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Il maestro che promise il mare (2023)

Il maestro che promise il mare

(El maestro que prometió el mar) Spagna 2023 dramma biografico 1h45’

 

Regia: Patricia Font

Soggetto: Francesc Escribano (Desterrando el silencio: Antoni Benaiges, el maestro que inventó el mar)

Sceneggiatura: Albert Val

Fotografia: David Valldepérez

Montaggio: Dani Arregui

Musiche: Natasha Arizu del Valle

Scenografia: Josep Rosell

Costumi: Maria Armengol

 

Enric Auquer: Antonio Benaiges

Laia Costa: Arianna

Luisa Gavasa: Charo

Gael Aparicio: Carlos

Alba Hermoso: Josefina bambina

Elisa Crehuet: Josefina adulta

Nicolás Calvo: Emilio bambino

Milo Taboada: padre Primitivo

Ramon Agirre: Emilio adulto

Eduardo Ferrés: Rodríguez

Felipe García Vélez: Carlos adulto

 

TRAMA: Antonio Benaiges è un maestro delle scuole elementari di origini catalane a cui viene assegnata una pluriclasse a Bañuelos de Bureba (Burgos). I suoi metodi di insegnamento innovativi e il fatto di non nascondere il proprio ateismo gli alienano le simpatie del parroco e del sindaco ma non quelle degli alunni che lo sentono vicino alle loro speranze e ai loro sogni. Uno dei quali è quello di poter vedere il mare.

 

VOTO 7



Antoni Benaiges i Nogués, nato nel 1903 in Catalogna in una famiglia rurale, era un maestro assegnato alla scuola di Bañuelos de Bureba nei pressi di Burgos, dove insegnò alle scuole elementari utilizzando metodi innovativi per quei tempi, utilizzando perfino la stampa mediante semplici arnesi e altre tecniche tratte dal pedagogo francese Célestin Freinet. Durante l'estate del 1936 progettò di viaggiare con i suoi studenti per visitare, per la prima volta, il mare, ma il destino aveva un disegno differente e il magico rapporto che era riuscito a creare con i suoi alunni cessò di colpo.



La regista spagnola Patricia Font, che nella sua carriera ha firmato più che altro serie TV, tra cui il celebre Braccialetti rossi da cui ne è derivata quella della RAI, intende raccontare la breve vita di un personaggio quasi mitico della recente storia spagnola, quella di Antonio Benaiges, un maestro elementare catalano iscritto al Partito Socialista Operaio, nel periodo dell’ascesa del fascismo spagnolo e dell’irruzione nella vita sociale ed educativa, come ha sempre agito questo movimento politico, la cui Falange, all’inizio della guerra civile, adottò il cruento sistema di eliminazione fisica degli oppositori ma anche dei semplici cittadini non allineati. Come il maestro, oltretutto con il pretesto che fosse ateo, allora ritenuto, in quell’ambiente, quasi un reato penale, da punire duramente.



La trama è narrata con parecchi flashback perché si intreccia con il tempo corrente, cioè con l’operazione di ricerca sui fatti avvenuti in quegli anni ’30 da parte di una delle discendenti del maestro, Arianna (o Ariadna nella versione originale), interpretata dalla impegnata Laia Costa (La vita in un attimo), che vuole esaudire il desiderio di suo nonno Carlos. Lui è un anziano, ricoverato in una struttura residenziale, che da tempo sogna di ritrovare i resti di suo padre, ucciso in guerra: proprio il nostro insegnante. Arianna, testardamente, parte in auto e si mette in contatto con la squadra che effettua ricerche presso le fosse comuni dove stanno ritrovando centinaia di corpi di persone uccise dalla prepotenza militare fascista, in una delle quali il suo bisnonno potrebbe essere stato sepolto. L’andirivieni temporale è ricco di fasi perché, nonostante il preciso e paziente lavoro dei ricercatori, la donna non riesce ad avere notizie certe dell’avo ma ha modo di incontrare coloro che non lo hanno mai dimenticato: i suoi alunni, ormai vecchi, rimasti legati nell’affetto e nel ricordo, oltre la memoria di chi aveva cambiato loro la visione della vita e dell’istruzione. E così Arianna viene in contatto di chi conserva gelosamente i preziosi quaderni di quell’anno scolastico indimenticabile.



Antonio Benaiges (Antoni, nell’originale), interpretato dal simpaticissimo Enric Auquer, è uno spilungone dotato di grande volontà, di grande spirito d’iniziativa e specialmente di pazienza, virtù che gli servirà appena arrivato nella scuola pubblica di Bañuelos de Bureba, piccolo centro nella provincia di Burgos, perché appena la popolazione, ignorante, retrograda e tradizionalista, apprende i metodi innovativi dell’uomo, del fatto che fosse ateo e comunista, subito redarguito dal parroco, padre Primitivo per aver tolto il Crocifisso dal muro dell’aula (“L’istruzione è laica, non esiste nessuna legge o regola che mi obblighi ad appendere a queste pareti un crocifisso” gli fa presente il protagonista) si dimostra ostile, a cominciare dal pavido sindaco. Facile immaginare non solo la reazione del prete ma anche quelle dei genitori degli alunni, tutta gente che non sapeva neanche leggere e scrivere. Come è anche facile prevedere che i bambini, di varia età ma tutti insieme nell’unica aula del paese, avessero subito l’influenza psicologica dei genitori e avessero accolto con molta diffidenza questo strano giovane rivoluzionario anche nel modo di insegnare, che si traduceva in lezioni allegre, diverse dal solito, con mezzi innovativi, a cominciare da quel bizzarro strumento che con le lettere di piombo e l’inchiostro spalmato permetteva di scrivere su libricini che subito li entusiasmarono.



In poche parole, si passò dalla circospezione e dal sospetto alla fiducia più totale, all’eccitazione continua sulle iniziative moderne di quel giovanotto sempre disponibile, pronto al dialogo, ad aiutare, a soddisfare ogni loro richiesta e, soprattutto, a comprendere le difficoltà dei singoli e a venire incontro a tutte le esigenze. Fino ad ammorbidire – con grande difficoltà, va precisato – il caratteraccio del ribelle Carlos, portato in casa e praticamente adottato perché il padre era scappato in quanto ricercato per le idee rivoluzionarie. Ce ne vuole per ammaestrare il piccolo, che, come tutti i disadattati per motivi familiari, è un animale selvatico che solo la bontà e l’attitudine di Antonio riesce a farlo prima interessare agli argomenti didattici e poi a farlo integrare nel gruppo. Che ora è tutto devotamente legato al maestro, idolo assoluto e persona di fiducia. Ma con un sogno: non hanno visto mai il mare e lui ha promesso loro che li porterà in treno. Quanto possono essere contenti ed entusiasti i bambini? È tale la febbre che stampano l’ennesimo libretto intitolato “Il mare. Una visione di alcuni bambini che non l'hanno mai visto” con tutti i loro pensieri quando immaginano come sarà, tipo: Il mare sarà molto grande, molto largo e molto profondo, e via così. Con una introduzione emotivamente poetica e soddisfatta dell’uomo: “E la fantasia dei bambini che va su e giù la collina, solo la collina, la collina ingrata, scattata verso la distanza per sprofondare nella liquida, misteriosa, sublime vastità... Anche loro, i bambini, conoscono il mare senza averlo mai visto.”



Per questo motivo, oltre ad essere un fatto drammatico e biografico di un bellissimo personaggio, martire del franchismo, il film di Patricia Font non disdegna di colorare di poesia e amore i fanciulli innocenti di questa regione spagnola ignari della ferocia dei dittatori: una storia straziante, raccontata come una favola, ma crudele ancor più ai loro occhi, che non può trovare giustificazioni morali né perdono politico, anche a distanza di anni. Se non una pacificazione sociale necessaria. Il maestro Antonio fu reale ma è anche un simbolo, una parte per il tutto, uno dei tanti eroi oppositori del regime che furono fatti sparire dall’oggi al domani, ritrovati solo in parte in disumane fosse comuni, così come si era riparlato con Pedro Almodóvar nel suo Madres paralelas allorquando le donne – sempre vittime superstiti delle scorribande fasciste in ogni epoca e in ogni luogo – non smettono di cercare i loro cari sotterrati nelle campagne. Perché in quei tempi, essere rosso e ateo voleva dire (o, meglio, faceva comodo), come Antonio, essere nemico della Spagna.



La regista ha intrapreso questa avventura artistica ispirata al libro biografico di Francesc Escribano, che narra di Antoni durante il biennio 1935-1936, Desterrando el silencio: Antoni Benaiges, el maestro que inventó el mar, come dire “dissotterrando il silenzio”, che fa tanta impressione ma è la verità. Lui, piccolo eroe, integro e vertical, nel film viene rapito e torturato sul più bello, nel pieno, finalmente, della stima non solo dei suoi amati ragazzini ma anche dei cittadini e sotto gli occhi puri di quei bimbi, i seguaci del generalissimo lo portano via a mo’ di esempio per tutti. Poi non se ne seppe più nulla, né si è mai più ritrovato il corpo, con la delusione, nella trama del film, della sconsolata Arianna che si deve accontentare di ritrovare il prezioso quaderno della gita al mare stampato in classe, che porterà con tanta commozione al nonno, il quale non potrà restare impassibile a quel doloroso e meraviglioso ricordo. Un piccolo miracolo quel libricino, dopo che i franchisti avevano bruciato tutti gli scritti, eterno esempio di quando il potere mette al fuoco la cultura e con essa la libertà di parola.



Un film che racchiude memoria collettiva, eredità morale politico-sociale, con un altro simbolo, la macchinetta artigianale per la stampa, strumento essenziale per tramandare quei due sentimenti alle generazioni successive, proprio come quel tesoro rappresentato dalle impressioni preventive dei ragazzi in attesa della agognata gita al mare. Mai come questa volta, il mare, che rappresenta da sempre la libertà, la gioia della natura, la vacanza, è il traguardo da raggiungere per realizzare un sogno, solo e soltanto per merito di un giovane educatore dal pensiero libero. È impressionante come ancora una volta sia una donna – qui Arianna – a farsi carico del compito di tramandare quella eredità per non dimenticare le efferatezze.



Forse, quello di Patricia Font è un lavoro che soffre di qualche didascalismo, ma leggiamolo come insegnamento pedagogico, che può (o deve?) suscitare emozione, che non vuole ricattare lo spettatore. Ma come si fa ad evitare questi tranelli in una storia come questa? Quando il potere oscurantista delle dittature o delle oligarchie si affermano e si confermano con la violenza, non avendo altre strade democratiche, diventa inevitabile raccontarle con quello che è realmente successo ogni volta e sta alla regia non indulgere né esagerare, ma inevitabilmente ci si trova davanti ad un racconto che fa male e ci si commuove. Poiché, con un personaggio come Antoni Benaiges i Nogués, non si riesce ad essere neutri: rapito, torturato e fatto sparire (quindi giustiziato barbaramente) a soli 33 anni.



Nel film, a chi contesta i suoi metodi d’insegnamento, ama dire: “I bambini devono poter diventare ciò che vogliono. Ma soprattutto, devono essere bambini”.



Riconoscimenti

Premio Goya 2024

Candidatura miglior sceneggiatura non originale

Candidatura miglior attore protagonista a Enric Auquer

Candidatura miglior attrice non protagonista a Luisa Gavasa

Candidatura migliori costumi

Candidatura miglior colonna sonora



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