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Forza maggiore (2014)

Aggiornamento: 16 ago 2023


Forza maggiore

(Turist) Svezia/Francia/Norvegia/Danimarca 2014 dramma 2h


Regia: Ruben Östlund

Sceneggiatura: Ruben Östlund

Fotografia: Fredrik Wenzel

Montaggio: Jacob Secher Schulsinger, Ruben Östlund

Musiche: Ola Fløttum

Scenografia: Josefin Åsberg

Costumi: Pia Aleborg


Johannes Bah Kuhnke: Tomas

Lisa Loven Kongsli: Ebba

Clara Wettergren: Vera

Vincent Wettergren: Harry

Brady Corbet: Brady

Kristofer Hivju: Mats

Fanni Metelius: Fanni

Karin Myrenberg: Charlotte


TRAMA: Durante una settimana bianca in Francia, una famiglia svedese sta pranzando in un ristorante di montagna quando una slavina colpisce improvvisamente l’edificio. Preso dal panico e dal suo egoismo istintivo, il padre scappa, lasciando in asso la moglie e entrambi i figli. La vicenda fa così affiorare conflitti mai prima rivelati.


Voto 7

Sembra che non ci siano studi scientifici sull'argomento ma a quanto pare in seguito a una catastrofe, un dirottamento o un naufragio, molte coppie di sopravvissuti divorziano. E la causa principale del divorzio è dovuta al fatto che molti uomini, una volta in pericolo, pensano più alla loro sopravvivenza che a quella dei familiari, del consorte in primis.

Partendo da queste considerazioni, peraltro non molto confermate scientificamente ma attendibili conoscendo l’animo umano e l’istinto di sopravvivenza che nasce con la persona, che non sempre fa reagire in maniera logica ma appunto istintiva, il regista svedese Ruben Östlund, poi salito alle cronache dei premi (Palma d’Oro per The Square), firma un film che gira intorno all’argomento, cercando di scavare nei caratteri e nella natura delle persone. Parte da un ambiente vacanziero, da un periodo di giorni che una coppia, sicuramente felice e in armonia, decide di passare in montagna a sciare con i loro due bambini, dopo aver scelto un resort di lusso e con tutte le comodità. La zona prescelta è sulle Alpi francesi (le scene interne sono girate invece in un hotel svedese e quelle del bus che li riporta all’aeroporto nel finale sui tornanti dello Stelvio): scenari bellissimi di alta montagna, ghiacciai ben innevati, impianti di risalite ad alta tecnologia, ottime piste da sci e indimenticabili percorsi fuori-pista. L’ideale per una vacanza da ricordare, con possibilità di pranzare sulla terrazza all’aperto che si affaccia sui ghiacciai.

Tutto fila liscio, tutto sembra portare a godere una settimana da ricordare e da rivedere con calma con i video registrati con lo smartphone. Invece, un bel giorno succede che, durante uno di questi pasti consumati sotto le imponenti montagne, bianche di un altissimo manto di neve, si stacca una slavina dalla cima di fronte, che viene giù prima lentamente e preceduta da una esplosione (colpi di cannone che dovrebbero far scivolare in maniera controllata ammassi di neve per coprire a sufficienza le piste), ma che poi inaspettatamente prende velocità e diventa precipitosamente il mostro che tutti gli sciatori temono. È una vera slavina che rotola verso il basso accumulando energia e massa e che dà l’impressione di poter abbattersi sulla terrazza-ristorante. Lì per lì Tomas, il papà, richiama l’attenzione della famiglia sulla spettacolarità dell’evento e, sentendosi sempre al sicuro, inizia a riprendere il fenomeno con il cellulare. Quando la situazione pare peggiorare e minacciare l’incolumità fisica delle persone e la gente si spaventa, succede che scattano le reazioni istintive e incontrollabili. Mentre la moglie Ebba comincia ad urlare, Tomas si alza di scatto dalla sedia e comincia a correre, trascurando di preoccuparsi sia della moglie che dei due figlioletti. Tomas non si sta rendendo conto del suo comportamento e né ne comprenderà la portata neanche in un secondo momento. Sarà infatti la moglie, rimasta atterrita dall’evento e dal comportamento inatteso del marito, a rinfacciarglielo duramente.

L’episodio non passerà come un qualsiasi accidente che può capitare all’interno di una coppia, non è trascurabile: ha lasciato un segno profondo nella mente di Ebba, anche se apparentemente sembra averlo messo da parte. Invece – e lo si intuisce dall’espressione che continua ad avere – lei alla prima occasione tira fuori la storia accaduta e la racconta con angoscia, con evidente sofferenza psicologica, esprimendo il fortissimo risentimento che in maniera evidente stava lievitando dentro e che è sul punto dell’esplosione. Una bomba atomica che non può più rimanere inesplosa. Tomas è spaventato e profondamento meravigliato, perché non aveva minimamente previsto le conseguenze del suo gesto: l’istinto che lo aveva spinto alla fuga nel momento del pericolo per sé e la famiglia intera non lo aveva soppesato, almeno in quella maniera così come lo vede esternato dalla moglie. Ebba mantiene elevatissimo il livello emotivo, Tomas lo recepisce pian piano e crolla mentalmente nelle ore successive. Il loro comportamento non è più lo stesso, l’armonia è venuta meno, il dissidio pare insanabile, si contrappongono non più come partners ma come rivali, per lo meno da parte di lei. Perché lui, semplicemente, è spaventato più che contrariato.

Lo squarcio aperto è come una ferita che era stata curata in modo sommario, con distrazione e dando poca importanza alla gravità. La medicazione sulla ferita viene rimossa con violenza e brutalità e adesso il sangue sgorga. Si potrà mai sanare? È curabile? I due riusciranno, anche col tempo, a ricucire lo strappo e accorciare le distanze adesso molto profonde? La risposta la vediamo alla fine delle vacanze, allorquando sul pullman che li riporta all’aeroporto per tornare a casa assieme agli amici che sono andati a trovarli e a tutti gli altri ospiti dell’albergo, l’autista, novello ed inesperto dei pericolosi tornanti (ricordo che queste sequenze sono state girate sulle meravigliose curve dello Stelvio), continua a commettere errori di guida spaventando i passeggeri. È lì che Ebba a livello inconscio torna a rivivere i terribili momenti della valanga. Urla, minaccia l’autista, vuole scendere dal mezzo, è incontenibile e scatena istericamente la reazione impaurita degli altri villeggianti. Lo shock si ripete, il trauma si replica.


Dal punto di vista narrativo Ruben Östlund dà una dimostrazione di come un regista debba controllare la catastrofe emotiva e sceglie la strada di inquadrare gelidamente la scena. È freddo e gelido l’hotel, come lo è la nuova situazione all’interno della coppia. Lo è anche la scenografia bianca, abbagliante e nebbiosa della pista sciabile, lo è lo sguardo che ormai si scambiano i due, con la perplessità degli amici che non sanno comprendere fino in fondo l’accaduto. Anzi, discutendone fra di oro, anche l’altra coppia scopre il timore di trovare differenze di vedute. In certi momenti sembra di assistere a scene filmate da Michael Haneke, in cui però ai disagi narrati va aggiunto un commento musicale che accresce la tensione incombente, come può essere la minaccia di una slavina. È una musica che non promette nulla di buono, è un accompagnamento che ricorda la suspense hitchcockiana, che sa ricreare la tensione tra Tomas e Ebba, che a sua volta influenza inconsciamente anche i due loro bimbi, impauriti dall’atmosfera instaurata. Perfino “L’Estate” di Vivaldi, inserita nei momenti giusti, risulta un movimento destabilizzatore.


Ruben Östlund scoperchia il vaso, ostenta l’attrito, demusicalizza l’armonia fragile di coppia, appiattisce la vita coniugale nei calici di vino rosso con la speranza di dormirci fino a giorno inoltrato, quando invece i figli ti chiedono se e quando si andrà a sciare. Gita che si cristallizzerà nella nebbia e nel bianco delle piste, dove la fila dei quattro familiari in fila rischierà di perdere la mamma, sparita nel candore: se risponde ai richiami vorrà dire che ha ancora voglia di rimanere, altrimenti è un abbandono, è una fuga. Ruben Östlund, che ha il grande merito di inquadrare con primi piani il viso dei due coniugi - lei che si affina ossuta sempre più, lui che aumenta lo stupore e la voglia di piangere per sfogarsi totalmente - commette comunque un piccolo peccato, a mio parere: non va a fondo, non immerge del tutto il coltello nella piaga, non esplora il dolore psico-carnale come avrebbe saputo fare il giovane David Cronenberg. Si è forse fermato al primo stadio, quando invece proseguendo avrebbe trovato oltre la sofferenza e l’angoscia, anche il dolore, quello vero. Il motivo, forse, è che lui è interessato solo alla perlustrazione psicologica dell’errore, come ha fatto – e meglio – tre anni dopo con il magnifico The Square. Ma quello è un altro film, di ben altra levatura.


Riconoscimenti

2014 – Festival di Cannes

Un Certain Regard - Premio della giuria

2015 – Golden Globe

Candidatura per il miglior film straniero (Svezia)


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