His Three Daughters
USA 2023 dramma 1h41’
Regia: Azazel Jacobs
Sceneggiatura: Azazel Jacobs
Fotografia: Sam Levy
Montaggio: Azazel Jacobs
Musiche: Rodrigo Amarante
Scenografia: Kendall Anderson
Costumi: Margaret Galvin
Carrie Coon: Katie
Elizabeth Olsen: Christina
Natasha Lyonne: Rachel
Jay O. Sanders: Vincent
Rudy Galvan: Angel
Jose Febus: Victor
Jovan Adepo: Benjy
Jasmine Bracey: infermiera
TRAMA: Christina, Rachel e Katie sono tre sorelle poco in armonia che si riuniscono nuovamente dopo anni per prendersi cura del padre morente nel suo appartamento a Manhattan.
Voto 8
Quando le famiglie tornano a riunirsi nella mesta occasione di accompagnare gli ultimissimi giorni di vita di un familiare, capita inevitabilmente di parlare dei suoi trascorsi, del suo carattere, dei rapporti intercorsi, le virtù, poco dei difetti, perché, si sa, dopo la morte si conviene ricordare solo le cose belle e i pregi. Insomma, si parla del passato e della vita vissuta dal compianto. Katie, Christina e Rachel sono le figlie (in verità due sorelle e una sorellastra, come spiegherò più in là) del moribondo Vincent, due volte vedovo e ora malato terminale giunto ormai alla fine della corsa, e si ritrovano nella sua casa di Manhattan dove vive con quest’ultima. Le prime due arrivano da altri luoghi mentre, appunto, Rachel è rimasta sempre col padre, accudendolo negli ultimi anni. Tre donne molto differenti di carattere, tre esperienze diversificate, che hanno preso non strade ma esistenze molto diverse l’una dall’altra e qui si ricongiungono dopo tanto tempo per accompagnare l’uomo nell’ultimo tragitto.
Siccome non si vedono da anni e dato che non sono mai andate moltissimo d’accordo, la reunion inizia con qualche difficoltà e perplessità di tutte, soprattutto da parte della rigida Katie (Carrie Coon), una perfezionista con l’ansia del controllo totale, che prende subito in mano la situazione, cominciando a decidere quello che ci sarebbe da fare, a scrivere su un taccuino il discorso commemorativo da tenere ai funerali, o a stabilire l’alternarsi al capezzale del padre, il consulto con un esperto degli ultimi giorni di malattia per sapersi destreggiare in quei giorni, i turni dell’infermiera, mentre nel frattempo telefona a casa per impartire istruzioni anche verso i suoi, dall’altra parte del fiume, a Brooklyn, e non è stata molto presente durante la malattia del padre. Che non sopporti la sorellastra risulta in maniera evidente sin dall’inizio e che tra le due non scorra buon sangue lo si nota anche come la rimprovera di fumare canne in casa con l’uomo ammalato.
Rachel (Natasha Lyonne) è, in buona sostanza, una fattona che preferisce non parlare, sia per non litigare sia perché ama chiudersi nella sua camera e nel suo silenzio, mentre segue le partite in TV su cui ha il vizio di fare scommesse, spesso assieme al suo ragazzone Benjy. Si fa canne in continuazione e giacché la sorella la caccia sempre, se le va a fumare sulla panchina del giardino del condominio, dove puntualmente l’anziano Victor, che fa da portiere, le ricorda che lì è vietato ma soprassiede sempre chiedendo lo stato di salute dell’ammalato.
In mezzo, per fortuna, si schiera Christina (Elizabeth Olsen), la più tranquilla delle tre, madre felice di una bimba di cui ama sempre far riferimento, come della sua famiglia felice, che vorrebbe arricchire con un’altra maternità. È la più sorridente e la più emotiva e viene dalla costa occidentale. È, tra l’altro, un’ex spirito libero e anticonformista, che si è adattata a una routine più semplice e tradizionale, bilanciando le sue credenze pseudoscientifiche con la pratica, anche se qualcosa di ribelle e affamato brilla ancora nei suoi occhi, come l’amore per i vinili di musica rock.
Il figlio d’arte Azazel Jacobs (il padre Ken ha sempre e solo girato film sperimentali, di ogni tipo) scrive e dirige il suo settimo film che si rivela, a detta di tutti, come il suo migliore, che è, per quanto mi riguarda, un bellissimo film che mi ha sorpreso, convinto erroneamente che la mano, almeno della scrittura, fosse femminile tanto è attenta ai risvolti dei caratteri e alle dinamiche dei rapporti tra donne. Una scrittura dura e delicata allo stesso tempo, che rispecchia alla perfezione il quadro iniziale e gli sviluppi dei continui e non stanchevoli dialoghi che sono sempre sostenuti e sull’orlo del litigio pesante, dello scontro insomma, a cui davvero si arriva in uno dei frangenti tra i più difficili. Il regista-sceneggiatore disegna con arte le tre figure, dando ad ognuna un carattere ben preciso che fa risaltare lentamente, frase dopo frase, discussione dopo discussione, tra un rimprovero e un rifiuto, sempre con le caratteristiche descritte: intanto Katie ripartisce, Rachel recalcitra, Christiana media, la seconda esce e va sulla panchina per trovare pace accendendo un po’ di erba arrotolata.
Perché il morente ha deciso che la casa deve restare di proprietà ad una figliastra? Cosa ha fatto per meritarsela? Non si era sempre disinteressata delle condizioni del padre, in questi ultimi anni? Perché non mette su famiglia come le altre due e non fa figli? Ipotesi che irritano non poco Rachel ed invece lei sorride, vorrebbe reagire duramente ma preferisce sedersi sulla panchina del giardino. Quando pare che le due litiganti si odino a sufficienza, l’altra, parlando del futuro – e non del passato -, mette quiete e tutte tirano ancora avanti in attesa del momento del trapasso, quando finiranno i litigi e torneranno alla vita di prima. Ed invece.
Invece Azazel Jacobs inserisce una parentesi onirica, uno scherzetto di sceneggiatura che stravolge la situazione incancrenita: papà Vincent si ribella allo stallo, si alza, si toglie i tubi, prende una birra. Oh, finalmente, prendiamoci un po’ di libertà! E parte un monologo che prima meraviglia (figlie e spettatore), poi rilassa e rivela i retroscena degli anni di famiglia. La prima moglie, la seconda che si porta dietro Rachel, le belle cose vissute assieme, il bene che ha voluto a tutte e tre. E anche i sacrifici e le rinunce della figliastra dopo che le altre erano andate via. I sacrifici di Rachel? Chi ne avrebbe dubitato? Katie! La verità, dice in pratica Vincent, è che non possono esistere figli di prima categoria e di seconda. È l’amore quello conta, è l’amore che lega le persone e quando e quanto lui ha l’ha ricevuto lo ha ricambiato con tutte le energie. Per Vincent, Rachel vale quanto le altre, son tutte figlie “vere”. Le quali, ascoltando con interesse, scoprono quanto siano state meschine, di aver perso tempo a litigare, che ognuna di loro ha fatto e dato il meglio, a sentire il padre. Si siedono abbracciate sul divano e ascoltano in silenzio il monologo come tre sorelle legate e affettuose. Ma è solo un passaggio fantastico, una fantasia mentale, che serve ad aprire occhi e cuore, un volo pindarico che atterra pesantemente e presto, perché, dopo le divagazioni affabulate del moribondo rivitalizzato, lo ritroviamo morto sulla sua poltrona amata che aveva scelto per l’ultimo respiro.
La riunione è terminata, l’orazione funebre è stata completata e letta, le famiglie aspettano da troppi giorni, la vita deve riprendere. Si salutano con affetto e commozione, sapendo che forse non si rivedranno più. È stata una rappacificazione dopo una battaglia aspra, mentre la morte era fuoricampo, un’assenza. Fino al momento in cui quel fuoricampo entra sul proscenio e diventa protagonista per alcuni minuti. Determinanti. Prima, dovevano parlare del passato del malato, hanno litigato per il futuro, si son vomitate addosso di tutto, in uno sviluppo interamente tra quattro mura, con un solo esterno estemporaneo, rappresentato dalla panchina. Il resto tutto in quel soggiorno, qualche volta il corridoio, qualche altra volta la cucina in cui Rachel ha quasi solo cibo marcito, la sua camera. E il viso corrucciato di Katie che domina sin dal primo minuto.
Una pièce teatrale portata sullo schermo in cui il regista scrive di tre personaggi con cura e precisione, superando l’archetipo per arrivare ai dettagli meravigliosi e graffianti di una caratterizzazione autentica, creando cioè tre persone attendibili, umane, con i difetti e i pregi comuni. Non sembrano finte, create per lo schermo e la narrazione, ma credibili e vere. Come l’intera famiglia, come le altre, del resto. Per completare l’operazione era impellente e indispensabile avere tre interpreti valide, credibili come i personaggi e Carrie Coon, Elizabeth Olsen, e Natasha Lyonne lo sono a pieno titolo. Difficile fare una classifica tra loro: ognuna esprime il proprio talento in maniera solare, chiarissima, si superano a vicenda. Carrie Coon esibisce con padronanza l’alterigia del personaggio, le sue (in)sicurezze e l’ansia di voler tenere tutto sotto controllo; Elizabeth Olsen affronta la sua donna con il sostegno di un’ottima interpretazione, esibendo la felicità familiare raggiunta e la saggezza e la sensibilità che la caratterizzano. Chi mi ha sorpreso, conoscendola poco, è stata senz’altro Natasha Lyonne, la sua sicurezza nel rappresentarci un ruolo non facile pieno di carattere e di personalità complessa. Di primo acchito pare antipatica, indisponente, invece lentamente si scopre una donna che ha amato il padre che si era ritrovata, che sa reggere all’assalto della sorella maggiore, che si chiude per difesa ma che, quando si alza la nebbia della scarsa conoscenza con le altre due, si rivela per quella che è: generosa e soprattutto amatissima dal genitore.
La bravura di Azazel Jacobs è stata quella di portare, nell’ambito di un dramma da camera, un cinema essenziale, all’apparenza scarno come l’arredamento dell’appartamento, ed invece denso di sentimenti, positivi e negativi, che si addensano come nuvole minacciose in procinto di un temporale pronto ad abbattersi. Per loro fortuna si apre alla fine l’arcobaleno che rischiara le menti delle tre, evento che va ad illuminare quello che le affliggeva, sensazioni che sono anche le nostre, come la paura, la perdita, il senso di impotenza mentre il tempo si riappropria gradualmente di tutto ciò che ci ha dato. Il finale fatto di connessione e comprensione ci fa capire l’importanza di capirsi senza pregiudizi e di trarre insegnamenti anche dalla elaborazione dei lutti.
Bel film, interpreti eccellenti.
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