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Horizon: An American Saga - Capitolo 1 (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 10 feb
  • Tempo di lettura: 5 min

Horizon: An American Saga - Capitolo 1

(Horizon: An American Saga - Chapter One) USA 2024 western 3h1’

 

Regia: Kevin Costner

Sceneggiatura: Kevin Costner, Jon Baird

Fotografia: J. Michael Muro

Montaggio: Miklos Wright

Musiche: John Debney

Scenografia: Derek R. Hill

Costumi: Lisa Lovaas

 

Kevin Costner: Hayes Ellison

Sienna Miller: Frances Kittredge

Sam Worthington: tenente Trent Gephardt

Giovanni Ribisi: H. Silas Pickering

Michael Rooker: Thomas Riordan

Danny Huston: col. Albert Houghton

Luke Wilson: Matthew Van Weyden

Jena Malone: Ellen/Lucy

Michael Angarano: Walter Childs

Abbey Lee: Marigold

Jamie Campbell Bower: Caleb Sykes

Jon Beavers: Junior Sykes

Owen Crow Shoe: Pionsenay

Tatanka Means: Taklishim

Ella Hunt: Juliette Chesney

Tom Payne: Hugh Proctor

Georgia MacPhail: Elizabeth Kittredge

Will Patton: Owen Kittredge

Isabelle Fuhrman: Diamond Kittredge

Tim Guinee: James Kittredge

Hayes Costner: Nathaniel Kittredge

Jeff Fahey: Tracker

Gregory Cruz: Tuayeseh

Scott Haze: Elias Janney

Angus Macfadyen: Desmarais

Etienne Kellici: Russell

Charles Halford: James Sykes

Dale Dickey: sig.ra Sykes

Wasé Chief: Liluye

Elizabeth Dennehy: sig.ra Riordan

Alejandro Edda: Neron Chavez

Colin Cunningham: Chisholm

James Russo: Abel Naughton

Douglas Smith: Sig

Larry Bagby: Billy Landry/Flagg James

Dalton Baker: soldato Epps

Chase Ramsey: soldato Eklund

Naomi Winders: Martha Kittredge

Austin Archer: Virgil

 

TRAMA: Negli anni a cavallo della Guerra Civile Americana, l’epopea del West vissuta attraverso il punto di vista di vari personaggi tra avventure, combattimenti, sudore, sangue e la lotta tra i coloni e i nativi.

 

VOTO 6



Horizon è il nome dell’insediamento nella valle del fiume San Pedro, costruito sui territori delle tribù Apache e su questo Kevin Costner realizza un’epopea western che rimanda sia ai classici del genere, sia alla sua rivisitazione in chiave più contemporanea, revisionista e crepuscolare. Ma con un occhio di riguardo questa volta alla tradizione. Nel primo capitolo, nell’ambito di una saga che ne prevede ben quattro (ma non faceva prima a girare una serie TV?), rievoca il vecchio West tra cieli aperti, paesaggi sconfinati, canyon, cowboy, pionieri, fuorilegge, fucili e pistole, esplorandone tutto il fascino antico e, articolando diverse linee narrative, segue una vedova in lotta per la sopravvivenza dopo una tragedia (quali sono le tragedie nel West? gli assalti dei nativi!), lo scontro di un venditore e di sua moglie con una famiglia di criminali prepotenti, una coppia britannica conquistata dalla promessa del West, un misterioso massacro: ecco come l’uomo bianco si è insidiato in quelle terre spremendo sangue, sudore e lacrime degli indiani. E questi sono solo alcune delle varie sottotrame del film.



Film che si apre di fatto nel 1859, con i primi coloni della San Pedro Valley che, sotto lo sguardo vigile e diffidente di alcuni Apache, tracciano i confini del loro appezzamento con la corda e piantano i paletti che circoscriveranno la loro proprietà. Poco dopo, la seconda ondata di coloni del territorio discute su quale sia il modo migliore per preparare il letto per la semina e rivoltare il terreno con l’aratro. I bianchi stanno arrivando in massa, più o meno organizzati, più o meno affidabili: molti furbi e criminali si aggirano nella carovana.



Abbiamo visto Costner in decine e decine di film di vario genere ma è innegabile che la sua vera passione è girare western e quindi con questa colossale opera si sentirà finalmente appagato, rischiando però l’osso del collo visto il notevole impegno finanziario, nonostante il sostanzioso sostegno di Case produttrici importanti. Lui, in pratica, ha fatto esattamente quello che voleva, offrendo al pubblico la sua visione di ciò che aveva deciso di raccontare. Avrà pensato che fosse arrivato il momento giusto di farlo attraverso un’opera popolare, non pensata per il weekend in sala ma per il sogno personale. La saga, in altre parole, è esattamente ciò di cui ama parlare. Secondo le sue dichiarazioni, si ha sempre la tendenza a pensare ai western come film semplici, ma per lui non lo sono affatto. Nel West le persone avevano problemi veri, non condividevano la stessa lingua, c’erano armi ovunque e nessuna legge. I western saranno pure dei film semplici e in fondo è forse quello che la gente cerca, mentre un buon western deve essere complesso, mettere qualcosa di grosso in gioco, avere compassione, commettere errori fatali, avere scontri a fuoco e umorismo.



Epicità, epopea, solennità nel caos delle pallottole e delle frecce. Horizon è un nome ma anche un orizzonte da raggiungere e magari da oltrepassare e siccome i personaggi sono tantissimi, Costner deve dedicare ad ognuno il suo tempo in storie che sono destinate ad incrociarsi. Quella di una madre (Sienna Miller) e di una figlia sopravvissute a un attacco indiano e accolte da una squadra dell’esercito guidata da un ufficiale (Danny Huston) e un tenente (Sam Worthington); quella di un cowboy (Kevin Costner) e di una prostituta (Abbey Lee) che accudisce il figlio di una collega (Jena Malone) rapita dalla famiglia dell’uomo che l’ha messa incinta; quella di una carovana guidata da uno scout (Luke Wilson) che deve tracciare il percorso alle prese con una bizzosa coppia inglese; quella di una tribù apache costretta a emigrare nonostante la tenacia del suo capo. Insomma, ce n’è di carne al fuoco perché ogni personaggio ha una sua storia e quindi sono tante le vicende da inquadrare.



Gigantesco capolavoro? Purtroppo no, solo gigantesco, perfino sprecato se si pensa che l’autore l’ha voluto sviluppare in quattro mega film di una durata ragguardevole: tanto per iniziare, il primo è di 181 minuti e il secondo 164. A questo punto viene da chiedersi se non fosse valsa la pena farne una vera serie TV, perché, osservando appunto il primo film, si poteva ricavare i primi tre episodi e così via. Almeno c’era il tempo, tra l’uno e l’altro, di riprendere fiato. No, ed invece 3 ore fermi a guardare un’opera che è fatta molto bene – su questo non ci sono dubbi - ma, per me, non così esaltante come ci si poteva attendere e per come era stata prospettata. Kevin Costner potrebbe aver immaginato che il pubblico lo accompagnasse in questo fantasmagorico viaggio nel West, ma per molti spettatori, compreso me, questo film è stato percepito come un’esperienza piuttosto lenta e complessa.



Il problema non sono le prestazioni, anzi, tutt’altro, ma l’enorme volume di personaggi introdotti, alcuni dei quali appaiono solo per pochi minuti per sparire per moltissimi altri e poi, rivedendoli, ti chiedi chi mai siano. Come succede con i corposi romanzi di Dostoevskij quando si viene a conoscenza dei tantissimi personaggi che tornano dopo un bel po’ di tempo. È comunque un lavoro enorme che il regista e attore ha curato con attenzione in ogni particolare, a partire dalla fotografia e dalla scenografia (siamo in realtà nello Utah e nella immancabile Monument Valley dell’Arizona) tanto da sembrare una serie di bellissime cartoline. Notevoli i movimenti di macchina che puntano anche ad esaltare la bellezza e la magnificenza del panorama oltre che i colori che quella natura selvaggia e rossa sa offrire.



No, non ho fatto salti di gioia. Balla coi lupi è un meraviglioso capolavoro perché “sporco”, sofferto, perfino romantico, questo è troppo pulito ed autoesaltante e i personaggi mi paiono stereotipi. Da cartolina, appunto. Non mi ha appassionato e quindi non mi aspetto nulla dai vai seguiti.

Che in definitiva sia veramente IL film di Costner lo si legge negli occhi durante la recitazione.



 
 
 

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michemar

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