I limoni d’inverno
Polonia/Italia 2023 dramma 1h50’
Regia: Caterina Carone
Sceneggiatura: Mario Luridiana, Remo Tebaldi, Anna Pavignano, Alessio Galbiati, Caterina Carone
Fotografia: Daniele Ciprì
Montaggio: Enrica Gatto
Musiche: Nicola Piovani
Scenografia: Giuliano Pannuti
Costumi: Chiara Ferrantini
Christian De Sica: Pietro Lorenzi
Teresa Saponangelo: Eleonora
Francesco Bruni: Nicola
Luca Lionello: Domenico
Max Malatesta: Luca
Agnese Nano: Diana
Anna Iodice: Anna
Sergio Basile: medico
TRAMA: Grazie alla vicinanza dei rispettivi terrazzi, due sconosciuti alle prese con la propria attività di giardinaggio instaurano un dialogo profondo che li aiuta ad alleviare la loro solitudine.
Voto 6,5
Lost in Rome, si potrebbe parafrasare con Sofia Coppola, notando come due esseri entrano in sintonia per caso e sin dal primo momento si accorgono dell’empatia che si è presto instaurata. Pur essendo due persone molto diverse per età, attività ed esperienze vissute. Due persone distanti fino ad un secondo prima, vicine per abitazione, vicinissime nell’animo. Grazie alla prossimità dei rispettivi terrazzi, uno dirimpetto all’altro, di due palazzine di uno stesso complesso, due sconosciuti si ritrovano alle prese con le proprie attività di cura delle piante e cominciano a intessere un dialogo primo timido, per non disturbare, poi sempre più profondo che li aiuta ad alleviare una mancanza, un dolore, una solitudine esistenziale. Presto decidono di darsi del tu per poter colloquiare più facilmente, ma sempre ognuno nel proprio terrazzo dell’attico, confidandosi un passo alla volta, attratti da una simpatia evidente che non trattengono. Ma sempre con tatto e discrezione, rendendosi conto che stanno bene insieme. E non è che stia nascendo una relazione, ma certamente qualcosa che è più di un’amicizia disinteressata. Come anche, si rendono conto che non riescono a fare a meno di doversi incontrare spesso nonostante la distanza fisica che voglio accorciare.
Un po’ gioco, un po’ per necessità, capita perfino di incontrarsi davvero, prima nel cortile comune e poi nell’ascensore. Lui è Pietro, un professore in pensione divorziato da tempo, che trascorre il tempo con le sue amate piante, in particolare un limone da cui sta attendendo il primo frutto, e cercando di instradare il cameriere del bar di fronte, che gli porta schifezze da mangiare, allo studio, una sorta di preparazione al diploma che gli aprirebbe la possibilità di un impiego migliore. La sua passione segreta è però la stesura di un romanzo che parla di donne forti ed indipendenti. Lo strano è che spessissimo commette, lui professore, errori di ortografia. Chissà perché. Lei è Eleonora, fresca di trasloco, moglie e agente del marito fotografo Luca, troppo preso dalla sua professione, troppo autoreferenziale, tanto da far sentire la donna amata ma non sufficientemente. È una donna piacente, aperta, solare, dal sorriso che conquista, dagli occhi intelligenti, con un velo leggerissimo di malinconia che nasconde bene.
Le piante sono tante per entrambi e quell’attività diventa presto solo un pretesto: l’amore botanico c’è sempre stato, ma ora non vedono l’ora di dedicarvisi per poter incrociarsi a distanza e scambiare due chiacchiere molto amichevoli e riprovare a rinforzare un legame che diventa sempre più sincero e profondo. Ascoltandoli, si prova l’idea che si sentano attirati malgrado la differenza d’età, ma la loro attrazione non è fisica quanto invece cerebrale, un’intesa mentale. Insomma, avvertono una certa capacità di porsi nella situazione dell’uno verso l’altra e di comprendere immediatamente i processi psichici reciproci e soprattutto le delusioni provate e le necessità immediate.
Se Pietro riceve la compagnia che gli manca e la disponibilità ad occupare il vuoto della giornata, Eleonora beneficia dell’attenzione che le manca e della sollecitazione a tornare alla sua vera passione, la pittura, che la spinge addirittura, dopo qualche giorno, a togliere da una parete una gigantografia – opera certamente del marito – per poter prima disegnare e poi dipingere sul muro un piccolo squarcio di giardino immaginario, in cui lei aggiunge gli occhi di una bimba nascosta tra le foglie e i fiori: quelli della figlia morta appena partorita. Lui ha disatteso troppo presto la moglie, lei sente l’assenza della bimba persa.
Due anime che avrebbero potuto incontrarsi prima e che non possono avere un futuro, alla pari di quelle scaraventate a Tokyo dalla giovane Coppola. Ed è anche facile ripensare a Una giornata particolare di Scola per quell’aria romana, quei palazzi dei quartieri satelliti (l’ambientazione del film è nel rione Celio), quella malinconia dei personaggi, quel momento toccante tra una mamma di tanti figli e un omosessuale nella capitale fascista in trepidante attesa della visita del führer.
Chiaro che questa relazione anomala non può andare da alcuna parte, ma nessuno dei due se ne preoccupa e né può immaginare il futuro: godono con grande soddisfazione reciproca l’istante magico, anzi i momenti aurei di quando stanno assieme e parlano dolcemente, sorridendosi. È come vivere in un limbo felice, distanti dagli altri, volando metri dal suolo e avendo come stella polare una frase di Lev Tolstoj: “Per essere felici bisogna credere anzitutto nella possibilità di esserlo: io adesso ci credo.” Armonia per entrambi. Ma proprio quando riescono persino ad uscire per una serata in armonia, Pietro, che già avvertiva i primi sintomi, comincia ad avere vuoti di memoria preoccupanti, davvero gravi. La diagnosi è severa, è Alzheimer, e lui decide di isolarsi, con la disperazione di Eleonora che nel frattempo si allontana sempre più dal marito e decide di trasferirsi di nuovo. Non si concedevano segreti ed ora Pietro si blinda nella sua esclusiva trincea, confidandosi solo con il fedele Nicola, che ormai viene scambiato per suo figlio, ed il caro fratello Domenico. Ce la farà a nascere il primo limone, adesso che arrivano i primi fiocchi di neve?
È bravo Christian De Sica nel ruolo drammatico! Perdinci! È bravissimo, maturo, capace e questo lato poco sfruttato dell’attore è stato esaltato solo dalla stessa regista Caterina Carone, che ha il merito di averlo chiamato già nel suo precedente esordio, Fräulein - Una fiaba d’inverno (due film, due inverni), in cui il figlio di Vittorio si era già dimostrato adattissimo. Qui è anche migliore, abile a recitare in sottrazione, scegliendo bene i tempi, le pause, i silenzi, la gestualità minima, come un drammatico consumato. E aveva ragione a dichiarare: “Avevo il desiderio di fare un film in cui si parla di rispetto tra uomo e donna, di bontà, di amore, di amicizia perché non se ne può più di personaggi negativi e di film violenti. Penso che oggi al cinema si raccontano sempre il brutto, il nero, cose orrende, ma la gente ha bisogno di amore, di bene, del bello.” È Teresa Saponangelo? È un enorme piacere vederla ed ascoltarla. Non è mica alle prime armi, eppure si è affermata prepotentemente solo negli ultimi anni vincendo un David (È stata la mano di Dio), esibendosi alla grande in un paio di film del conterraneo Pippo Mezzapesa (Il paese delle spose infelici, Il bene mio) e offrendo una prova esaltante in Nata per te. Qui è un’esplosione di bravura, espressività, prepotenza recitativa: una bomba! Osservarla è davvero uno spettacolo.
Iniziando giusto da lei, Caterina Carone dedica il finale ai primi piani dei personaggi più importanti, inquadrandola per bene e per diversi secondi, lasciandole il tempo per un’ultima esibizione mimica, un ultimo conquistante sorriso, per poi passare a quelli degli altri e finendo sulla malinconica espressione di chiusura del malato e invecchiato Pietro di Christian De Sica.
Non è un film memorabile, è ancora un racconto di amori mai nati e di malattie senili irreversibili come tanti altri, ma la regia dal tratto discreto, la buona sceneggiatura scritta a più mani, la bella fotografia di Daniele Ciprì, le appropriate e mai invadenti musiche di Nicola Piovani e le interpretazioni eccellenti dei due protagonisti ne fanno un buon film che merita di essere visto.
Ma che brava Teresa Saponangelo!
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