Il gusto delle cose
(La passion de Dodin Bouffant) Francia/Belgio 2023 dramma 2h15’
Regia: Tran Anh Hùng
Soggetto: Marcel Rouff (La Vie et la Passion de Dodin-Bouffant, gourmet [1924])
Sceneggiatura: Tran Anh Hùng
Fotografia: Jonathan Ricquebourg
Montaggio: Mario Battistel
Scenografia: Toma Baquéni
Costumi: Tran Nữ Yên Khê
Juliette Binoche: Eugénie
Benoît Magimel: Dodin Bouffant
Emmanuel Salinger: Rabaz
Patrick d'Assumçao: Grimaud
Galatea Bellugi: Violette
Jan Hammenecker: Magot
Frédéric Fisbach: Beaubois
Bonnie Chagneau-Ravoire: Pauline
Jean-Marc Roulot: Augustin
Yannik Landrein: padre di Pauline
Sarah Adler: madre di Pauline
TRAMA: Francia, XIX secolo. Da più di vent’anni Eugénie è una stimata cuoca, collega del celebre gastronomo Dodin Bouffant. A forza di passare del tempo insieme in cucina, tra i due nasce un sentimento innegabile. Ma Eugénie, per mantenere la sua libertà, si è sempre rifiutata di sposare il suo Dodin.
Voto 7
Il rapporto del cinema con il cibo è duraturo nel tempo e tante sono le pellicole che attraversano la storia del grande schermo relativa. L’opera del vietnamita naturalizzato francese Tran Anh Hùng, anche sceneggiatore, si specializza non nella semplice arte del saper cucinare e apprezzare le buone pietanze ma va oltre e si dedica totalmente alla cucina vista come arte, come perfezione, come ricerca continua dell’equilibrio tra i sapori dei vari ingredienti delle ricette. Una scalata verso il gusto sublime dei piatti. Questo obiettivo è fuorviato dal titolo italiano che poi è semplicemente la traduzione di quello internazionale, perché il titolo originale è molto più significativo e rende pienamente l’idea della trama e del comportamento dei due protagonisti, anche se è molto semplice: quella di Dodin, infatti, è una passione totale, pregnante, maestra di vita e di carattere. Il soggetto parte da un romanzo di Marcel Rouff del 1924, La vie et la passion de Dodin-Bouffant, gourmet, a sua volta ispirato secondo alcuni a Maurice Edmond Sailland detto Curnonsky, principe dei gastronomi, secondo altri al politico e gastronomo Jean Anthelme Brillat-Savarin. Cioè, quel tipo di appassionato di cucina e ricette che viene definito un gourmand.
Il film va avanti lentamente e principalmente nella grande cucina dello chef Dodin (Benoît Magimel) dove, con l’aiuto della dolce e tranquilla (quasi invisibile) Violette (Galatea Bellugi, che poi girerà il curioso e riuscito Gloria!) ma specialmente con la presenza magnetica ed esperta di una donna che collabora con il padrone di casa da circa 20 anni, Eugénie (la magica Juliette Binoche), vengono preparati piatti di straordinaria bontà con una precisione che rasenta la perfezione. Ciò che però salta evidente allo sguardo è la passione e l’amore viscerale che i due dedicano ad ogni particolare, agli ingredienti di primissima qualità, alle esatte dosi degli ingredienti da abbinare. Che sono tanti, tantissimi in ogni ricetta. È un andirivieni tra il tavolo di lavoro, il fuoco, i fornelli sempre accesi, la scelta dei pezzi della carne e del pesce, la tecnica nel mescolare, filtrare, chiarificare, aggiungere, prolungare o accorciare la cottura, il taglio nei punti giusti. Ma mai affannati, mai di corsa, sempre con la calma dei tempi necessari: la perfezione richiede il suo ritmo.
Dodin e Eugénie vivono nella stessa casa ma non convivono. Nel corso degli anni hanno imparato a volersi bene e soprattutto a stimarsi. Lui è un maestro e lei è una cuoca eccezionale. Ma nel corso del tempo hanno capito di amarsi, anche se lei non si concede troppo. Anzi, è il reciproco rispetto che li caratterizza. Lui prova spesso ad entrare nella camera dell’altra, visita che gli viene concessa solo quando trova la porta non chiusa a chiave, segno che può entrare. Si amano, sì, ma sul tavolo di lavoro, oltre a qualche sguardo sorridente, non si va mai oltre: c’è da lavorare al meglio e basta. Arriverà anche il giorno in cui lui la chiederà in sposa, ma lei non vuol cedere, dato che preferisce quello stato di cose. L’unico inconveniente è qualche malore che la coglie all’improvviso e a cui lei non dà mai peso. Parlano la stessa lingua in cucina e per adesso è più che sufficiente.
La trama vera e propria esiste e non esiste, c’è solo quel forte sentimento tra i due ma sembra un percorso secondario del film, perché l’attenzione di Tran Anh Hùng è tutta rivolta alla lavorazione delle ricercatissime ricette, con tanto di ospiti. Sono i cinque amici di Dodin, cinque amanti della cucina sopraffina e che passano, dopo la lunga lavorazione, ore a tavola per gustare con tutta calma le varie portate e gli squisitissimi vini, anche antichi, rossi, bianchi e champagne, che il padrone custodisce con amore in cantina. Ore di degustazione e di apprezzamenti: critiche mai, perché i piatti sono sempre ineccepibili. Un giorno vengono tutti invitati dal Principe dell’Eurasia per un pranzo degno di loro (di 8 ore!) dove il nostro chef non resta molto soddisfatto e si promette di ricambiare l’invito per dimostrare invece i suoi piatti e la sua enorme abilità, sempre con l’aiuto delle sue donne e di una piccola e graziosa bambina di solo pochi anni che è talmente predisposta che sa dare giudizi sorprendenti e indovinare quasi tutti i tanti ingredienti. Un portento.
Mentre si passa buona parte del film in questa succulenta dimostrazione di alta cucina, si sviluppa la storia d’amore, trattenuta dalla donna, che pare che ad un certo punto si stia convincendo a cedere e accettare l’anello del matrimonio. Fin quando non succede l’irreparabile che stravolge la vita di Dodin. Può mai accadere che l’uomo abbandoni la sua passione? Giammai. E vi si dedica con il medesimo rigore di prima, sempre alla ricerca di qualcosa che pare irraggiungibile, perché la perfezione si allontana sempre quando pare di esserci arrivati e il bello della vita è non sentirsi mai sul traguardo. In cucina come in tutte le altre attività dell’uomo.
Cosa ci lascia il film non è facile dirlo, di certo è la bellezza dell’arte, la costanza e la passione che animano le persone che si impegnano, è la soddisfazione di guardare un film che riempie il cuore e la pancia, il sentimento e la gola, tenendo presente che ovviamente solo alcuni degli spettatori sono in grado di capire e apprezzare quello che si vede e cosa possano provare quelle persone sedute a tavola. Un fatto è sicuro ed è anche un’avvertenza: non so se è meglio guardarlo a stomaco pieno o vuoto, perché si rischia nel primo caso di avvertire nausea, nel secondo di fiondarsi nel frigorifero e mangiare di tutto, tanto è l’appetito che risveglia. Qui, sia chiaro, non siamo nel caso abbuffamenti ingordi di gente che vuol mangiare e basta, qui si mostra solo la raffinatezza e la sapienza di uno chef eccezionale e l’abilità di godere dei gourmet.
Come altrettanto deve essere chiaro che questo film non ha nulla in comune con altri celebri che hanno trattato di cibo. Lo trovo assolutamente originale. La grande abbuffata di Marco Ferreri, per esempio, mostra un atto estremo per parlare di decadenza e di critica sociale. Né, anche se lo fa venire in mente per l’accuratezza e la varietà delle ricette, è il caso di paragonarlo a Il pranzo di Babette di Gabriel Axel, che è una forma gustosa di ringraziamento verso la comunità che ha accolto la rifugiata francese e si sviluppa in un lungo intrattenimento per inquadrare i tempi. No, qui è la messa in scena meravigliosa, elegante, delicata di un’arte difficile e sapiente, lontana dalle nostre quotidiane tavole e dai ristoranti e dai maestri di cucina che la TV ci mostra continuamente. Quello di Dodin e di chi rappresenta nel libro da cui è tratto il film è un livello riscontrabile solo nella vera Arte, come un grande scultore o pittore o musicista e via dicendo. Ci si accorge di questo quando, guardando il film, si resta estasiati dalle varie sequenze culinarie, in cui non si può fare a meno di ammirare i due protagonisti, in special modo l’uomo, quando si muovono: la gestualità, le movenze e la postura in cucina dimostrano come siano stati addestrati da veri cuochi per essere credibili. Forse Benoît Magimel e Juliette Binoche saranno bravi anche nella vita privata, ma qui siamo oltre la bravura personale perché il loro portamento è precisamente uguale a quello che accade nelle cucine di grande livello. Se poi si osservano e si ascoltano i nomi dei piatti (tutti ovviamente francesi) e della materia prima, risulta evidente l’apporto di persone qualificate e difatti non mancano nei titoli di coda (mentre si ascolta la meravigliosa Méditation de Taïs, arrangiata al piano) il nome del direttore gastronomico e del consulente culinario, senza dei quali non si sarebbe arrivati a tale precisione dei comportamenti e delle movenze.
La regia di Tran Anh Hùng ha la stessa precisione dei piatti. Il regista segue con movimenti di macchina abilissimi i movimenti dei personaggi, coglie ogni minimo sentimento anche nascosto, illumina i visi che sorridono o che sono concentrati nel loro mestiere, dedica la giusta attenzione ad ognuno di loro, a seconda dei momenti e dell’importanza della fase, rende chiaro anche ai profani quello che avviene tra i fuochi e le padelle, ci fa respirare i vapori che escono dalle grandi pentole, le tenerezza della carne quando è cotta al punto perfetto, ci fa mangiare con gli occhi e la fantasia. Già premiato per Il profumo della papaya verde con un César e la Caméra d’Or a Cannes, un Leone d’Oro a Venezia nel 1995 per Cyclo, il regista raccoglie premi anche per questo bel film.
Juliette Binoche e Benoît Magimel sono in evidente stato di grazia e se per la prima non è una novità – sempre superlativa, in ogni occasione – il secondo (suo ex compagno e padre di sua figlia) conferma la seconda giovinezza artistica che lo ha riportato nella prima fila degli interpreti francesi di questi anni, dopo un periodo di leggero offuscamento, anche per vicissitudini giudiziarie (indimenticabile il suo Walter in La pianista di Michael Haneke a soli 27 anni). I due attori formano sul set una coppia formidabile e in ogni sequenza è difficile scegliere se guardare i manicaretti prelibati oppure godere delle loro preziose prestazioni. Davvero bravi, colonne portanti del bel film. Stupefacente la piccola Bonnie Chagneau-Ravoire che interpreta Pauline, per come sa recitare i momenti di degustazione, sembra un’attrice esperta.
Ottima la fotografia, che completa degnamente lo sguardo del regista con colori pieni e avvolgenti,
Grande regia, bellissimo film.
Riconoscimenti
Festival di Cannes 2023
Prix de la mise en scène a Tran Anh Hùng
Candidatura per la Palma d'oro
Premio César 2024
Candidatura per la migliore fotografia
Candidatura per la migliore scenografia
Candidatura per i migliori costumi
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