Gli indesiderabili (2023)
- michemar
- 5 mar
- Tempo di lettura: 6 min

Gli indesiderabili
(Bâtiment 5) Francia/Belgio 2023 dramma 1h45’
Regia: Ladj Ly
Sceneggiatura: Ladj Ly, Giordano Gederlini
Fotografia: Julien Poupard
Montaggio: Flora Volpelière
Musiche: Pink Noise
Scenografia: Karim Lagati
Costumi: Noémie Veissier
Anta Diaw: Haby Keita
Alexis Manenti: Pierre Forges, il sindaco
Aristotele Luyindula: Blaz
Steve Tientcheu: Roger Roche
Aurélia Petit: Nathalie Forges, moglie del sindaco
Jeanne Balibar: Agnès Millas
Judy Al Rashi: Tania
Mohamam Al Rashi: Elias
Djénéba Diallo: Tanti
Bass Dhem: Bakari
TRAMA: Dopo la morte improvvisa del sindaco della città, il pediatra idealista Pierre viene incaricato di sostituirlo. Il medico è intenzionato a dare continuità alle politiche del predecessore, che sognava di riabilitare un quartiere popolare. Haby, giovane donna francese di origine maliana che vive in uno di quei palazzi fatiscenti, si rifiuta di permettere che la sua e le altre famiglie vengano cacciate dal quartiere in cui è lei nata e cresciuta.
VOTO 6

Da I miserabili agli indesiderabili, dai piccoli e medi criminali della banlieue parigina ai piccoli commercianti di strada immigrati di una cittadina nel dipartimento della Senna Marittima in Normandia, Montivilliers, che così mantengono le loro famiglie, dai casermoni della periferia della capitale a quelli della provincia settentrionale, con la costante presenza dell’attore Alexis Manenti, Ladj Ly torna a descriverci la lotta di sopravvivenza sociale delle seconde e terze generazioni della Francia interraziale, sempre in conflitto, per un motivo o un altro, con le istituzioni e le forze di polizia. Al suo secondo lungometraggio, il regista riparte da una scena popolata da molte persone: lì per i festeggiamenti della Francia campione del mondo di calcio, qui per lo spettacolare abbattimento di un palazzone periferico mediante esplosivo presieduto dal sindaco che aveva annunciato il rinnovamento e la riqualificazione residenziale della periferia della città. Termini urbanistici che spesso hanno intenti migliorativi della vita sociale e del benessere della popolazione, ma molto più spesso nascondono modifiche ai piani regolatori per motivi d’interesse privato e speculativo. Fatto sta che la scena iniziale pare uno spettacolo preparato per dare attuazione reale ai progetti del primo cittadino ma, per come avviene, diventa un totale disastro essendo stato predisposto il palco e il parterre, dove si è sistemata la gente ad assistere, troppo vicino all’edificio da abbattere. Tanto da causare un fall out di polvere e calcinacci addosso agli astanti, in primis sulle autorità cittadine poste sul palco. Sembra una bomba bianca che investe tutti, fino a spaventare molti, compreso il povero sindaco che viene colto da un malore, fino a morirne.
Eclatante e grottesco come inizio. Ma serve ad introdurre il cambio al vertice del comune, dove gli esperti furbacchioni politici locali, che non vogliono esporsi in prima persona alle innovazioni che riguardano una parte consistente della popolazione di origine nordafricana con il riordino abitativo, pensano bene di blandire e convincere il quieto pediatra Pierre Forges (Alexis Manenti) ad assumere la carica vacante. Vai avanti tu che a me vien da ridere, verrebbe d dire. Come sempre succede, l’ingenuo e cristallino dottore non si sente all’altezza del compito né tantomeno ha voglia di caricarsi di una mansione che porta più fastidi che onore, specialmente in territori tanto abitati dai numerosi immigrati della zona, che, proseguendo nel piano di ristrutturazione, sarebbero stati interessati. Ma è proprio per questo che i “manovratori” hanno pensato bene di utilizzare un sindaco fantoccio a cui scaricare le responsabilità e restare nell’ombra.
Questo tizio, che sta facendo bella figura con l’accoglienza di famiglie di rifugiati dalla Siria, non lo intuisce e prova anche gusto a prendere decisioni così importanti, tanto da stravolgere le sue idee politiche iniziali e intraprendere la strada dell’innovazione urbanistica a spese degli ultimi cittadini. Il suo prossimo obiettivo, per esempio, è un palazzone fatiscente ma certo luogo abitativo per decine e decine di famiglie nordafricane che hanno visto i loro figli nascere e crescere in quel posto, con tutta la loro caratteristica filosofia di vivere assieme, in stretta solidarietà, persino con persone che cucinano per molti di loro, adattando uno degli appartamenti come se fosse una cucina comune. Lì vi abita anche la giovane Haby Keita (Anta Diaw) di origini maliane, tenacissima attivista dei diritti della sua gente, sicuramente leader dotata per poter entrare prossimamente in politica in quanto provvista della giusta grinta e determinazione, sempre pronta a parlare con chiunque, anche con gli amministratori locali e comunali. Lei è in prima linea allorquando si accorge delle mire del nuovo sindaco e dei progetti che metterebbero in serie difficoltà solo gli abitanti dell’edificio, che pare il prossimo ad essere abbattuto. Il giorno in cui si vede arrivare un’offerta da parte del sindaco per liberare gli appartamenti, capisce che è l’ora di intraprendere una dura lotta contro il disegno politico.
Sta arrivando il Natale e giusto la Vigilia, quando la gente, benestante o meno, sta finendo i preparativi festivi e culinari, scoppia un incendio in quella cucina condominiale e il palazzo diventa una trappola: i pompieri isolano le fiamme salvando l’edificio ma l’occasione è troppo ghiotta per il sempre più reazionario sindaco, che, cogliendo l’occasione, fa dichiarare lo stabile inagibile e lo fa sgomberare con la forza, creando scompiglio e tafferugli. Tra i più attivi c’è Blaz (Aristotele Luyindula), il fratello di Haby, un giovane sempre disponibile a dare una mano a chi ne ha bisogno, sempre predisposto ad aiutare la sorella e l’attempato padre che vende oggetti al mercatino abusivo situato in un parcheggio vicino. Ladj Ly lo inquadra spesso e ci fa capire quanto sia bravo e quanta importanza potrà avere nel prosieguo della trama.
Ma proprio la Vigilia di Natale il sindaco doveva ordinare lo sgombero? Le proteste di Blaz e soprattutto di Haby sono forti, battagliere, e la ragazza non esita a contestare il sindaco entrando di prepotenza nel suo ufficio. La tensione sale a dismisura, fino al gesto ribelle estremo del disperato Blaz. Ma si sa: quando le reazioni sono eccessive ci perdono tutti. Gli aggressori, che si pentono. e gli aggrediti che capiscono di aver esagerato nelle pretese.
Il meccanismo civico fallisce e non poche volte, e questo regista, come aveva mostrato nel bellissimo film precedente, si ripete con scene di mancato funzionamento dei mezzi tecnici. Lì la polizia veniva bloccata dall’omertà della popolazione alleata con i delinquenti, qui non si riesce neanche portar giù dai piani alti la bara di una anziana morta, dato che l’ascensore non funziona da tempo. Invece il mezzo tecnico per eccellenza del cinema degli ultimi anni, il drone, funziona a meraviglia nel primo film (vedi la lunga scena del ragazzino che riprende con la telecamerina in volo gli spostamenti dei poliziotti), e altrettanto succede in questo film specialmente nel finale in cui, come tanto frequentemente usano i registi di oggi, la cinepresa si alza in una panoramica notturna sul quartiere e su tutta la cittadina.
No, il miracoloso esordio del primo film non si è ripetuto, Ladj Ly non ha bissato l’exploit. Pur mantenendo lo spirito quasi documentaristico, la sceneggiatura non ha la forza del film che doveva confermare le sue qualità. Viaggia costantemente su binari ordinari, spesso senza il vigore necessario per imprimere drammaticità sufficiente. Perché la storia è realistica ed è dramma per la gente di cui parla, ma il film non si discosta dalla ordinarietà. Fa bene a mostrare come il sindaco cambi personalità una volta acquisito il potere, fa bene a costruire la figura della ragazza combattiva quando sa usare un linguaggio rabbioso di protesta per difendere se stessa e i suoi, ma il personaggio di Blaz è leggibile in anticipo e alla fine non sorprende. Dialoghi fiacchi e trama debole. Anche Alexis Manenti sembra un pesce fuor d’acqua, sicuramente non l’attore giusto. Bene invece la grintosa Anta Diaw, come il suo pari Aristotele Luyindula, ma oltre non si va. La regia di Ladj Ly non ha il respiro che avevamo conosciuto e resta quasi anonima. Le scene dello svuotamento degli appartamenti si esauriscono presto e poi non abbiamo più notizie del collettivo, se non dei due che rappresentano la ribellione: una politica e l’altro delinquenziale.
Il problema, comunque, viene evidenziato ed è sul tavolo, ma il finale mesto ci dice anche che soluzioni non ci saranno perché ognuno ha le sue convinzioni e le sue convenienze. Nulla cambia e non cambierà. Fino alla prossima rivoluzione.
Ci si aspettava di più dal regista, vediamo se si riprende.
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