Gli indifferenti (2020)
- michemar
- 14 mar 2021
- Tempo di lettura: 6 min

Gli indifferenti
Italia 2020 dramma 1h21’
Regia: Leonardo Guerra Seràgnoli
Soggetto: Alberto Moravia (romanzo)
Sceneggiatura: Leonardo Guerra Seràgnoli, Alessandro Valenti
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Montaggio: Carlotta Cristiani, Giogiò Franchini
Musiche: Matteo Franceschini
Scenografia: Giada Calabria
Costumi: Mariano Tufano
Valeria Bruni Tedeschi: Maria Grazia Ardengo
Edoardo Pesce: Leo Merumeci
Vincenzo Crea: Michele Ardengo
Beatrice Grannò: Carla Ardengo
Awa Ly: Marame
Blu Yoshimi: Lavinia
Giovanna Mezzogiorno: Lisa
TRAMA: I membri di una famiglia della Roma benestante reagiscono ognuno a modo proprio alla crisi finanziaria che minaccia il loro status sociale. A capo della famiglia vi è Mariagrazia, una vedova che ha una relazione con Leo, un uomo privo di scrupoli. Mariagrazia è anche la madre di due figli avuti dal defunto marito: Carla, da cui Leo è fortemente attratto, e Michele, consapevole del tentativo dell'amante della madre di sedurre la sorella ma in qualche modo indifferente a tutto ciò.
Voto 6-

Del regista Leonardo Guerra Seràgnoli ho apprezzato il suo primo lungometraggio, Last Summer (recensione), gelido film ristretto a bordo di uno yacht, un microcosmo che più o meno si ripete in questa riedizione di un’opera importante di Francesco Maselli del 1964 ma soprattutto messa in scena cinematografica di un basilare romanzo di Alberto Moravia. Non era facile ripetere lo studio introspettivo del mitico Citto, che cercava di scavare negli aridi animi dei personaggi interpretati da un cast lontanissimo da questo film. Allora elencava Tomas Milian, Claudia Cardinale, Shelley Winters, Rod Steiger, Paulette Goddard, Adriana Facchetti. Con tutto rispetto, imparagonabile con gli attori di questa occasione. Come, nello stesso tempo, è sempre difficoltoso riuscire a raccontare con le immagini e una sceneggiatura adeguatamente scritta l’essenza del romanzo di Alberto Pincherle (nome anagrafico dello scrittore romano) che ha come epicentro la descrizione del peggior aspetto della borghesia italiana, la noia che la abita, l’apatia che la decolora.

Se il film di Maselli, maggiormente esaltato dalla fotografia in bianco e nero di Gianni Di Venanzo che ne accentuava l’ipocrisia, l’essenza del romanzo scritto era quasi palpabile sia per merito di una puntuale regia sia per la classe di attori di notevole levatura che rendevano benissimo i ruoli dei personaggi nell’ambito del racconto, quello di Leonardo Guerra Seràgnoli perde in intima cattiveria e l’incisività dell’indifferenza del titolo sbiadisce diluendosi in un più palese egoismo trionfante. Ognuno dei cinque personaggi (escludendo la governante Marame) bada soprattutto a se stesso, manovra quotidianamente per salvaguardare solo i propri interessi, mascherando i sentimenti con atteggiamenti falsamente affettuosi, con gesti spesso fumosi. L’unico che forse va oltre sé è il giovane Michele appena rientrato da San Pietroburgo, desideroso di proteggere non tanto sua madre, quanto la sorella Carla e la proprietà ereditata dal padre. Quel superattico fa gola all’avventuriero Leo e lui forse è l’unico ad averlo capito veramente. Non lo sopporta e non maschera la sua avversione, ignorata dall’uomo che considera di avere totalmente in mano la situazione: fin quando Maria Grazia resta completamente soggiogata da lui non corre pericoli, riesce sempre a convincerla. Il prezzo consiste solo in una notte a settimana, un sacrificio che fa volentieri per arrivare ad impossessarsi non del cuore ma del corpo di Carla, ragazza che gli potrà dare smalto alla sua figura di faccendiere continuamente all’opera con affari mai limpidi.

Cinque personaggi, cinque ruoli, cinque piani presenti e futuri.
La padrona di casa Maria GraziaArdengo galleggia nella vita in attesa della sistemazione definitiva con Leo, debitrice incallita per cui solo il matrimonio può sanare il saldo profondo. Vanesia, ipocrita, cieca e sorda anche dopo la scoperta della tresca del suo uomo con la figlia. L’importante è sopravvivere.
LeoMerumeci è l’unico che a tavola mangia di gusto e beve anche troppo, marcando ancor di più la differenza con il resto dei commensali, dove la vedova spilucca e i figli non toccano cibo. Si sente il padrone di casa, se non adesso molto presto, appena sarà riuscito a far firmare il preliminare a quella donna che non sopporta più.
MicheleArdengo è giovane e irruente, impaziente e laconico. Continuamente teso, è chiaro che sta studiando come ostacolare le mire di quell’insopportabile estraneo che sa manovrare la madre. Il finale del romanzo e del film (anche se con qualche differenza concettuale) è nelle sue mani: sarà Michele che può fare giustizia oppure rappresentare il completo fallimento della riscossa della famiglia in disarmo.
CarlaArdengo vive solo per la sua attività di gamer on line: gioca su YouTube in piattaforme di giochi pensando di costruirsi un futuro indipendente, incoraggiata, ipocritamente e per sola convenienza egoistica, da quel Leo che pensa di farla propria. Apparentemente è un personaggio secondario ed invece è l’occhio del ciclone: è la preda di Leo, è la protetta di Michele, è in realtà una ragazza fragile nonostante la grinta mostrata sul web. Il finale è anche suo, nella sequenza, che il regista le dedica, enigmatica ed aperta. Sta accettando di diventare la donna del faccendiere o medita altre soluzioni?
Lisa è l’amica di sempre della famiglia, ex amante di Leo, ora cacciatrice del giovane Michele, figura che Guerra Seràgnoli rinuncia a disegnare in maniera esaustiva e che quindi è un passo indietro agli altri. Eppure, avrebbe potuto essere più importante. (Nota a margine: è la prima volta, a mia memoria visiva, che Giovanna Mezzogiorno esibisce il suo corpo, ahimè oggi troppo abbondante).
La sesta persona del film è la povera Marame, che serve la famiglia da chissà quanto tempo ma non riscuote da mesi lo stipendio, neanche per pagare l’affitto di casa sua. La svampita padrona di casa la invita a dormire da loro, come per dividere le sofferenze domestiche e finanziarie, massima espressione di insensibilità, diretta derivazione dell’insano clima che regna nella casa.

Un’altra differenza sostanziale tra i due film paragonati è l’ambientazione contemporanea perché all’autore interessava sottolineare come nonostante i tanti anni passati e una società che si è apparentemente evoluta, la famiglia Ardengo, Leo Merumeci e Lisa, siano ancora qui tra noi, nella società attuale. L’importante era lavorare sulla frustrazione e l'inquietudine generate da un modo di pensare e agire atavico, radicato e dannoso per la nostra società, così come fu nelle intenzioni dello scrittore. E proseguendo nella lettura imposta dall’autore, il regista cerca di assecondarlo lasciando il futuro della famiglia nelle scelte di Carla, senza trascurare l’importanza del ruolo di Michele. Il quale, a sua volta, ha l’occasione eclatante di mettere fine allo scempio a cui assiste, ma – chissà – per distrazione o per mancanza di coraggio non carica di proiettili la pistola con cui va a trovare Leo per chiudere i conti. Almeno, però, la paura gliela mette e come! Ma non è l’”indifferenza” che predomina questa opera, piuttosto l’apatia: è quella che ho letto personalmente sul viso e negli occhi dei personaggi di Leonardo Guerra Seràgnoli. Sono amebe che trascinano la loro vita, sono anime senza spirito, hanno cuori come organi e basta. Orgoglio assente, ipocrisia sparsa a piene mani. Bella la fotografia, che fa risaltare il lusso colorato del bellissimo appartamento che fa gola, esaltato dalla posizione-chiave delle luci delle stanze. Fiammante al contrario del buio “di famiglia in un interno”.

Chi meglio di Valeria Bruni Tedeschi può interpretare il ruolo di Maria Grazia in Italia? La risposta è facile: nessuna, almeno per come l’ha inteso lei, con quell’aria sempre frastornata, dalla tipica voce afona, dal sorriso che può anche essere una smorfia o l’inizio di un pianto. Brava! Edoardo Pesce lo trovo alquanto ingessato, poco sciolto, adatto come gli viene facile più ad un personaggio trucido che della finanza rampante. Affarista sì, ma avrei visto meglio altri. Vincenzo Crea prosegue con ruoli tenebrosi e poco chiari: dopo I figli della notte gli viene congeniale essere lo scomodo di casa. Tutta da scoprire Beatrice Grannò, nota per qualche serie TV, ma a primo sguardo interessante, facente parte di quella giovane leva di attrici italiane che possono essere il futuro del nostro cinema. Non male. Giovanna Mezzogiorno è quella che conosciamo, ma solo come attrice, non come donna: mi dispiace vederla così in carne e spero che sia solo perché non le importi nulla. Da troppo tempo ha copioni secondari, quando invece una volta la protagonista dei suoi film era lei.

Il film, nel complesso, fa molta fatica a raggiungere la sufficienza, molta. Anche perché – data l’importanza di partenza del romanzo di Moravia - manca quella cattiveria politica che Citto Maselli (che invece ha sempre avuto indirizzi politici chiari) seppe mettere come sfondo polemico nel suo film e che facevano parte del bagaglio del romanzo. Qui siamo davanti ad un dramma moderno, che del vecchio non ha che lo spunto.
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