First Man - Il primo uomo
(First Man) USA/Giappone 2018, biografico, 2h21’
Regia: Damien Chazelle
Soggetto: James R. Hansen (romanzo)
Sceneggiatura: Josh Singer
Fotografia: Linus Sandgren
Montaggio: Tom Cross
Musiche: Justin Hurwitz
Scenografia: Nathan Crowley
Costumi: Mary Zophres
Ryan Gosling: Neil Armstrong
Claire Foy: Janet Shearon Armstrong
Corey Stoll: Buzz Aldrin
Pablo Schreiber: Jim Lovell
Jason Clarke: Edward Higgins White
Kyle Chandler: Deke Slayton
Christopher Abbott: David Scott
Patrick Fugit: Elliott See
Ciarán Hinds: Robert R. Gilruth
Lukas Haas: Mike Collins
Shea Whigham: Gus Grissom
Ethan Embry: Pete Conrad
Brian d'Arcy James: Joseph A. Walker
Cory Michael Smith: Roger Chaffee
Brady Smith: Butch Butchart
William Gregory Lee: Gordon Cooper
TRAMA: Nel 1961, la Nasa si propone come scopo quello di mandare il primo uomo sulla Luna. Ci riesce nel 1969 grazie a Neil Armstrong, un uomo che in nome del progresso e della Nazione affronterà sacrifici e costi personali.
Voto 7
Ho fatto fatica al termine della visione del film a convincermi che alla regia non ci fosse Clint Eastwood con i suoi grandi eroi, protagonisti delle sue mille storie, e che invece è Damien Chazelle, l’uomo dei film superpremiati che girano intorno alla musica. Però, a pensarci bene, non è che questo sia del tutto esatto. Anche Chazelle nei due film precedenti di grandissimo livello e successo (Whiplash, La La Land - recensione), ci ha narrato storie che a suo modo egli vede come piccoli eroi, magari eroi quotidiani, ordinari, senza armi o muscoli, ma semplici eroi caparbi. Prima infatti c’è stato un giovanotto (Andrew) che sacrificava tutto (amore, famiglia, amicizie) e tutto se stesso - anche col sangue, sparso letteralmente a piene mani - pur di arrivare e diventare un batterista concertista perfetto, alla stregua dei grandi del passato del jazz, e l’altro (anche quella volta con il sensibile Ryan Gosling nei panni di Sebastian) che si dedicava anima e corpo al sogno di aprire un night club per amore del jazz (ancora il jazz!), dilapidando anche lui il fattore sentimentale.
La sorpresa, comunque, questo regista ce la riserva con la scelta di una storia lontana di qualche decennio dai giorni nostri narrando una bella e drammatica favola nel mondo tecnologico della NASA, con lunghe scene dedicate alle fasi di preparazione e progresso, nascita e crescita del più importante volo che abbia mai fatto l’uomo: quello verso la luna. Di eroi, di uomini coraggiosi l’umanità ha avuto sempre bisogno per sviluppare e attuare questo bellissimo desiderio, alla pari dei mitici navigatori che son partiti nel corso dei secoli scorsi per mari sconosciuti, senza sapere minimamente dove si dirigevano, verso confini vagamente (s)conosciuti. E se nella Storia rimarrà per sempre la grande impresa di Cristoforo Colombo, altrettanto ricordo si merita un altro caparbio uomo che non ha mai voluto mollare, anche a causa e nonostante la perdita immatura di una piccola figlia. Quindi un vero eroe, a modo suo, veramente esistito e tuttora ricordato per il suo impegno.
C’è una prima parte forse un po’ lunga, più preparatoria, che secondo il mio modesto parere si poteva accorciare (è una mia profonda convinzione che solo pochi registi si possono permettere di allungare il film senza farlo pesare), ma risulta chiaro lo scopo di Chazelle di mostrarci per intero l’ambiente in cui viveva Neil Armstrong, la sua famiglia, il suo forte carattere volitivo per affermarsi nel campo astronautico in cui credeva tanto. E non solo: in questa maniera noi spettatori abbiamo avuto modo in questa prima metà del film di conoscere meglio un bellissimo personaggio non tanto secondario nell’ambito della storia, la moglie Janet. Compagna silenziosa ma non troppo, ben un passo indietro al marito ma altrettanto forte e di carattere, che al momento giusto viene fuori con forza. Prima parte quindi propedeutica al clou della vicenda, la seconda parte, che finalmente ci fa vivere momenti di tensione, in cui, anche se sappiamo bene come va a finire, si trattiene il respiro. E ciò avviene perché il giovane regista di Providence, Rhode Island, riesce con bravura innata a tenerci in ansia fino alla fine come fosse un thriller dal finale sconosciuto, in cui assieme all’applauso dei tecnici della base di Houston scatta anche il nostro sollievo per il buon fine dell’avventura. Perché in fondo, il film è la storia di una grandissima avventura nello spazio. Che mette timore ancora oggi anche se quei voli sono diventati routine. Segno che Chazelle ha saputo costruire bene la storia nel finale, con una sceneggiatura non male e con dialoghi molto efficaci e secchi, accentuati anche dal carattere spigoloso del protagonista, sempre più duro e scontroso man mano che si va avanti nella narrazione, reso però ancora di più a causa della morte della sua piccola figliola, sciagura che lo segnerà per sempre. Ricordo che lo accompagnerà tutta la vita e con un tocco di commozione nella scena iconica dell’allunaggio e dei primi passi sulla Luna, allorquando sull’orlo di un piccolo cratere lunare Armstrong lascerà cadere un braccialettino della piccola bimba, come una dedica eterna della conquista del nostro argenteo pianeta.
Non può mancare (e forse non deve) una buona dose di patriottismo e retorica a stelle e strisce, pienamente giustificate, perché è fuor di dubbio che per il popolo e il governo statunitense quel traguardo ambizioso è stata una enorme meta raggiunta dopo tante fatiche e soprattutto tanti uomini persi sia nei voli di prova che nello spazio, traguardo, si badi bene, che doveva ed è diventato poi solo una tappa nella più ampia corsa allo spazio più lontano e verso altre mete, a volte arrivando dopo a volte prima dei “concorrenti”, ma meglio rivali, sovietici di allora. Oggi russi. E quella grande rivalità era palpabile negli anni ’60, fortemente sentita, e Chazelle fa in modo di trasmetterla nel pathos della narrazione del film.
Tutto bene? Beh, insomma qualcosa mi è rimasta indigesta, a cominciare da quei troppi primissimi piani sui visi dei personaggi con una macchina da presa a mano davvero sballottante, talmente ingranditi che spesso il viso inquadrato viene tagliato all’attaccatura dei capelli e al mento (poi, se ci mettiamo che Ryan ha anche un viso ovale allungato…). Una mdp davvero traballanteanche quando credo non fosse proprio necessario e per giunta per quasi tutto il film: non facile da sopportare. Nel complesso, dati i precedenti, mi sarei aspettato di più, veramente di più: il film non è all’altezza dei successi passati, ma per fortuna la mezz’ora finale ripaga l’attesa.
Se Ryan Gosling è più inespressivo del solito (proprio per rappresentare giustamente il non facile carattere di questo grandissimo uomo che mise piede per primo sulla Luna), chi mi ha stregato – e lo urlo! – è stata la magnifica Claire Foy: i suoi occhi parlano da soli e l’approccio verso il personaggio è affascinante. Bravissima! Da Damien Chazelle aspetto di meglio al prossimo appuntamento.
Riconoscimenti
2019 - Premio Oscar
Migliori effetti speciali
Candidatura per la miglior scenografia
Candidatura per il miglior montaggio sonoro
Candidatura per il miglior sonoro
2019 - Golden Globe
Miglior colonna sonora originale
Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Claire Foy
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