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Green Border (2023)

Green Border

(Zielona granica) Polonia/USA//Rep.Ceca/Francia/Belgio/Germania/Turchia 2023 dramma 2h32’

 

Regia: Agnieszka Holland

Sceneggiatura: Maciej Pisuk, Gabriela Łazarkiewicz, Agnieszka Holland

Fotografia: Tomasz Naumiuk

Montaggio: Pavel Hrdlička

Musiche: Frédéric Vercheval

Scenografia: Katarzyna Jędrzejczyk

Costumi: Katarzyna Lewińska

 

Jalal Altawil: Bashir

Maja Ostaszewska: Julia

Behi Djanati-Atai: Leila

Tomasz Włosok: Jan

Mohamad Al Rashi: padre di Bashir

Dalia Naous: Amina

Maciej Stuhr: Bogdan

Agata Kulesza: Basia

Magdalena Popławska: la moglie di Bogdan

Piotr Stramowski: Maciek

Jaśmina Polak: Żuku

Marta Stalmierska: Ula

Monika Frajczyk: Marta

Malwina Buss: Kasia

Talia Ajjan: Ghalia

Taim Ajjan: Nur

 

TRAMA: Una famiglia di rifugiati siriani, un anziano insegnante di inglese che viene dall’Afghanistan e una giovane guardia di frontiera si incontrano sul confine polacco-bielorusso durante l’ultima crisi umanitaria causata dalle scelte del presidente bielorusso Alexander Lukashenko.

 

Voto 7,5



La scelta del titolo che indica un colore di speranza è provocatoria, perché la speranza è quella che viene completamente disattesa e distrutta alle povere persone che affrontano quest’odissea indicibile. La prima inquadratura, infatti, è una ripresa aerea del verdeggiante bosco al confine tra Polonia e Bielorussia, dove troviamo, disperati ma speranzosi, quasi sollevati, individui – famiglie intere e profughi solitari – che sbarcano da un aereo con il vano sogno di entrare in Europa per ricongiungersi a parenti che vivono nelle varie nazioni occidentali. Sono illusoriamente felici dell’atterraggio e di essere presi a bordo di alcuni mezzi organizzati per trasferirli in alcune città polacche da cui ripartire e unirsi ai congiunti che vivono altrove. Ma in quel posto non abita la speranza. Ne è perfettamente consapevole Agnieszka Holland che, non a caso, opta per una ruvida fotografia in bianco e nero per girare il lungometraggio presentato in concorso alla 80.ma Mostra del Cinema di Venezia dove ha vinto il premio speciale della Giuria. La cineasta polacca, due volte candidata al premio Oscar, porta al Lido un’opera che dirige la nostra attenzione su una tragedia ancora attuale, una pellicola che attraverso immagini potenti e strazianti parla al cuore dello spettatore e lo invita a riflettere sulle scelte etiche con cui tutti ogni essere umano deve confrontarsi quotidianamente.



Il film inizia (siamo nell’ottobre del 2021) con una sequenza solo in apparenza rassicurante. Su un aereo della Turkish Airlines, una famiglia siriana proveniente da Harasta, città a Nord Est di Damasco, fugge dalla guerra. I profughi sperano di raggiungere la Svezia ma la prima tappa del lungo viaggio è la Bielorussia. Sullo stesso aeroplano viaggia pure una donna afgana che sogna un futuro in Europa, lontano dai talebani. Tuttavia, quello che doveva essere l’inizio di un sogno di libertà si trasforma ben presto in incubo senza fine: il dittatore bielorusso Lukašėnka ha infatti architettato un crudele piano per provocare una crisi geopolitica internazionale. Nel tentativo di provocare l’Europa, i rifugiati sono attirati al confine dalla propaganda che promette un facile passaggio verso l’Unione Europea, ma in realtà i profughi si ritrovano prigionieri delle insidiosissime e mefitiche foreste paludose che costituiscono il cosiddetto “confine verde” tra Bielorussia e Polonia e costretti a subire le violenze e i soprusi della polizia di frontiera. Ad aiutare gli esuli sarà Julia, una psicologa polacca che ha perduto il marito a causa del Covid, mentre Jan, una giovane guardia che aspetta una figlia da sua moglie, comprenderà a sue spese e con ritardo l’orrore a cui sta partecipando.



L’iniziale racconto delle vicissitudini sempre più tragiche vissute dalla famiglia siriana non si ferma ad un primo superficiale livello di semplice narrazione emotiva, ma consente di avere un approccio diretto con gli effetti devastanti delle teorie demagogiche anti-migratorie che la regista non si esime dal raccontare nel segmento del film dedicato ad uno dei soldati polacchi di stanza al confine, Jan. Al tempo stesso, la storia della psicologa Julia, interpretata da Maja Ostaszewska, attrice di fama in Polonia, apparentemente ancora più scollegata rispetto al precedente contesto, diventa il vero collante dell’intero racconto nel momento in cui questa sceglie di impegnarsi personalmente nel soccorso clandestino dei migranti.



L’assurdità della grave situazione risiede nel fatto che, se la Bielorussia di Lukašėnka spinge i profughi verso il confine polacco per “destabilizzare” l’Europa, questa, comunque, se ne sta lì a guardarne il massacro: loro muoiono di fame, di sete, di freddo, sono prigionieri dietro il filo spinato, lungo i 186 km della frontiera polacca e l’UE ferma, immobile. E nel frattempo, il presidente del partito dell’allora maggioranza politica li ributta indietro come stracci, come pacchi fastidiosi, persino presi di peso e lanciati oltre il filo spinato, appena essi si azzardano a rivarcare il confine. È l’agosto del 2021, e la campagna di respingimento si concentra sul villaggio di Usnarz Górny, nella Polonia nord-orientale. Agnieszka Holland ci fa vivere penosamente giorno dopo giorno, notte dopo notte, tra temporali e malattie, donne incinte e bimbi che hanno bisogno di bere, mangiare, pulirsi, mentre i genitori, in particolar modo i maschi, rinunciano a tutto pur di alleviare appena le pene dei figli e delle mogli. A poco serve l’incoraggiamento morale degli anziani, come il povero insegnante d’inglese afgano che cerca, nonostante l’età, di rendersi utile pur stanti i suoi limiti fisici.



I capitoli servono ad introdurci nell’ambito delle famiglie, della vita disinformata e spietata dei giovani militari polacchi e della crudeltà delle decisioni dei comandi spinti dalla politica bugiarda. Il primo (La famiglia) illustra le vicissitudini disumane dei profughi con scene raccapriccianti di fame e sete, morte nella palude, spostamenti repentini per sfuggire alla caccia, con altalenanti spiriti d’animo dovuti a momenti di speranza seguiti presto da illusioni spente con la violenza. Poi segue il capitolo 2 (La guardia), dedicato ai giovani militari che devono eseguire gli ordini, in particolare la vita di Jan, con la moglie prossima a partorire tra una spedizione punitiva e l’altra. Quanto stride la differenza tra la visita ginecologica della moglie polacca e le doglie di quella nella foresta! Solo nel finale il soldato si renderà conto del suo lavoro sporco e disumano e chiuderà – ah, che momento di tensione! – l’occhio che vede quello spaventato di Bashir tra le scatole del vano del furgone che finalmente sta trasportando la famiglia siriana verso quella che dovrebbe essere la libertà. Il capitolo 3 (Gli attivisti) è dedicato al gruppo dei volontari che riesce sempre a dare una mano e conforto ai tantissimi rifugiati nel bosco: coperte, abiti asciutti, medicazioni, cibo, acqua, creme per le ferite e i piedi sanguinanti. Una delle responsabili è la ribelle Marta, sorella della psicoterapeuta Julia (a cui è dedicato il Capitolo 4, chiamato con il suo nome), vedova che si offre volontaria e diventa uno dei personaggi principali del film, fino ad esporsi in prima persona per aiutare i bisognosi, tanto da trascorrere una notte in cella e subire oltraggi dalla polizia. Ed infine si giunge all’Epilogo: Confine polacco-ucraino 26 febbraio 2022, dove la polizia di frontiera aiuta il trasbordo dei rifugiati che scappano dall’invasione russa e che vengono convogliati verso le città polacche: quindi, volendo e avendo buona volontà, si può accogliere? O, più semplicemente, conviene?



Che la gente possa convivere felicemente e senza problemi lo dimostra la spontaneità e la facilità degli adolescenti nella scena in cui, in casa della famiglia trovata da Julia per ospitare tre africani che parlano francese, improvvisano i ritmi e le parole per un rap che li unisce gioiosamente.

La didascalia finale è feroce: Durante le prime settimane della guerra in Ucraina, la Polonia ha accolto quasi due milioni di profughi ucraini. Dall’inizio della crisi dei profughi nel 2014, circa 30.000 persone sono morte attraversando diversi confini europei via mare, via terra, nelle foreste. Mentre scriviamo queste righe, nella primavera del 2023 le persone continuano a morire al confine tra Polonia e Bielorussia.



Con il suo bianco e nero contrastanti e cupi (che mi ha vagamente ricordato quello di Ida o Cold War, con le loro bianche strade vuote, alberate e desolate), il film ci spalanca le spaventose condizioni della foresta, il gelo, l’oscurità, le paludi (da brividi la morte del povero Nur inghiottito dal fango), così da far risaltare maggiormente il contrasto tra la teoria delle parole pretestuose politiche e la crudissima realtà. Quel confine continuamente fotografato, che i profughi attraversano più volte (per necessità o per respinta), nonostante il filo spinato, non ha nulla di definitivo o addirittura di sacro come tanti politici amano proclamare e declamare. Anzi, è una linea strumentalizzata da una guerra di poteri e interessi, con i migranti ridotti a pedine e gli altri personaggi di cui il film si occupa allargando lo sguardo, chiamati a scegliere tra umanità e indifferenza, tra bene e male. In un rapido momento del film, la Holland (75 anni compiuti a novembre 2023) cita una scena di L’infanzia di Ivan di Tarkovskij: il passaggio di un fosso da parte di un soldato e una donna, ora sostituiti da un padre che aiuta la moglie e le figlie. Il superamento di un ostacolo è ancora raffigurato con un’immagine poetica, ma la regista sa bene di dover rinunciare almeno in parte alla matrice artistica del suo cinema e di dover scegliere uno stile meno ricercato e più diretto, se non grezzo. Perché, per essere chiari, per evitare ogni sorta di retorica, è necessario essere brutali, perché brutale è tante volte (troppe) la Storia dell’Uomo. Come in questo caso. Specialmente se è lo stesso Stato interessato a voler negare e contrastare la verità, fino al punto di non aver voluto candidare il film alla corsa degli Oscar, ritenendolo un’opera falsa e ingiuriosa nei riguardi della Polonia. Parola del Ministro della giustizia polacco Zbigniew Ziobro.


L’infanzia di Ivan di Tarkovskij



Il film fa male e durante la visione sono stato sempre scomodo, volevo quasi che finisse presto ed invece dura tanto, ma non troppo, non ci si accorge, tanto forte si spera che almeno quella famigliola si salvi, che il papà raggiunga il fratello in Svezia. Ed alla fine mi son detto che non ne avrei mai scritto, non avevo argomenti, non avevo il coraggio di tornarci su: che considerazioni fare, se i fatti parlano da soli? che conclusioni trarre se sono solo amarissime, se l’Uomo è una bestia, senza offese per gli animali? come incentrare un ragionamento sereno ed obiettivo se l’argomento è così truce?

Povera gente…



Forse è solo la motivazione ufficiale del Gran Premio Speciale della Giuria di Venezia 2023 a spiegare bene l’importanza del lavoro della benedetta Agnieszka Holland:

Con un approccio duro e sconvolgente, in un bianco e nero che rende ancora più drammatica la situazione, la regista polacca descrive il trattamento violento e crudele subìto dai migranti al confine tra Polonia e Bielorussia, mettendo in luce, oltre all’ovvio aspetto disumano, la volontà di ogni Stato di usare a scopo politico il flusso di gente disperata che ha perso tutto.



Della regia, in pratica, si è detto tutto, resta solo da dire che è un film più giusto che grande, più necessario che bello, ma di grande precisione e potenza, ed allora non resta che ringraziare la recitazione degli attori, che fanno ogni cosa per non far sembrare finzione ciò che è davvero accaduto. Oltre alla brava Maja Ostaszewska e alla passione di Behi Djanati-Atai, lo sguardo di Jalal Altawil trafigge lo schermo. Ogni volta.



Riconoscimenti

Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia 2023

Premio speciale della giuria

Green Drop Award

Premio Arca CinemaGiovani al miglior film

Premio CinemaSarà della Cineteca Italiana

Premio di critica sociale "Sorriso Diverso Venezia Award" al miglior film straniero

Premio UNIMED per la diversità culturale

In concorso per il Leone d'oro

European Film Awards 2023

Candidatura per il miglior film

Candidatura per la miglior regista

Candidatura per la miglior sceneggiatura



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