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Il collezionista di carte (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 4 gen 2022
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 19 ott 2022


Il collezionista di carte

(The Card Counter) UK/Cina/USA 2021 thriller drammatico 1h51’


Regia: Paul Schrader

Sceneggiatura: Paul Schrader

Fotografia: Alexander Dynan

Montaggio: Benjamin Rodriguez Jr.

Musiche: Robert Levon Been, Giancarlo Vulcano

Scenografia: Ashley Fenton

Costumi: Lisa Madonna


Oscar Isaac: William "Tell" Tillich

Tiffany Haddish: La Linda

Tye Sheridan: Cirk Beauford

Willem Dafoe: maggiore John Gordo

Alexander Babara: Mr. USA


TRAMA: William Tell è un giocatore d'azzardo ed ex militare. Tutto ciò che vuole è giocare a carte quando un giorno la sua spartana esistenza viene sconvolta dalla conoscenza con Cirk, un giovane vulnerabile in cerca di aiuto per il suo piano di vendetta contro un colonnello. Nel suo rapporto con Cirk, Tell vede una possibilità di redenzione e, con il supporto della misteriosa agente La Linda, si propone di vincere la World Series of Poker di Las Vegas, passando da un casinò all'altro.


Voto 8

William Tillich - che ormai si fa chiamare solo William Tell (in pratica Guglielmo Tell), come per ripudiare il suo passato - porta dentro di sé i dèmoni, non quelli del tavolo da gioco d’azzardo, no, quello è il posto dove cerca di combatterli, di oscurarli, per pensare ad altro. I ricordi che non lo lasciano in pace sono precedenti. Era un soldato scelto inviato in una di quelle prigioni di torture che sono state la vergogna dell’America di George W. Bush e di Donald Rumsfeld, ideatori, soprattutto il secondo, dei campi di prigionia di Abu Ghraib e di Guantánamo, luoghi di misfatti gravissimi contro i diritti non semplicemente civili ma umani prima di tutto. Segretario della Difesa che aveva approvato e stimolato un programma di "tecniche di interrogatorio aggressive" nei riguardi dei prigionieri mediorientali sospettati di terrorismo internazionale. Il giovane soldato era arrivato in quel luogo senza poter immaginare quello che lì succedeva e se ne rese conto solo quando il suo addestratore, il maggiore John Gordo, gli insegnò ogni tecnica sino a farlo divenire un automa, esecutore quasi inconscio, che dopo le titubanze iniziali cominciò a provare, come tutti gli altri, gusto e passione malefica a rendere impossibile la vita dei prigionieri, fino a far loro desiderare la morte. Alla fine del servizio, Tell fu accusato e condannato per questi reati ad una pena carceraria di 10 anni, da cui uscì in anticipo, risparmiandosi un anno e mezzo per buona condotta, mentre i suoi superiori, reali responsabili carnefici dei metodi abietti, ne uscirono indenni. È nel carcere militare, nella lunga detenzione, che l’uomo matura consapevolezza delle sue colpe e della cattiveria disumana che lo aveva abitato, è lì che, dedito alle letture letterarie (tipo Le meditazioni di Marco Aurelio) ha cominciato a riflettere e ad autopunirsi, arrivando a provocare gli altri detenuti per farsi picchiare.

Una volta fuori si è trovato un modo per vivere e guadagnare sui tavoli verdi del black jack, dove la sua notevole abilità a ricordare le carte già giocate lo portano a vincere sempre soldi, ma con una tecnica comportamentale che lo fa rischiare il minimo: vincere poco e stare poco al tavolo. Contare le carte è vietato sui tavoli di tutto il mondo (il titolo italiano è largamente fuorviante: lui non colleziona le carte, le conta!) ma quel metodo lo tiene impegnato su altri pensieri, allontanandosi dagli incubi delle torture a sangue, delle feci che coprivano il corpo dei prigionieri, dell’hard rock che risuonava al massimo volume 24 ore al giorno per non farli addormentare. Non ha casa, viaggia di continuo, come l’ennesimo nomade del cinema americano, pernotta nei motel prossimi alle grandi sale da gioco dove siede al tavolo del black jack, roulette o poker (dorme in camere in cui copre ogni oggetto con lenzuola candide che trasporta nel bagaglio), vince solo qualche centinaio di dollari e si dilegua. Questo ritmo lento e ripetitivo si interrompe solo quando lui, più solitario di un lupo nella foresta, viene in contatto con una bella donna, La Linda, che è alla ricerca di giocatori abili come lui per conto di finanziatori, e con un giovanotto misterioso che cerca una vendetta personale molto particolare, Cirk Beauford (con la C, come tiene a precisare). Se alla prima risponde che dividere i guadagni con gli ignoti mandanti, verso cui inevitabilmente ci si troverà prima o poi debitori, non lo interessa, mentre al secondo chiede lumi sulle intenzioni e scopre un punto in comune. Il giovane è figlio di un collega che ha conosciuto agli ordini del maniacale John Gordo: il padre è rimasto così sconvolto e disturbato mentalmente dal brutale lavoro svolto che al ritorno è diventato un malato violento sino a picchiare frequentemente la moglie ed il figlio e quando lei è scappata via, lui era rimasto l’unico obiettivo, fino al giorno in cui si è ucciso: Cirk (con la C) ha un solo scopo adesso nella sua vita, quello di vendicarsi e uccidere il maggiore. Revenge movie? Beh, anche, ma non propriamente. Anche.

Il processo di autorisanamento che sta percorrendo William a questo punto assume l’aspetto della missione sociale: vuole convincere Cirk a rinunciare a quella inutile ritorsione, ha in mente di fornirgli il danaro necessario per rimetterlo in riga, farlo tornare a studiare, aiutarlo a ritrovare la madre e darle un sostegno finanziario. Per far tutto ciò diventa però necessario entrare nel giro di La Linda, che lui non guarda come donna attraente, non pensando orami più da tempo al sesso e alla compagnia femminile. Anzi, promette a Cirk che andrà a letto con una donna solo quando il giovane tornerà allo studio. Non è facile stabilire chi abbia la mente più stabile e sia più affidabile tra i due, i loro problemi sono profondi e solo la grande forza caratteriale del giocatore, forgiata nel carcere e nelle lunghe riflessioni valutate nella solitudine dell’ultimo decennio, lo sta rendendo insensibile e controllato, in qualche modo redento. O per lo meno vuole redimersi con l’oblio di se stesso e adesso anche con l’aiuto a Cirk, rimettendolo sui giusti binari, e poi, chissà, con quella bella donna che prima lo ha cercato per affari ma ora lo guarda con interesse senza nascondere di sentirsi attratta. Dalla terribile esperienza militare ha imparato a guardare negli occhi delle persone per capirle, per scavare nell’anima sia del prigioniero che del giocatore di fronte. Il gioco al tavolo verde è un duello psicologico fatto di silenzi e sguardi, mentre ognuno resta trincerato nell’immobilità facciale ed espressiva. Lui studia gli avversari come faceva con i potenziali terroristi, legando con un sottile filo il gioco delle carte e la tortura.

William trascorre il tempo libero nelle due uniche maniere che lo fanno sopravvivere: in silenzio, seduto su una poltrona dei locali che frequenta con lo sguardo fisso davanti a sé, riflettendo sull’esistenza e sull’esperienza esperite, cercando di trarre il massimo beneficio per il futuro incerto che lo aspetta, destino che vivrà giorno per giorno: difficile immaginare cosa starà pensando di ciò che ne seguirà nella sua vita; scrivendo su fogli bianchi ciò che gli sta accadendo, come un diario ma non con lo stile di un diario, piuttosto come una estensione scritta dei suoi pensieri, come Le meditazioni del libro che gli facevano compagnia in galera. Dentro e fuori dalle sbarre non è che la vita sia tanto differente. L’una è il prolungamento dell’altra nella gabbia dei flash dei corridoi putridi che gli balenano nella mente. Il sogghigno del maggiore che lo incita contro i corpi oramai esanimi, l’heavy metal che non sopporta più, i cani che ringhiano a pochi centimetri dai visi terrorizzati, la foto ricordo accanto ai prigionieri nudi. Cicatrici indelebili da cancellare con il conteggio delle carte, per non pensarci, per non sfogliare l’album di foto orrende che porta con sé, dentro di sé. Prigioniero in una stanza che gli hanno fabbricato intorno, come potrà mai uscirne? Un lume può essere Cirk, che è una speranza che lo riguarda, che lo interessa, che gli ha illuminato il futuro? O forse La Linda, che però sarebbe un ostacolo per uscire da quel mondo ovattato delle fiches che si ammucchiano ordinatamente in colonnine sul tavolo? Il campo militare, il carcere, i mille Casinò, le stanze dei motel, le luci delle città del gioco sono un diversivo, un intervallo, dei permessi di aria. L’unico vero momento di relax sarà il sesso con quella donna che lo guarda per comprenderlo e la susseguente passeggiata mano nella mano tra le migliaia di led multicolori dell’unico attimo di pausa. Ma sarà stato tutto vero, reale, attendibile? Cirk farà quello che ha promesso? Il notiziario non porterà buone nuove, è l’ora di agire, adesso. Il passato si è riaffacciato: come nel gioco dell’oca si ripassa dal via, tra le mura del carcere militare. Con un’unica speranza quasi tangibile, stavolta: il dito proteso di La Linda verso il suo, nonostante il cristallo. Prima dei titoli di coda con Robert Levon Been che canta Mercy of Man (Misericordia dell’uomo).

Paul Schrader, sicuramente anche più abile da sceneggiatore – questa regia non la sbaglia, ma da scrittore ha fatto le fortune di Martin Scorsese e di altri – è ancora attorniato dai suoi personaggi preferiti. Negli anni ha indubbiamente sviluppato un suo genere di film, titoli che spesso hanno per protagonista un uomo solo in una stanza che indossa una maschera di cui sarà chiamato a liberarsi. Che si tratti di un taxista, di uno spacciatore, di un gigolò o di un reverendo, egli prende il personaggio e lo mette al cospetto di un problema più ampio, personale o sociale, da affrontare. Qui, William Tell è solo nella sua stanza con la sua maschera addosso, quella di un giocatore di poker professionista, che è anche un ex torturatore per conto del governo degli Stati Uniti. In pratica, è una sorta di ponte tra la World Series Poker e Abu Ghraib. Il fulcro ruota intorno al tema della colpa, della penitenza e della resa morale. Non una colpa generale, in senso cristiano, ma un tipo più specifico di senso di colpa. Come se qualcuno avesse fatto qualcosa che non può perdonare a se stesso. Sebbene sia stato in prigione e la società possa averlo perdonato, lui non ha perdonato se stesso: ha fatto qualcosa di terribile e vive in una specie di purgatorio. Come uscirne? Come per molti dei suoi personaggi, William Tell sta aspettando il suo momento e che succeda qualcosa. Per lui, il regista ha pensato a una professione adatta a chi aspetta e vive in una sorta di non esistenza. Il gioco d'azzardo fornisce lo sfondo perfetto. Con il poker puoi giocare per giorni interi prima che arrivi la magia di una mano fortunata: si tratta di una continua attesa. Come quella del nostro personaggio, che srotola la sua esistenza tra casinò, cocktail lounge e camere di motel: le regioni costiere americane e le animate interstatali sono il luogo ideale per qualcuno che vuole perdersi e rimanere perso. Ma anche un luogo in cui qualcuno può inaspettatamente ritrovarsi grazie anche alla varietà di persone e personalità che incontra. E l’attesa finalmente termina. Il finale è disarmante, inaspettato o forse proprio prevedibile, poiché non poteva non essere che quello.


Se il film è prettamente schraderiano nella forma, nella sostanza, nello sviluppo, nei marcati personaggi, la performance di Oscar Isaac nel ruolo del protagonista è veramente formidabile. È ormai da tempo che viene chiamato dai migliori registi e questa bellissima prova è la conferma della sua attitudine a personaggi impegnativi, lievi oppure duri, sin dai tempi dei Coen (A proposito di Davis) e poi via via con tanti bei ruoli anche drammatici (vedi la bellissima serie TV Scene da un matrimonio), sino alla importante interpretazione in Dune. Attore che sa esprimere le intime emozioni di personaggi silenziosi tramite espressioni minimali, che comunica con facilità la personalità dei protagonisti e dei comprimari che gli vengono affidati. È assolutamente padrone del suo mestiere e si fa ammirare in ogni occasione. Accanto a lui ritroviamo l’interessante Tye Sheridan (è Cirk), ormai cresciuto e non più l’adolescente con cui si era fatto notare (The Tree of Life e soprattutto Mud): molto bravo in questo film, in un ruolo adatto alla inquietudine insita nel suo modo di recitare. La vera scoperta, poi, almeno per chi scrive, è la bella Tiffany Haddish (nel ruolo della ammaliante La Linda): è forse la prima vera occasione importante per farsi notare e non ci si deve meravigliare se si vedrà più spesso. Dall’altra parte della barricata c’è uno degli attori più idonei al cinema del regista del Michigan, Willem Dafoe, alla settima presenza nei suoi film, attore capace di trasformarsi da angelo a demone, come quelli che vagano indomabili nella mente di William "Tell" Tillich, dalle espressioni crude e crudeli aumentate dai primi piani deforma(n)ti di Paul Schrader. Autore che quando vuol colpire ci riesce con la forza delle sue storie, cantore dei personaggi più anomali del cinema moderno che ha il forte sapore del classico.


Film eccellente.



 
 
 

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