I miserabili (2019)
- michemar
- 24 mag 2020
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 6 ago 2023

I miserabili
(Les misérables) Francia 2019 thriller 1h44’
Regia: Ladj Ly
Sceneggiatura: Ladj Ly, Giordano Gederlini, Alexis Manenti
Fotografia: Julien Poupard
Montaggio: Flora Volpelière
Musiche: Marco Casanova, Kim Chapiron
Scenografia: Karim Lagati
Costumi: Marine Galliano
Damien Bonnard: Stéphane Ruiz
Alexis Manenti: Chris
Djibril Zonga: Gwada
Issa Perica: Issa
Al-Hassan Ly: Buzz
Steve Tientcheu: il sindaco
Almamy Kanouté: Salah
Nizar Ben Fatma: lo spilorcio
Raymond Lopez: Zorro
Luciano Lopez: Luciano
Jaihson Lopez: Jaihson
Jeanne Balibar: la commissaria
TRAMA: Stéphane è da poco entrato nella squadra anticrimine di Montfermeil, alla periferia di Parigi. Insieme ai nuovi colleghi Chris e Gwada, entrambi più esperti di lui, scopre rapidamente che esistono varie tensioni tra le gang del quartiere. Alle prese con un arresto non facile, un drone cattura ogni loro mossa e azione.
Voto 8,5

Non ci sono le bande dei criminali francesi, non ci sono i comuni agenti delle stazioni di polizia, e neanche quelli corrotti di 36 Quai des Orfèvres (recensione), no. Da una parte le gang di adolescenti di seconda e forse terza generazione degli immigrati nordafricani cresciuti e svezzati nelle banlieue formicolanti, dall’altra i poliziotti in borghese specializzati di quell’ambiente ribollente, che parlano il verlan, la particolare forma di linguaggio gergale usata in Francia caratterizzata da parole nuove ottenute soprattutto mediante inversione sillabica (da à l'envers, ossia al contrario). Li chiamano bacqueux, sono gli agenti della Brigade anti-criminalité (BAC), responsabili dell’ordine pubblico nelle periferie delle città. In mezzo galleggiano i mediatori - i padri, gli zii, i piccoli boss - sempre neri oppure dell’est europeo, che hanno piccoli imperi, che talvolta proteggono i delinquentelli e talvolta collaborano con la polizia indicando dove si rifugiano. Non è una guerra, però è un continuo fronteggiarsi, con gli agenti che in certe occasioni girano la testa dall’altra parte con l’intento di limitarsi e arrecare meno danni possibili ai confidenti. Ma per far questo i bacqueux devono parlare la stessa lingua, pensare come loro, devono venire a compromessi, a volte cedere qualcosa in cambio di informazioni: una sorta di mutua protezione proficua.

In questo scenario tutto può succedere, sempre, da un momento all’altro, l’importante è vigilare, girare in auto tutto il giorno nei quartieri, osservare dai finestrini ogni movimento, qualsiasi cambiamento o atteggiamento sospetto. Occhi vigili che i tre flic di periferia non chiudono mai. Per così arrivare a sera e tornare a casa completante disfatti dalla tensione e ritrovare i soliti problemi familiari nel frattempo messi da parte. Il film lo seguiamo come fossimo uno dei tre, Stéphane Ruiz, un agente appena arrivato proprio quella mattina nella squadra anticrimine di Montfermeil, alla periferia di Parigi, per giunta su propria richiesta, particolare che desta meraviglia negli altri due, Chrise Gwada, che lavoreranno con lui. Stéphan sarà il nostro occhio, l’obiettivo della nostra visione: il suo stupore per ciò che vedrà tra quei palazzoni sarà il nostro, le sue reazioni umane le nostre, il rifiuto e il disgusto ai duri metodi degli altri due lo proveremo anche noi.

Dopo il trionfo della Francia ai mondiali di calcio, momenti di euforia che vede in prima fila le migliaia di ragazzi di colore cresciuti nel mito dei calciatori transalpini, un piccolo reato (il furto da un circo di un cucciolo di leone) scatena l’ira dei gitani, con l’inevitabile caccia al colpevole, con tanti di bastoni e asce. Provvidenziale l’intervento dei tre della BAC per evitare prontamente sul nascere la guerra tra le due etnie, che lascerebbe molti corpi sull’asfalto. Inizia così una corsa contro il tempo per trovare entro 24 ore il ladro. Come spesso succede, da un reato minore possono scaturire ben altri scenari, ripicche e vendette, battaglie vere e proprie, dal momento che il giovanissimo ladro viene soccorso, difeso, nascosto dagli altri numerosi ragazzi, la maggior parte dei quali marina sistematicamente la scuola. Issa, il ragazzino, diventa il pretesto della rivolta violenta, ne assume anzi il comando, organizza una guerriglia che di urbano non ha nulla. Una battaglia dura, feroce, brutale, con armi di ogni tipo, rudimentali e pericolose. Il film, come da canone del filone d’azione, inizia piano per aumentare la tensione e il ritmo sempre di più, fino ad un finale vietnamizzato, dove si assiste alla battaglia “condominiale” senza avere la possibilità di respirare, tra scale e ascensori, rudimentali bazooka e carrelli del supermarket. Chi ne esce malconcio dall’occhio della macchina da presa non è il diseredato che vive con difficoltà nelle periferie parigine, ma i modi prepotenti che sono il bagaglio quotidiano dei poliziotti di quartiere. Il capo dei tre, Chris, è un rude e manesco poliziotto che va per le spicce, che non si sogna minimamente di cambiar metodo: lui si mette all’altezza di chi deve controllare, parla la loro lingua, si comporta quasi come loro, ma mette in chiaro sin dal primo contatto chi porta la danza, chi deve dire l’ultima parola, senza mai, per esempio, concedere qualche possibilità al guru kebabbaro che predica Allah di cui però non ci si può fidare, né tantomeno all’omone di colore che fa da giudice nelle dispute, per questo chiamato “il sindaco”, né al boss della droga che viene dalla Russia (“lo spilorcio”). A nessuno. Al massimo qualche favore per tenerseli come fedeli informatori. A questo punto è proprio Issa che diventa l’avversario più pericoloso, il piccolo e futuro capo gang, ma istantaneo generale della rivolta.

Ladj Ly, attore, regista, sceneggiatore, prima di esordire, ha battuto in lungo e in largo le periferie che racconta in questo suo film d’esordio, organizzando laboratori audiovisivi per permettere ai ragazzi delle banlieues di documentare gli abusi di polizia nel loro territorio, che poi è il reale scopo del film. L’opera fa andare il pensiero ad altre simili (vedi per esempio Mathieu Kassovitz con i suoi Meticcio e L’odio) ma questa ha dentro una forza narrativa e una tangibile ispirazione mai vista prima, dal momento che Ly non è un ospite che osserva, è piuttosto uno che ci ha vissuto, che conosce bene la materia, quell’aria lui l’ha respirata. Per tutto ciò questo magnifico film è prima di tutto politico, è realismo, è una ferita sociale che il potere non si adopera per far guarire. Invece quel terribile, interminabile e cruento finale è opera di un sicuro cinefilo, che conosce bene Walter Hill e il suo I guerrieri della notte o il Distretto 13 di carpenteriana memoria.

Ladj Ly riscrive il polar, se così si può definire, anzi cancella il poliziesco francese tradizionale: i miserabili di Victor Hugo narrati in chiave moderna dal regista di origine maliana scuotono, scuotono l’anima. È evidente come sia un argomento a cui tiene molto, derivato da un omonimo corto del 2017 e dai documentari girati nell’ultimo decennio, a cominciare da 365 jours à Clichy-Montfermeil (2007). Ed è un argomento di cui parla spesso, in ogni intervista: “Il mio primo lungometraggio di finzione, racconto un po' della mia vita, delle mie esperienze e di quelle dei miei parenti. Tutto ciò di cui parla si basa su cose realmente vissute: il giubilo per la Coppa del Mondo, l'arrivo di un nuovo poliziotto nel quartiere, la storia del drone... Per cinque anni, con la mia videocamera, ho filmato tutto quello che accadeva intorno a me a Montfermeil e, soprattutto, i poliziotti in azione. Quando li vedevo muoversi, cominciavo a filmarli e ho continuato a farlo fino al giorno in cui ho catturato una loro bravata. Non per questo però ho voluto generalizzare il mio racconto. Non esistono bravi ragazzi e poliziotti cattivi ma esistono un'infinità di sfumature, che ho provato a ritrarre senza pregiudizio alcuno. Il mondo in cui viviamo è tanto complesso da non poter esprimere giudizi netti e definitivi.”

L’impressione che ne ho ricevuto è stata di aver visto un film di vero neorealismo moderno, tanto che gli attori non mi sembrava di vederli recitare: erano veri, attendibili. Come veri sono il piccolo Issa Perica, come anche il ragazzino più compito ed educato della compagna che manovra il drone, verissimi sembrano i tre poliziotti Damien Bonnard, Alexis Manenti e Djibril Zonga, tutti bravi e realistici, tutti fotografati dalla camera da presa a mano che sobbalza come le loro corse, in auto e a piedi, con i loro dubbi e le loro certezze.

“Mes amis, retenez bien ceci,
il n'y a ni mauvaises herbes ni mauvais hommes.
Il n'y a que de mauvais cultivateurs.”
Victor Hugo
(Amici miei, ricordate questo,non ci sono erbacce né uomini cattivi. Ci sono solo dei cattivi agricoltori.)
Un gran film, proprio un gran film!
Riconoscimenti
2020 - Premi Oscar
Candidatura per il miglior film internazionale
2020 - Golden Globe
Candidatura per il miglior film straniero
2019 - Festival di Cannes
Premio della giuria
2020 - Premio César
Miglior film
Migliore promessa maschile a Alexis Manenti
Miglior montaggio
César del pubblico
Candidatura per il miglior regista
Candidatura per il miglior attore a Damien Bonnard
Candidatura per la migliore promessa maschile a Djebril Zonga
Candidatura per la migliore sceneggiatura originale
Candidatura per la migliore fotografia
Candidatura per la migliore musica
Candidatura per il miglior sonoro
Candidatura per la migliore opera prima
Commentaires