coriaceo e grintoso, così come lo abbiamo conosciuto durissimo come il padre di Jennifer Lawrence in Un gelido inverno, o austero politico in Lincoln, così distanti dal protagonista in questa bella occasione. Capelli corti e quindi naso meno mimetizzato del consueto, magro e invecchiato, usa tutta la sua sensibilità di attore per dipingere un padre sempre combattuto tra il garbo connaturato e le delusioni che sta affrontando, sempre con il sorriso pronto per combattere con educazione l’irruenza del figlio compagno e nemico unilaterale. Mascherando con tatto il fatto che anche lui, come Sean, è in fondo un uomo spezzato, che con la forza della volontà ha voluto dimenticare le cicatrici morali e fisiche, nascoste nell’angolo più remoto della mente e sulle spalle che non mostra mai. Dritto e distinto come un nobile decaduto.
La buona regia ben si abbina alla fotografia che illustra i begli scorci della fredda costiera irlandese e con la adatta colonna sonora, che colpisce particolarmente quando, iniziando il viaggio, Frank assicura l’urna cineraria nell’auto mentre Matthew and the Atlas cantano i mesti versi di Elijah che paiono scritti appositamente: “Broken by the back of it / It was hard enough without the loss / Hanging on a thread of it / It was hard enough without the cost / Dancing to your lover's beat / Beaten on heavy feet / Working on a dream you made / Well, you made enough to ride the wave / Elijah, you're too young to be lost / Elijah, don't fade out on the cross / Elijah, I don't know / What it is you need to do / Wish you could have talked to me / Found another way to be / Living hard don't sound so good / It's hard to get out of the woods / Elijah, you're too young to be lost / Elijah, don't fade out on the cross / Elijah, I don't know / What it is you need to do.” (… Elijah, sei troppo giovane per perderti / Elijah, non svanire sulla croce / Elijah, non lo so / Cosa devi fare / Vorrei che tu avessi potuto parlarmi / Ho trovato un altro modo di essere / Vivere duramente non suona così bene / È difficile uscire dal bosco / Elijah, sei troppo giovane per perderti / Elijah, non svanire sulla croce / Elijah, Non lo so / Che cosa devi fare".)
Non siamo davanti ad un film indimenticabile, ma tante volte i piccoli film che riempiono il cuore, come questo, sono nascosti e oscurati dalla massa informe di quelli clamorosi e rumorosi e quindi vanno quindi cercati: l’invettiva di Martin Scorsese contro Marvel mi trova d’accordo.
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