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Finalmente l’alba (2023)

Finalmente l’alba

Italia 2023 dramma 1h59’

 

Regia: Saverio Costanzo

Sceneggiatura: Saverio Costanzo

Fotografia: Sayombhu Mukdeeprom

Montaggio: Francesca Calvelli

Musiche: Massimo Martellotta

Scenografia: Laura Pozzaglio

Costumi: Antonella Cannarozzi

 

Lily James: Josephine Esperanto

Rebecca Antonaci: Mimosa

Joe Keery: Sean Lockwood

Rachel Sennott: Nan Roth

Willem Dafoe: Rufo Priori

Alba Rohrwacher: Alida Valli

Sofia Panizzi: Iris

Carmen Pommella: Elvira

Giovanni Moschella: Ugo

Fabiola Morabito: Anna Maria Caglio

Enzo Casertano: Rinaldo

 

TRAMA: Nel 1953, la ventenne Mimosa, timida e appassionata di film, si reca presso gli stabilimenti di Cinecittà con la sorella Iris per partecipare ai provini come comparse di un kolossal hollywoodiano ambientato nell’antico Egitto. Inizialmente scartata, per una coincidenza Mimosa è notata dalla diva Josephine Esperanto, che la vuole sul set: la ragazza seguirà poi l’attrice e il suo gruppo sino a una festa notturna a Capocotta, sulla cui spiaggia è stato da poco ritrovato il cadavere di Wilma Montesi.

 

Voto 5



È una lunga, lunghissima giornata quella della vita giovane di Mimosa (Rebecca Antonaci), trovatasi per puro caso ad assumere le vesti della comparsa in un peplum hollywoodiano girato negli anni ’50 a Cinecittà: viene scartata al casting, al contrario della bella sorella Iris (Sofia Panizzi), ma si ritrova con i panni di un’ancella egiziana dopo aver incrociato nei corridoi degli studi della cittadella romana la diva del film, Josephine Esperanto (Lily James), che avendola notata la fa immediatamente selezionare. È una lunga, lunghissima giornata perché inizia al mattino, quando si reca pressi i capannoni dove si gira il kolossal sulla vita dell’unico faraone donna mai esistita e sepolta dalla Storia. Un filmone con le tecniche di quegli anni, comparse a perdita d’occhio, diva presuntuosa e intoccabile, attori in cerca di visibilità, trucchi pesanti degni della gloria egiziana. È una lunga, lunghissima giornata perché non termina alla fine dei ciak e perché la protagonista entra involontariamente in un mondo lontano dal suo, pieno di divi, capricci, alcol, cocaina, eleganza e lusso lussurioso. Che sembra non avere mai fine. Ecco perché quello che poteva essere un sogno per Mimosa diventa un incubo e che per fortuna arriva la fine all’alba.



Il film di Saverio Costanzo (La solitudine dei numeri primi, Hungry Hearts) incrocia, invece volontariamente e con chiari intenti citatori, avvenimenti e film ben noti, allora come oggi: prima di tutto in quella giornata si sparge la notizia del ritrovamento del corpo di una giovane in cerca di gloria nel cinema, Wilma Montesi, caso che fece molto scalpore in Italia in quel periodo. Poi, vedendo anche con scarsa attenzione il film, salta agli occhi il riferimento ad alcune pellicole che conosciamo: in primis il Fellini de La dolce vita (ma anche Lo sceicco bianco, Le notti di Cabiria), con Cinecittà in piena ebollizione produttiva, con i divi stranieri che spopolavano per le strade di Roma e nelle ville dei dintorni (proprio lungo il litorale di Capocotta, luogo del citato omicidio) e i tanti romani, soprattutto romane, che cercavano il minuto di celebrità facendosi assumere come comparse dalle grandi case di produzione; ma anche chiara la citazione di Io la conoscevo bene, altra fotografia italica di quei giorni, di ragazze, ingenue e no, alla ricerca della felicità momentanea.



Una favola, forse cattiva, buia, in cui compaiono - in contrapposizione ad un animo gentile e disarmato, quello di Mimosa, una sorta di Alice nella tana dei lupi – streghe seducenti e invidiose (Josephine Esperanto), principi deludenti (lo Sean Lockwood di Joe Keery), l’ambiguo Rufo Priori (il pregevole Willem Dafoe), ed inoltre padroni di casa ruffiani e falliti, personaggi indefinibili, fiumi di champagne. Realtà? Sogno? Forse una notte da incubo, in cui, nonostante le implorazioni per essere riportata a casa dove la mamma e la sorella sono sicuramente in apprensione per la lunga assenza e la mancanza di notizie, nessuno, per un motivo o l’altro, riesce ad accontentarla. E allora lei vaga tra una stanza e l’altra, da una villa all’hotel Hassler, subendo una delusione dopo l’altra. E come poteva essere diversamente, lei microbo di quel mondo di cartapesta? Per fortuna ci pensa un umile autista di camion a darle il sospirato passaggio per approdare in cima a Trinità dei Monti, da dove – con una lunga ed inutile sequenza per scendere gli infiniti scalini - prende la strada verso casa, accompagnata, ma prima spaventata, dalla leonessa anch’essa “comparsa” del film. Momento “digitale” che stride con lo stile “tradizionale” con cui è stato girato l’intero film.



Mimosa sarà tornata a casa ma il film di Costanzo esce, nel frattempo, dall’apprezzamento generale e personale: dopo un inizio promettente, degno di C’è ancora domani o L’amica geniale, il suo film scivola verso uno stanco fotoromanzo pretenzioso e falsamente illustrativo dei tempi, deludendo così le attese di un buon proseguimento. Troppo lungo (e pensare che il regista ha tagliato 20 minuti dopo i fischi al Festival di Venezia) e con lungaggini ancora presenti, recitazioni forzate (Lily James mai vista così pessima) e partner di mediocre livello. L’unica presenza di valore è quella di Alba Rohrwacher che interpreta una schematica Alida Valli, forse l’unico personaggio reale tra i tantissimi personaggi. Incomprensibile la musica di Richie Hawtin, in arte Plastikman, che accompagna le scene del set di Merneith The Pharaoh Woman, pezzi di pop elettronico che nulla hanno a che fare con il kolossal egiziano, mentre il regista alterna inquadrature del film in azione e il viso, ora sperduto, ora commosso, ora entusiasta, della piccola e dolce Mimosa in un mondo molto più grande di lei.



Una via crucis nottambula e piena di incertezze e timori che si conclude col rientro alla normalità, esaltando ancora una volta l’effimero che ammanta il mondo di celluloide. Però che fatica per arrivare al nuovo giorno e poter dire finalmente: l’alba!



Riconoscimenti

2024 - Nastro d’argento

Migliore scenografia

Migliori costumi

Premio Guglielmo Biraghi a Rebecca Antonacci

Candidatura al miglior sonoro in presa diretta



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