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Falling - Storia di un padre (2020)


Falling - Storia di un padre

(Falling) UK/Canada/USA 2020 dramma 1h52’


Regia: Viggo Mortensen

Sceneggiatura: Viggo Mortensen

Fotografia: Marcel Zyskind

Montaggio: Ronald Sanders

Musiche: Viggo Mortensen, Buckethead, Skating Polly

Scenografia: Carol Spier

Costumi: Anne Dixon


Viggo Mortensen: John Peterson

Lance Henriksen: Willis Peterson

Sverrir Gudnason: Willis da giovane

Laura Linney: Sarah Peterson

Hannah Gross: Gwen

Terry Chen: Eric

Gabby Velis: Mönica

Bracken Burns: Jill

David Cronenberg: proctologo


TRAMA: Conservatore e tradizionalista, Willis lascia la sua fattoria di campagna per trasferirsi a Los Angeles. Qui, vivrà con la famiglia del figlio gay John, che condivide casa con il compagno Eric e la loro figlia Mönica.


Voto 7

Ci sono poche relazioni fondamentali e complesse come quelle tra padre e figlio e pochi eventi sono destabilizzanti come la perdita di un genitore, quel momento in cui vengono tagliati quei legami che collegano una persona con la terra e con l’esistenza. Questo è il pensiero introduttivo del regista e interprete Viggo Mortensen e non si può che essere d’accordo: chiunque abbia perso un genitore capisce perfettamente il concetto. È un buco, una mattonella della nostra vita, una pietra angolare che viene a mancare. Ciò che colpisce, comunque, nel progetto che ha dato via alla realizzazione del film è leggere come sia nata l’idea al neoregista. Partiamo dalla sua interessantissima biografia. Nato nel Lower East Side di Manhattan, è il maggiore dei tre figli di Grace Gamble (nata Atkinson) e Viggo Peter Mortensen Sr.. La madre è statunitense, mentre il padre è danese, suo nonno materno era della Nuova Scozia, Canada, mentre la nonna paterna era di Trondheim, Norvegia. Trascorre l'infanzia in giro per il mondo, a causa del lavoro paterno, vivendo in Venezuela, Danimarca e Argentina. Stabilitosi con la famiglia in Argentina, impara a parlare lo spagnolo. È poliglotta e parla dieci lingue: fluentemente inglese, danese (sue lingue materne), spagnolo e francese; piuttosto bene italiano, svedese, norvegese, arabo, catalano e il quenya (elfico!). Attualmente possiede una proprietà vicino a Sandpoint, nell'Idaho, dove trascorre il suo tempo libero lontano da riflettori e coltivando la sua passione per l'equitazione. Insomma, un tipo non comune.

Questa persona così versatile, culturalmente preparata ed aperta verso più direzioni ha evidentemente immaginato il film del suo debutto dalla vita reale. Infatti, come racconta, tutto è nato quando, mentre attraversava l'Atlantico in aereo dopo il funerale della madre, gli è venuta l’idea perché non riusciva a dormire: la sua mente era invasa da ricordi e immagini di lei e della famiglia nelle diverse fasi di vita condivisa. Sentendo il bisogno di descriverli, ha iniziato a scrivere una serie di episodi e frammenti di dialogo che ricordava dalla sua infanzia. Più scriveva su sua madre – dice lui -, più pensava a suo padre. Durante quel volo notturno, le impressioni che appuntava si erano trasformate in una storia composta principalmente da conversazioni e momenti che non erano mai realmente accaduti, linee parallele e divergenti che in qualche modo si incastravano allargando la prospettiva dei ricordi reali che aveva costruito intorno alla famiglia. Sembrava che le sequenze inventate gli permettessero di avvicinarsi alla verità dei suoi sentimenti verso la madre e il padre piuttosto che un semplice elenco di ricordi specifici. Il risultato ha dato vita a una storia padre-figlio di una famiglia che, a suo dire, è ispirata dalla sua. Gli si può tranquillamente credere anche come concetto di base, perché in effetti lui, che interpreta il figlio John Peterson, non è poi il personaggio principale, tutt’altro. Anche se ciò può ingannare, è la figura del padre Willis che è quasi sempre in scena e imperversa continuamente con le sue scorribande dialettiche e gestuali. Urla, litigi, linguaggio scurrile, peti, fughe per sfogare la sua innata voglia di indipendenza.

Lo scenario di partenza vede John Peterson vive felicemente con il suo compagno Eric (un uomo di origine cino-hawaiana) e la loro figlia adottiva nel sud della California. Quando si accorge che il suo anziano padre è in una china inarrestabile dovuta alla demenza senile e che non può più stare da solo nella fattoria in cui abita da tempo, in un clima rigido che non lo aiuta, John pensa che starebbe meglio in una casa nel caldo della California, non lontano da lui e dalla sorella. I loro due mondi molto diversi si re-incontrano dopo tanto tempo e si scontrano. Inevitabilmente. La causa è semplice: Willis è sempre stato un repubblicano adulatore del senatore McCain in corsa per la presidenza contro Obama (un nero!), chiaramente nazionalista, razzista e omofobo, tanto da non aver mai accettata la omosessualità del figlio, a cui pone continuamente domande imbarazzanti riguardanti il momento in cui si era accorto di essere tale e quale tipo di sesso riesce a fare con il suo “boyfriend” (“È mio marito!” tiene sempre a precisare John).

Mette senza pausa in difficoltà il figlio di fronte al partner e alla carissima figlia adottiva, davanti alla gente quando sono in aereo o nei locali pubblici, quando finalmente la famiglia si riunisce con la sorella e i suoi figli, i quali ultimi non gli sono per nulla simpatici (e li offende pure) vedendoli vestiti alla moda, capelli colorati e piercing. È non solo un uomo d’altri tempi, è convinto che il mondo lontano da lui sia sbagliato e alla rovina. Ma ciò che lo rende insopportabile è la cattiveria che ci mette nel ribadire le sue idee, ponendo il figlio sempre in imbarazzo e nella scomoda posizione di non voler replicare come si è imposto da tempo: sono sempre vivi i ricordi che gli hanno fatto tanto male psicologicamente e fisicamente. Quel padre che ricorda nella sua fanciullezza e adolescenza è violento, impaziente, nevrotico, impossibile da frequentare. La mamma affettuosissima è stata maltrattata continuamente, in modo intollerabile, fino al giorno in cui si è finalmente decisa ad andar via di casa con i figli, i quali in seguito sono stati anche con l’uomo che, in compagnia di un’altra donna, li ha mal sopportati e trattati con estrema severità, facendo rimpiangere loro si essere lì, con lui. Ora, la quiete raggiunta e la felicità stabilita in una famiglia che soddisfa la sua vita, John ha ancora una volta a che fare con quell’uomo che poteva rovinargli la vita per sempre, che solo la pazienza e il buon carattere di cui è dotato lo hanno aiutato a vivere una vita in pace e felice.

Per non rappresentarlo del tutto antipatico e insopportabile, Mortensen colora il personaggio di Willis in modo che sia anche simpatico (incredibile, vero?), tanto da farlo sembrare caustico e nello stesso tempo divertente, fino a fargli attirare le simpatie della nipotina che lo trova adorabile e con cui va molto d’accordo. Le sue battute politicamente scorrettissime fanno ridere, anche per la tonalità polemica con cui le esclama, come se fossero normali e ammissibili, o perlomeno lo sono per lui, che trova intollerabile essere guardato in quella maniera dopo averle pronunciate. Ma le ferite di John non sono mai guarite, sono cicatrici che parlano, che sanguinano, e ogni volta che il padre esplode lui le ritrova intatte, come quando aveva 6 o 15 anni, con la madre che pregava il marito di non educarlo alle armi. Alti e bassi, aiuto dato col cuore al padre e voglia di abbandonarlo, una parola affettuosa e un gesto di sopportazione, una sequenza di oggi e un flashback di anni prima, alternati continuamente. Fotografie del passato in un album di ricordi che non sbiadiscono mai, sono solo in un cassetto che John non vorrebbe mai aprire, ma che Willis, con le sue incessanti intemperanze, riporta agli occhi della mente.

John non è il figlio che abbandona al suo destino il padre, neanche la tentazione lo sfiora. L’affetto filiale lo ha tenuto legato e solo la nuova bella armoniosa famiglia, che si è saputo costruire per mettere una pietra sul passato, seguendo con naturalezza la scelta indicata dalla sua inclinazione, è un rifugio sicuro. Lui è pilota di aerei, Eric è infermiere, Mönica è felice con i suoi due genitori: il futuro è roseo. Il falling, la caduta, il crollo esistenziale dalla natura di tragedia greca riguarda ogni uomo ma quando trova radici in un terreno malato fa più male, come una pianta marcia che cede sotto il peso degli anni. L’idea del soggetto, la regia, il voler essere tra gli interpreti, sono un esordio di tutto rispetto e non comune, dato anche il durissimo argomento. Viggo Mortensen, in veste di regista e sceneggiatore e produttore e musicista e attore, non fa altro che produrre un’opera che è lo specchio della sua educazione e indole multiculturale: ogni scena è un messaggio di tutte questa attività, non ultima la recitazione sommessa, in sottrazione, alzando le braccia davanti alle arroganze di un uomo che è solo peggiorato ma che era così da sempre. E lui non è che si arrende, è nella sua natura accettarlo e frenarlo. Era bravo come attore, qui forse è al suo apice, maturo, pronto per una nuova entusiasmante carriera, perché questa è sicuramente la sua cifra artistica. E lo dimostra anche l’oculatezza con cui ha scelto il cast. Lance Henriksen è una scoperta fuori dal comune, un attore ormai anziano praticamente sconosciuto ma di livello assoluto, tanto che c’è da meravigliarsi che non sia nella lista delle candidature di un premio prestigioso: è uno spettacolo continuo di alta recitazione, merita una standing ovation.

Se questo è il primo passo di un nuovo regista, va detto che Viggo Mortensen ha avuto coraggio e qualità per il soggetto scelto e per le difficoltà oggettive di interpretazione che ha richiesto agli attori, che costituiscono un buonissimo cast in cui si sono tutti impegnati con molto onore. Bravissimo lo svedese-islandese Sverrir Gudnason nel ruolo del Willis prima della vecchiaia, notevolissima la canadese Hannah Gross nel ruolo della mamma del piccolo John, mentre il contributo di solo qualche minuto, ma di gran classe, è quello di Laura Linney. La sorpresa è osservare nei panni di proctologo un regista che non ha mai disdegnato prestarsi nei panni di attori per gli amici: David Cronenberg che diagnostica l’ingrossamento della prostata. Incredibile!

Forza Viggo, “Viaggeremo leggeri, andiamo a caccia di orchi!” (Aragorn).


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