Il maestro giardiniere (2022)
- michemar
- 23 gen
- Tempo di lettura: 9 min

Il maestro giardiniere
(Master Gardener) USA 2022 thriller 1h51’
Regia: Paul Schrader
Sceneggiatura: Paul Schrader
Fotografia: Alexander Dynan
Montaggio: Benjamin Rodriguez Jr.
Musiche: Devonté Hynes
Scenografia: Ashley Fenton
Costumi: Wendy Talley
Joel Edgerton: Narvel Roth / Norton Rupplea
Sigourney Weaver: Norma Haverhill
Quintessa Swindell: Maya
Esai Morales: agente Oscar Neruda
Eduardo Losan: Xavier
Victoria Hill: Isobel Phelps
Amy Le: Janine
Erika Ashley: Maggie
Jared Bankens: R. G.
Matt Mercurio: Sissy
Rick Cosnett: agente Stephen Collins
TRAMA: Narvel Roth è il meticoloso giardiniere che si prende cura dei Gracewood Gardens e si dedica tanto alla cura dei giardini di questa bellissima e storica tenuta, quanto ad assecondare il suo datore di lavoro, la ricca signora Haverhill. Quando questa gli chiede di assumere come apprendista la sua bisnipote Maya, ribelle e problematica, il caos entra nella spartana esistenza di Narvel, svelando oscuri segreti di un passato violento e sepolto che li minaccia tutti.
VOTO 7

La prima sequenza è molto più che un inizio come tanti, è significativamente la sintetica presentazione della perfezione del giardinaggio e anche la spiegazione della propria vita da parte del protagonista Narvel Roth (Joel Edgerton), il perfezionista giardiniere seduto ad un tavolino dove scrive sul diario che mantiene aggiornato da molti anni, su cui non riesce a smettere di annotare i suoi giorni, nonostante che a volte pensa di abbandonare. Ma ormai fa parte della sua vita così ripetitiva e rituale, benché quel giardinaggio sia la passione ed anche il modo con cui ha messo da parte la vita precedente. La descrizione di quell’arte è racchiusa in poche frasi e non riguarda soltanto il giardinaggio.

I tre tipi di giardino che spiega: “Il giardino formale è quello che impone alle piante dei vincoli geometrici: cerchi, quadrati, triangoli. Sono anche chiamati giardini alla francese. I giardini informali, noti anche come giardini all’inglese, si sono diffusi a partire dal XVIII secolo e si rifanno alle forme e ai contorni della natura. Un terzo tipo, il giardino selvaggio, è solo in apparenza selvaggio. Contiene una varietà apparentemente casuale di piante e arbusti che favoriscono gli insetti e la fauna selvatica. Il giardinaggio è fede nel futuro. È convinzione che le cose accadranno secondo i piani. Che il cambiamento arriverà a tempo debito.” È una lezione di colture floreali e di naturalistica? No, lo è anche, ma lui ci sta spiegando, metaforicamente, la sua esistenza: quello che era, quello che è oggi e quello che può essere il suo futuro, atteso, seppur sconosciuto, con la pazienza emblematica di chi aspetta lentamente la crescita delle piante, dal seme al fiore rigoglioso e colorato.
Narvel è un uomo dal fisico massiccio, vestito sempre con la tuta da lavoro, con le cesoie sempre a portata di mano nella tasca della pettorina che possono servire in ogni momento: per tagliare un ramo, una radice oppure un dito, come spiegherà prima del gran finale. È un uomo misterioso, parco di parole, che si limita all’essenziale sia nei movimenti che nei dialoghi con i pochi collaboratori che dirige con estrema precisione simile al suo metodico e accurato lavoro. Non parla mai del suo passato, di cui è al corrente, come si scopre, solo la matura donna che lo ha assunto come giardiniere in questa magnifica villa attorniata da un parco di una bellezza sfavillante di piante e fiori di provenienza da tutto il mondo, curato con straordinario perfezionismo dalla persona più adatta. Un particolare che non sfugge neanche al primo sguardo è la pettinatura liscia, stile neonazista. I tatuaggi che mostrerà in seguito sono l’emblema del suo passato, quello del giardino formale, ferreo, durissimo, quello dell’adepto al suprematismo bianco, pronto ad eliminare le impurità della razza ariana, componente di un gruppo di uomini convinti delle loro teorie e pronti a far fuori chi li intralcia.
Ora, inserito nel progetto di un programma di protezione di testimoni, con un’altra identità, dopo aver dovuto abbandonare la figlia e la moglie, vive nella tenuta che cura alle direttive della signora Norma Haverhill (Sigourney Weaver) che ha consentito di accoglierlo in accordo con la polizia. I due hanno un rapporto che pare formale (riecco l’aggettivo) ma che si rivela ben presto molto più interessato, dal momento che spesso lui è ospite della dama e dopo il dolce della cena si accompagnano eroticamente a letto. Era una vita regolata geometricamente dalle regole razziste, ora, con la dedizione alle piante, vive una vita così informale che si è adattato alla situazione, ne gode i vantaggi, ne sfrutta l’anonimato. In futuro si vedrà, quel futuro che lui attende con pazienza sarà come il terzo tipo, adattandosi a seconda degli eventi a cui andrà incontro, perché, come diceva nell’introduzione, il suo lavoro è fede nel futuro, è convinzione che le cose accadranno secondo i piani del destino e che il cambiamento arriverà nel momento giusto. Infatti, le cose andranno davvero così e ne sarà soddisfatto.
In mezzo, però, accadranno tante vicende che scombussoleranno la routine quotidiana che pareva immodificabile. La scintilla è la novità in arrivo: la ventenne pronipote della signora, Maya (Quintessa Swindell) che, rimasta orfana, è stata chiamata da Norma per tenerla occupata, ma non come ospite, come ulteriore dipendente dell’uomo, stipendiata al minimo e con tanto di auto, la limousine della proprietaria, che la porterà avanti e indietro dalla sua abitazione. Ma nessun rapporto privilegiato, anzi, pare che la donna non la ami particolarmente e non vuole che nessuno turbi lo status quo, né tantomeno che la ragazza (attenzione, afroamericana, figlia di sua nipote e di un uomo di colore che non esiste più) si intrometta tra lei e l’uomo. Il quale, ora, si troverà a dimostrare ancora una volta che è cambiato, avendo avuto il compito di stare vicino alla ragazza per insegnarle il lavoro con uno schema di maestro e allieva, con tanto di lavoro ma anche lezioni, compiti, controlli. Mansione che, dato il colore non puro della giovane, sarà una prova per Narvel: sarà mica un’idea della padrona di casa per sottoporlo a questo tipo di esame? Lei è una donna molto severa, indisponente, gelosa, poco socievole, acida e opportunista, che non gradisce assolutamente l’atteggiamento ribelle e indipendente della giovane parente, prontamente ricambiata. In mezzo lui, a mediare, anche perché non è insensibile al disagio di Maya, ragazza che ha chiaramente bisogno di una guida che perlomeno la allontani dalla droga e dal suo ragazzo-spacciatore. Ovvio che da queste e in queste condizioni, non del tutto bucoliche, ne scaturisca una situazione molto in bilico e pronta ad esplodere, riportando Narvel al suo precedente modo d’agire e reagire. A tornare ad essere il Norton Rupplea accantonato.
L’incidente nei rapporti tra i tre personaggi ma anche con lo sbandato che non vuole perdere la ragazza è vicino ad esplodere e qui si riaffaccia l’antico uomo d’azione, che decide di mettere a posto le cose e avverte la necessità di intervenire alla sua maniera. La natura, quella amata dal giardiniere, è metafora sia nel bene che nel male: da un lato l’ex suprematista bianco che viene dalla cultura del “Siamo noi i giardinieri, estirpiamo le erbacce”, come sentiamo dire da un vecchio compagno, dall’altro vale anche per l’umanista che potrebbe dire “Siamo noi i giardinieri, aiutiamo le cose a crescere”. Entrambi gli aspetti usano la stessa metafora del giardinaggio, una è male e l’altra è bene. Parole di Paul Schrader. Ecco, ora quel giardiniere, dopo aver sfoltito le piante della sua prima vita, ora avverte l’obbligo di far cresce i fiori belli, rappresentati dalla fragilità di Maya, dal suo modo sbagliato di vivere, della strada sbagliata che sta percorrendo. Il futuro che Narvel attendeva è arrivato, “i piani” sono giunti “a tempo debito”. La sua arma vincente non è una pistola, che dovrà purtroppo impugnare, ma la calma dei forti, la pazienza di chi sa aspettare il momento giusto, l’esperienza dell’uomo vissuto, il forte senso di protezione verso una fanciulla che ne ha bisogno, che ha bisogno di lui.

Paul Schrader dirige e soprattutto scrive il soggetto alla sua maniera forte ed incisiva, dura come nei film del sodale Martin Scorsese, a cominciare da Taxi Driver, Toro scatenato, American Gigolò, Al di là della vita, L’ultima tentazione di Cristo e i tantissimi copioni di grande successo, e chiude il cerchio della trilogia iniziata dai notevolissimi First Reformed - La creazione a rischio e Il collezionista di carte, due opere che hanno in comune con questo i protagonisti in difficoltà con il presente dopo un passato buio, aspro, uomini solitari, papponi, violenti che hanno in comune vite che non amano molto e diari su cui annotare i pensieri. Quindi, passato da mettere da parte, sensi di colpa, ricerca di redenzione. Se Travis Bickle sperava in un temporale che lavasse le strade di New York dall’immondizia materiale e sociale, Narvel ha tanta voglia di ripulirsi la coscienza e, magari, rivedere la famiglia, subito disilluso dal poliziotto è cui è affidato. Pioggia purificatrice che può anche essere la richiesta pattuita da Maya, la condizione-promessa per restare assieme: cancellare i tatuaggi, depennare una volta per tutte quel diario stampato sulla schiena e sul petto con gli emblemi del White Power, tipo “Il mio onore si chiama fedeltà”, calligrafici testimoni di un passato spaventoso che lui vorrebbe solo dimenticare. L’orticultore, nel frattempo, ha sostituto il seme della violenza con quello delle piante ornamentali, dimostrando come la vita sa essere assai più imprevedibile della rassicurante geometria di grazioso roseto.

Questi sono i protagonisti che il regista ama e a cui dedica attenzione nella scelta dell’interprete ideale e per questo master (che si può intendere anche come padrone) si è cercato e voluto il sempre efficiente Joel Edgerton in cui Schrader vedeva “una figura anni ’50, alla Bob Mitchum […] uno con cui non vorresti mai avere una rissa da bar”. Invece per il ruolo di Norma Haverhill inizialmente aveva pensato a Glenn Close, mentre per quello di Maya a Zendaya. Ha raccontato che l’ispirazione per il personaggio gli è venuta guardando dei documentari e reality show sul giardinaggio, dopo aver notato come fosse “un mestiere perfetto per chi vuole nascondersi”. E difatti questo Narvel non lo avrebbero mai scovato se non fosse arrivata Maya e i suoi problematici compagni. Da non sottovalutare la personalità di Norma, che capovolge per gelosia e testardaggine la stabilità formatasi, ne subisce i danni e alla fine deve venire a patti, accettando – incredibile a dirsi – le condizioni imposte dal giardiniere più maestro di vita che mai, padrone (appunto) assoluto nella fase della risoluzione. E del futuro che viene quando è solo il momento.

Joel Edgerton è bravo e corrisponde perfettamente al tipo di interprete che l’autore cercava: calmo, riflessivo, inespressivo nei momenti concitati, duro ma buono di cuore, fino ad avere l’intelligenza di capire come mettere fine alle difficoltà. Sigourney Weaver è letale nel suo ruolo, adatta con il suo viso che sa essere glaciale, che l’attrice affronta con la consapevolezza di saper presentarsi cattiva e rigida: sa bene come fare. La sorpresa è l’ottima Quintessa Swindell: spigliata, pronta, molto brava nella recitazione anche espressiva. Farà strada e con piacere ho scoperto che, dopo l’esordio nella serie di grande successo Euphoria e altre piccole partecipazioni, è stata capace di elaborare un corto che ha scritto e diretto. Aspettiamola. Molto bello il commento musicale di Devonté Hynes mai invadente, un accompagnamento delicato che diventa un gentile tappeto su cui scorre l’intero film.

Il quasi ottantenne Paul Schrader è formidabile come la sua fama di critico feroce, polemico, mai domo nell’accendere incendi artistici, autore mai banale. Basti pensare che il suo esordio è stato da sceneggiatore nel tumultuoso Yakuza, di Sydney Pollack, nel 1974. Era già tosto. Presentato in anteprima fuori concorso al Festival di Venezia 2022, dove il regista ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera, il film è stato l’occasione per un’intervista interessante.

“Sono stato cresciuto in un modo ben preciso, secondo i dettami della chiesa calvinista riformata olandese, frequentandovi tutte le scuole e anche un po’ di seminario. Che dire, si nasce colpevoli. Questo è quanto. E poi lo si diventa sempre di più, è la storia della nostra vita. E non c’è niente che si possa fare. Ricordo che da giovane mi è stato insegnato che quanto di meglio farò nella vita sarò comunque uno straccio sporco agli occhi del Signore. Sono stato educato in questo modo, una dottrina ancora più severa di quella cattolica e di tutte le sue stronzate simboliche. E così, sai, ci pensi di continuo. E anche quando cresci e capisci che non è con il senso di colpa che dovresti vivere la tua vita, lo senti ancora e inizi a chiederti: come posso perdonarmi? Ok, allora non credo in Dio, quindi non ho bisogno che mi perdoni. Ma per questo mi sento in colpa. In un certo qual modo, i miei protagonisti sono tutti diverse declinazioni di Travis Bickle, il protagonista di Taxi Driver, ed è in parte vero. Sono tutti complementari tra loro, alcuni più di altri. La differenza è che Narvel non deve andare in prigione, può vivere come marito e moglie nel suo giardino. Che è quasi dell’Eden. C’è l’uomo, la giovane Maya in realtà è sia la donna che il serpente, ma alla fine arrivano dove dovevano e volevano. La canzone che il mio amico Devonté Hynes ha scritto per il film dice ‘Non voglio mai lasciare questo mondo senza averti detto ti amo’. Per molti, molti anni per me è stato l’opposto, non voglio mai lasciare questo mondo senza dire vaffanculo. Forse sono cambiato.”
Questo è Schrader!
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