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Fuga in Normandia (2023

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 30 gen
  • Tempo di lettura: 6 min

Fuga in Normandia

(The Great Escaper) UK/Francia/Svezia 2023 biografico 1h36’

 

Regia: Oliver Parker

Sceneggiatura: William Ivory

Fotografia: Christopher Ross

Montaggio: Paul Tothill

Musiche: Craig Armstrong

Scenografia: Nick Palmer

Costumi: Emma Fryer

 

Michael Caine: Bernard “Bernie” Jordan

Glenda Jackson: Irene “Rene” Jordan

Will Fletcher: Bernard da giovane

Laura Marcus: Irene da giovane

John Standing: Arthur Howard-Johnson

Jackie Clune: Judith Cook

Danielle Vitalis: Adele

Brennan Reece: Martin Roberts

Victor Oshin: Scott Selwood

 

TRAMA: Bernie e Rene Jordan sono un’anziana coppia che vive insieme in una casa di riposo. Un giorno l’uomo, che aveva combattuto con la Royal Navy durante la Seconda Guerra Mondiale, decide di fuggire dell’istituto per prendere parte alle celebrazioni per il settantesimo anniversario dello sbarco in Normandia.

 

VOTO 7



Il film di Oliver Parker è basato sulla storia vera di Bernard Jordan, 90 anni, veterano della Royal Navy britannica della Seconda Guerra Mondiale, che alla chetichella lasciò la stanza, che condivideva con l’amata moglie nella casa di cura in cui vivevano i loro ultimi anni, per partecipare alle commemorazioni del 70° anniversario del D-Day in Francia nel giugno 2014. Pare una fiaba fantasiosa che mira a commuovere il pubblico per come viene bene raccontata e per la maniera con cui l’anziano si muove per arrivare dove si era prefissato di andare ed invece è pura realtà, una storia coinvolgente che spiega con calma – al ritmo, cioè, che l’uomo poteva mantenere – il viaggio spericolato, data l’età, che il protagonista compie all’insaputa di tutti. Anche della moglie, che non vedendolo nel suo letto la mattina in cui era prevista la partenza della comitiva di veterani alla volta del luogo delle celebrazioni, gita a cui Jordan non era riuscito ad aderire. Anche un altro film, L’ultimo fuciliere con Pierce Brosnan del 2023, è liberamente ispirato alla medesima storia.



Bernard Jordan, detto Bernie, aveva partecipato, nelle file della Marina Reale, allo sbarco in Normandia dove, tra l’altro, fu ucciso durante le operazioni, appena il carrarmato aveva toccato la sabbia della spiaggia, un soldato ai suoi comandi, impaurito e quasi paralizzato dal terribile fuoco dei tedeschi, tanto bene narrato da Spielberg nel suo Salvate il soldato Ryan. Evento che aveva segnato la vita del nostro protagonista e che lo perseguita, tanto di decidere anche di visitare, in occasione della “gita”, il cimitero della zona dove sono tuttora sepolti i tanti corpi dei marines caduti nella furiosa battaglia sulle rive della Manica.



Nelle prime scene veniamo a conoscere i due amabilissimi vecchietti: Bernie e Rene (Michael Caine e Glenda Jackson) vivono in una casa di riposo a Hove, in Inghilterra, dopo che la salute della donna è peggiorata in modo grave, amabilmente assistiti dalla giovane infermiera Adele (Danielle Vitalis). Inizialmente riluttante a lasciare la moglie a causa della sua fragile salute, viene però convinto dalla stessa consorte a cercare qualche maniera per andare in Normandia per partecipare alle commemorazioni. Così Bernie lascia alla chetichella la casa di cura una mattina all’alba, prende un taxi per Dover e acquista un biglietto del traghetto per la Francia. Durante la traversata incontra Arthur (John Standing), un veterano della RAF che è nel tour di gruppo in Normandia per il medesimo evento. Quando quest’ultimo scopre che Bernie sta viaggiando da solo, lo invita a unirsi alla comitiva e persino a condividere la sua stanza d’albergo. Intanto il personale della casa di cura è in preda al panico per la misteriosa scomparsa dell’uomo fino a quando l’anziana rivela il retroscena, facendo sapere che in effetti il marito è un “fuggitivo”, come dice il titolo originale.



Nel frattempo, Bernie viene anche in contatto con un giovane commilitone mutilato ad una gamba, vittima dell’ultima guerra del Regno Unito, che lo aiuta negli spostamenti, vedendolo in movimento con il bastone ed il girello. Arthur ottiene un biglietto per Bernie alla cerimonia commemorativa, ma lui regala entrambi i pass a Heinrich, un veterano tedesco che ha combattuto anche lui nel D-Day ed è venuto arrivato per la cerimonia. A questo punto non resta altro che andare a visitare il cimitero di guerra di Bayeux, dove Arthur cerca la tomba del fratello, anch’egli caduto, mentre Bernie visita la tomba di Douglas Bennett, il compianto compagno d’armi che non dimentica mai perché proprio lui lo aveva rassicurato che sarebbe andato tutto bene. Si sente responsabile di quella morte, perché lo aveva convinto a lasciare la loro nave e ad affrontare il suo destino. A questo punto, tutta la Gran Bretagna scopre la fuga di Bernie: è diventato una celebrità, è su tutti i giornali, che raccontano il nuovo eroismo di un vecchio che si è avventurato da solo per assistere alla tanto attesa celebrazione, che vede anche la partecipazione di Obama e della Regina. Ogni notiziario parla di lui, del grande fuggitivo, con enorme sorpresa dell’interessato che, nel viaggio di ritorno viene trattato da re dal servizio del traghetto.



È ora, quindi, di tornare nella casa di riposo, nella stanza, dalla moglie mai in apprensione, conoscendo la grinta e la resistenza del marito. Si rincontrano come due giovani fidanzatini, ricordando, appunto, quei giorni spensierati, che si alzarono un mattino alle 4 e 15 per vedere l’alba, come vogliono fare ancora una volta ora, per ripetere il momento magico d’amore infinito che dura da tanti decenni. Oggi sono nella fase finale della vita, pieni d’acciacchi e lei con una malattia terminale, da lui ignorata. Ancora due fidanzatini, come allora, sempre d’amore e d’accordo.



Film banale? No, piuttosto semplice e furbetto, sicuramente commovente, un film piccolo che si degna solo nella fase prefinale di dare importanza al messaggio di pace e dell’inutilità della guerra mettendo vicini inglesi e tedeschi attorno ad un tavolo con un boccale di birra davanti. Amichevolmente, guardandosi negli occhi e con il sorriso: loro hanno fatto una pessima esperienza ed ora sanno cosa vuol dire la parola pace, da tramandare i giovani e soprattutto ai governi di oggi. Basti osservare la beltà del legame che unisce Bernie e Rene, che non hanno mai sprecato il tempo che era stato dato loro dal destino. Piccolo film, dolce senza sconfinare nel sentimentalismo, che diventa grande per merito di due attori giganteschi, che rinverdiscono il loro luminoso passato di magnifici interpreti e di icone del cinema britannico e mondiale. Vedere Michael Caine camminare in quella maniera, tanto invecchiato e con gli occhi velati, fa impressione avendolo sempre ritenuto eterno e giovanile anche da maturo. Ma difatti, al termine dei ciak ha confessato che è stato il suo ultimo lavoro.



Capitolo a parte ma parallelo per l’immensa Glenda Jackson, stella di prima grandezza del cinema britannico degli anni ‘60 e ‘70, periodo associabile alla “Swinging London”, epoca di grande fermento culturale e artistico caratterizzata da innovazioni nella moda, nella musica e nel cinema: Donne in amore (1969) di Ken Russell e Un tocco di classe di Melvin Frank (1973) le valsero i suoi due Oscar. Qui è praticamente alla fine della vita terrena ma le sue smorfie fanno alzare il voto complessivo del film. Uno spettacolo di donna che di lì a poche settimane ci avrebbe lasciati. Che attori! Erano 47 anni che non recitavano assieme, da Una romantica donna inglese dell’incomparabile Joseph Losey, del 1975. Che attori!



La didascalia finale è malinconica, commovente, inevitabile: dopo sei mesi dalla grande fuga morì Bernie, la malata Rene lo seguì solo dopo una settimana. Diavolo di un Oliver Parker, volevi proprio farci commuovere?

È un film che vuole rendere omaggio e mettere in risalto un personaggio come tanti, uno delle migliaia di combattenti morti o sopravvissuti alle battaglie per la Liberazione, che però scalda il cuore, un dramma commovente e sorprendentemente sfumato di delicatezza che offre molto di più della nostalgia che sventola bandiere, nonostante l’evidente sentimentalismo patriottico. Che è sempre una sensazione che sa rapire ma che, se si resta vigili, se ne intuisce le intenzioni furbe degli autori nelle varie occasioni in cui viene sfruttato.



Sarebbe giusto un giudizio di più che sufficiente, ma la classe dei due interpreti e la performance, in particolare, dell’attrice meritano applausi e un voto maggiore.



Che attori! [rifuggite dal doppiaggio, penoso: quel suono armonioso della pronuncia londinese non è replicabile, in italiano le voci sono inappropriate e senza ambienza, con la bocca vicina al microfono del leggio, orrore]



 
 
 

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