top of page

Titolo grande

Avenir Light una delle font preferite dai designer. Facile da leggere, viene utilizzata per titoli e paragrafi.

Cerca

Funny Games (2007)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 5 lug 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Funny Games

USA/Francia/UK/Austria/Germania/Italia 2007 thriller 1h51’


Regia: Michael Haneke

Sceneggiatura: Michael Haneke

Fotografia: Darius Khondji

Montaggio: Monika Willi

Scenografia: Kevin Thompson

Costumi: David C. Robinson


Naomi Watts: Ann

Tim Roth: George

Michael Pitt: Paul

Brady Corbet: Peter

Devon Gearhart: Georgie

Boyd Gaines: Fred

Siobhan Fallon Hogan: Betsy

Robert LuPone: Robert


TRAMA: Una normale famiglia (madre, padre, figlio e un cane) si reca a passare le vacanze nella propria casa al lago. Tutto sembra procedere come sempre quando arrivano due ragazzi che precedentemente erano stati visti nel giardino di alcuni amici. Un arrivo destinato a sconvolgere le vacanze e la vita della famiglia.


Voto 9

Arancia Meccanica vista da Michael Haneke. Sono due cose differenti ma in entrambi i casi i protagonisti negativi delle storie si divertono come matti - letteralmente – a compiere azioni efferate, con lentezza, senza l’assillo dell’arrivo improvviso delle forze dell’ordine. Ma se il romanzo di Anthony Burgess ci parla di sociologia e violenza giovanile in generale e Kubrick vi mescola elementi di thriller e lo arricchisce visivamente di colori forti, scene statico-fotografiche e musiche classiche manipolate, il regista austro-germanico sviluppa la storia in maniera asciutta, schematica, senza fronzoli, nell’assoluta e abituale assenza di accompagnamento musicale. Se il maestro americano mostra giovani come naturale prodotto della società inglese di quei tempi ribelli, l’altro invece sbatte sullo schermo due giovanotti di cui non si sa nulla, che vengono, prima ancora che dalla tappa intermedia della casa dei vicini, dal buio mentale delle loro vite; e spariranno poi nel loro misterioso futuro passando dalla villa di vacanza di altri vicini, lasciando una scia di esasperata e spietata violenza, calma brutalità, sorridente malvagità, ricominciando ancora con lo stesso espediente per intrufolarsi in casa.

Non c’è una logica nel comportamento di Paul e Peter, tutto si svolge come per un destino già scritto. La loro manifesta gentilezza, mostrata appena comparsi sulla scena, è troppo evidente e causa nella povera Ann (come negli spettatori) una immediata inquietudine, presagio di sviluppi (im)prevedibili. L’imbranataggine del primo giovanotto che compare fa venire subito sospetti, troppo maldestro Peter con le uova in mano: eccoli dunque all’opera con la loro prefazione preferita, il loro biglietto da visita, la richiesta in prestito di quattro uova per la famiglia della villa vicina dove sono ospiti (?). Questi duedibiancovestiti compaiono nelle case come vediamo comparire solitamente in film horror i fantasmi o le anime vaganti e irrequiete in cerca di qualcosa che li soddisfi, che appaghi l’innata voglia di far male, di placare la sete di violenza e dolore altrui o per portare a termine un compito affidato. Sì, perché non è sangue quello che cercano, il sangue ne è la semplice conseguenza. Paul e Peter amano soprattutto la sofferenza, il dolore (quante volte nei film di questo regista?), la crudeltà che infliggono ai malcapitati padroni di casa. Ma attenzione, non c’è fretta e tutto si svolge con il sorriso, le battute spiritose, una certa cultura nel linguaggio, la cura nel prospettare una notte da passare assieme. Usano guanti bianchi da golf, sport usato come argomento di conversazione e di voluto diversivo, ma è chiaro che servono anche per non lasciare impronte. In realtà a loro ciò non importa molto, non si preoccupano di quello che lasciano e come lo lasciano: i guanti bianchi danno l’idea di chirurgico, di attrezzo di lavoro e quando Paul se li tira per calzarli meglio è segno che è in arrivo un altro momento topico di sofferenza, per i padroni di casa e per noi che li osserviamo.

Michael Haneke si rivela sempre nello stesso modo, come Il Nastro Bianco (recensione) e La Pianista (recensione) così in questo caso: inesorabile, tagliente, preciso e pulito. Non fa sconti, né allo spettatore né ai suoi attori. Durante la visione mi chiedo quanta fatica psicologia e fisica costi agli attori recitare in quella maniera, quali strascichi lasci nelle loro vite e per quanto tempo. E in tutti i suoi film. Quelli citati prima e anche nella precedente versione di Funny Games, quella austriaca di 10 anni prima, dove lo stesso dolore fisico e mentale viene provato dai compianti Susanne Lothar e dal compagno artistico e di vita Ulrich Mühe. Anche nella versione USA – girata dallo stesso regista (forse caso unico nella storia del cinema) uguale uguale, sequenza per sequenza, frase per frase, inquadratura dopo inquadratura, una fotocopia, insomma, shot-for-shot, come dicono gli anglosassoni - tutti gli attori sono bravi, con una menzione speciale per la solita e straordinaria Naomi Watts e per il piccolo Devon Gearhart da una parte, e per Michael Pitt dall’altra, attore a cui tocca, con quel sorriso che non promette mai nulla di buono, essere sempre arrogante e antipatico. Provocatoria la scelta di far guardare lo spietato Paul nella macchina da presa per interloquire col pubblico un paio di volte: ci coinvolge ancor più. Se si può sintetizzare brevemente il film, è sufficiente ricordare l’ammissione del bravo Tim Roth: “È stato il film più disturbante tra tutti quelli che ho fatto. Sono state cinque settimane di lacrime. È stato brutale: si è trattata di una delle volte peggiori sul set per me. Non avrei mai voluto guardarlo!

Ogni volta che lo vedo mi riprometto che sarà l’ultima volta, poiché questo film fa star male, non capisco perché devo soffrire di nuovo (poi mi dico: è il cinema, bellezza!). Ma va visto, chi non lo conosce perde un piccolo capitolo della bellezza del cinema e di uno dei suoi eccellenti narratori: il grande regista di nome Michael Haneke. Il quale spiegò bene il motivo del remake: “All'inizio è stata soprattutto l'idea di un produttore. Ci ho pensato e mi sono detto che una versione in inglese era forse il modo migliore di raggiungere l'obiettivo che mi ero dato dieci anni prima. Il primo film non aveva raggiunto il pubblico cui era destinato, ovvero il pubblico anglofono, che è quello che consuma di più la violenza al cinema. Purtroppo, la lingua tedesca è stata un ostacolo per il successo del film in America, dove era stato distribuito solo nel circuito di sale d'essai. Per quanto mi riguarda ho posto una sola condizione: che la protagonista fosse Naomi Watts, per me la pura incarnazione del personaggio. Dovevo essere, in ogni caso, molto meticoloso nella scelta degli attori. Nessuno dei cinque personaggi principali doveva deludere rispetto al primo film.

Straordinario!

Ma non si può parlare di questo film non facendo riferimenti all’originale del 1997 su accennato. Anzi, scriverne proprio. Anche per un curioso ma esplicativo aneddoto che va raccontato.

Durante un incontro al termine della proiezione del primo film al Torino Film Festival del 1998, nel corso di una retrospettiva all’epoca rivelatrice (Haneke era al quarto film per il cinema, ma in Italia era sconosciuto), una spettatrice chiese la parola per spiegare al regista austriaco quanto per lei la scelta scioccante del film fosse stata quella di far morire per primo il bambino della coppia. Morto il bambino - disse la spettatrice - ogni speranza di chi guardava perdeva senso e tutto poteva accadere. Haneke rispose ammirato che nessuno fino a quel momento aveva colto così a fondo il senso del suo lavoro. Infatti, viene da pensare che sia un film capace più di ogni altro di spingersi oltre l’umano. La posta in gioco non è la possibilità della sopravvivenza delle vittime, come magari ognuno di noi spera durante la visione, ma il livello sempre più alto di messa in scena dell’intollerabile. La morale salta, il film appartiene al regno del puro accadimento. E, crudelmente, va detto che queste due opere dimostrano come non conti il come e il cosa (basi per un buon racconto) ma che vengano realizzate e guardate, e che esistano solo dal momento che si inizi a guardarle. Lo sterminio inizia solo quando lo guardiamo e si materializza con gli assassini, che sono gli esecutori, e con la macchina da presa che è il mezzo.

Funny Games - 1997

Funny, recita il titolo. Se proviamo a cercare la traduzione nei motori di ricerca, troviamo divertente ma anche buffo, strano, persino comico. E poi inspiegabile, sinistro, subdolo. Aggettivo che parla da solo e preannuncia. Forse negli USA fa ancora più effetto, data la violenza quotidiana che li attraversa, con la diffusione considerata normale delle armi e dei numerosi delitti che si verificano. Michael Haneke è un cittadino mitteleuropeo ma il funny che espone riguarda tutti.


 
 
 

Comments


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

bottom of page