Il male non esiste
(Aku wa sonzai shinai) Giappone 2023 dramma 1h46’
Regia: Ryūsuke Hamaguchi
Sceneggiatura: Ryūsuke Hamaguchi
Fotografia: Yoshio Kitagawa
Montaggio: Ryūsuke Hamaguchi, Azusa Yamazaki
Musiche: Eiko Ishibashi
Scenografia: Masato Nunobe
Hitoshi Omika: Takumi
Ryō Nishikawa: Hana
Ryūji Kosaka: Takahashi
Ayaka Shibutani: Mayuzumi
TRAMA: Takumi e Hana vivono a Mizubiki, vicino a Tokyo, circondati dalla foresta. Quando vengono a conoscenza di un piano per costruire un sito turistico, sanno che ciò avrà conseguenze disastrose per l’ecologia e la pulizia della loro comunità.
Voto 7
I personaggi principali sono quattro, poi ce ne sono anche tanti altri, ma su tutti si ergono altri due, che sono i veri protagonisti del film di Ryūsuke Hamaguchi: la natura in cui si svolgono le vicende, potente, bellissima, rigogliosa anche se innevata, con le sue erbe selvatiche che, dal sapore intenso, danno tutto un altro gusto alle ricette tradizionali; la meravigliosa musica di Eiko Ishibashi che la spiega ai nostri occhi e che ci accompagna in ogni istante, aggiungendo ancor più armonia alla visione. È la Natura che predomina lo sguardo del regista ma anche dello spettatore, incantato da tanta bellezza. Siamo in una piccola località dove la comunità residente vive immersa in quella natura, assecondandola secondo le sue leggi: gli abitanti, per esempio, colgono le foglie del wasabi selvaggio, l’erba alla base della salsa verde piccante, buona per cucinare la soba in brodo, specialità della chef del villaggio scappata dalla città; tagliano la legna di cui è ricca la foresta per la cucina e il riscaldamento; vivono in pace e armonia con gli animali del luogo disprezzando i cacciatori che feriscono i cervi pacifici, che attaccherebbero l’uomo solo se minacciati o per difendere il loro piccoli. L’equilibrio è stabile e intoccabile e la vita va avanti così da sempre, fin quando, però si fanno vivi due estranei che presentano un piano di interventi che sconvolgerebbe quella tranquillità e i cittadini. Succede, infatti, un fatto impensabile per loro.
Takumi, lì, è un tuttofare che conduce assieme alla figlioletta Hana una vita semplice a Mizubiki, un villaggio non molto lontano da Tokyo. Un giorno giungono dalla città Takahashi e Mayuzumi, i rappresentanti di un’azienda che si definisce un “divertimentificio”, che vorrebbe costruire un glamping (crasi tra glamour e camping, una sorta di campeggio di lusso) nel bosco, al limitare del paesino, e che sorgerebbe su un tratto solitamente percorso dai cervi. Sono arrivati per esporre il progetto e, per essere a posto con la coscienza e dal punto di vista legale, per discutere con la popolazione della fattibilità del progetto. Sono muniti di computer e grafici, diapositive e tante parole per convincerla della bontà della proposta, tirando in ballo anche il maggiore sviluppo del turismo nel luogo, prospettando maggiori guadagni per le attività esistenti. La gente del posto è inizialmente silenziosa e sospettosa. A tal fine gli abitanti pongono giustamente molte domande ai due rappresentanti, cogliendoli impreparati su molti aspetti, evidenziando maggiormente la loro (e della società Playmode che li ha inviati) assoluta impreparazione, dovuta maggiormente alla scarsa conoscenza del posto e delle problematiche conseguenti all’insediamento proposto. Come, ad esempio, prima chiara evidenza negativa, la mancanza della sorveglianza notturna, che quindi non sorveglierebbe eventuali incendi notturni dei villeggianti in preda al divertimento, e soprattutto la costruzione di una fossa settica in un punto che rischierebbe di inquinare le falde acquifere. Da quei corsi d’acqua sotterranei scende l’acqua che più in giù alimenta i rifornimenti degli abitanti e abbevera la fauna, a cominciare proprio dagli amati cervi. L’assemblea si infuoca ben presto sui temi più caldi e i due malcapitati si trovano in evidente difficoltà, chiudendo la riunione, dopo l’intervento deciso dell’anziano sindaco, con la promessa di rappresentare le giuste obiezioni all’imprenditore del progetto.
Tornati in città, Takahashi e Mayuzumi discutono con il loro capo di come procedere e quest’ultimo chiede loro di ritornare sul luogo e proporre a Takumi di accettare non solo l’incarico di sorvegliante necessario per le 24 ore ma anche di diventare il consulente del progetto. In questo viaggio di ritorno ritroviamo due degli elementi caratteristici di Hamaguchi: l’auto, come nel bellissimo e premiato Drive My Car, e i lunghi dialoghi. È in questa occasione che si comincia a conoscere il carattere e la provenienza culturale e lavorativa dei due inviati. Provengono da tutt’altre attività, da esperienze lontane rispetto a ciò di cui sono stati incaricati e non dimostrano grande entusiasmo né per quello che fanno, né per quello che sono stati incaricati di riferire agli abitanti di Mizubiki. Sul posto, anzi, la situazione cambia completamente quando aiutano – e si rendono conto in prima persona - Takumi a riempire le taniche di quell’acqua cristallina e genuina del torrente in questione che devono portare alla chef, dove finalmente mangiano la pietanza tanto declamata e ne restano entusiasti. Come lo sono anche per la semplicità e per la tranquillità della vita che stanno osservando estasiati. Non vogliono più tornare in città: hanno recepito pienamente le opposizioni della gente e ora intuiscono i danni che il campeggio comporterebbe. Quella sera accade una disgrazia.
Il film inizia con la macchina da presa rivolta verso l’alto, inquadrando, in una soggettiva suggestiva, le cime degli alberi secolari ad alto fusto del grande bosco, in cui la Natura è regina assoluta e gli animali vivono secondo essa. Che siano gli occhi del protagonista Takumi o quelli della piccola Hana non importa, intanto sono i nostri, beatificati dal meraviglioso commento musicale della fidata Eiko Ishibashi. Questo incipit non è breve, dura qualche minuto, introducendoci lentamente, come del resto l’intero film, nella piena atmosfera che lo avvolgerà, con il cielo chiaro del giorno e le fronde degli alti rami, e, prima dei titoli di coda, la sequenza si ripete ma stavolta nel buio del tramonto terminato, scuro come il drammatico finale. In cui il regista preferisce dare solo qualche primo piano (la ferita del cervo, il viso esanime dell’uomo venuto dalla città, uno velocissimo dedicato ad Hanna) dando risalto alla panoramica che ci lascia tramortiti e con qualche dubbio speranzoso.
Che il finale indichi una sciagura o un semplice spavento, con rabbia incorporata nella mente e nella reazione del protagonista, poco importa. Ciò che conta è la lezione, più che ecologista, sull’importanza vitale e psicologica della vita convissuta nella natura, seguendo le sue leggi e la sua fortissima essenza che, troppo spesso ultimamente, l’uomo cerca di abbattere a colpi di inquinamento, invasione, sfruttamento. Senza mai tener presente che la Terra sopravviverà sempre a noi ospiti e, come succede da milioni di anni, prima o poi si libererà degli ammennicoli, restando padrona incontrastata, sbeffeggiando i ridicoli imprenditori, sfruttatori solo momentanei, gente come quello che immagina di convincere il paesello ad aprirsi alle nuove frontiere del turismo di massa. Gente che la Natura schiaccia come insetti. Come i figli della città venuti a portare le astrazioni del capitalismo, sfruttando sovvenzioni statali (quindi rischiando meno), fragilità e impreparazione dei dipendenti, presunta ingenuità delle popolazioni locali, ma rimanendo sconfitti da questi ultimi perché servitori e alleati della terra in cui vivono e di cui rispettano le esigenze e le regole.
Dal punto di vista artistico, il film di Ryūsuke Hamaguchi è un’esperienza ecologista e umanistica, in cui la regia e la musica ci aiutano a vivere una immersione sensoriale, osservando il taciturno Takumi e la sua scontrosità verso gli estranei contrari ai suoi principi di vita. L’inizio e l’andamento lento traggono in inganno, facendoci immaginare un’opera monotona e vuota, ed invece, una volta entrati in sintonia con l’atmosfera e i personaggi, se ne viene coinvolti e partecipi, sino a comprendere e giustificare i motivi del loro atteggiamento ostile verso quei corpi estranei, visti sempre come avversi, anche quando aderiscono alle pretese. Tanto che nel topico momento finale scatta l’ira e l’insofferenza dell’indigeno. Il regista ci conduce nel dramma proprio quando meno lo si aspetta e la ricerca affannosa e preoccupata della gente la inquadra e racconta senza nervosismi o tic da thriller, mantenendo invece imperturbabilmente il suo ritmo congeniale, senza perdere un grammo di intensità. E come ama fare, ci porta dritti dalla sua tipica sinfonia minimalista, quasi invisibile tanto è ordinaria, verso un enigma che sa di straordinario, inaspettato, con le sue inquadrature profonde e larghe. E ci lascia lì inebetiti. Lì dove comanda il cervo.
Lì dove il male non esiste, perché tutto va secondo natura e se vi arriva lo porta l’uomo. Se gli abitanti di Mizubiki sono contrari ai nuovi insediamenti è per il rispetto che ne hanno ma essa ha voluto comunque dare un avvertimento. Perché in quella foresta, con l’uomo, ambasciatore di una modernità egoista e confusa che, al netto delle sue intenzioni, finisce col portare comunque danno rompendo equilibri di cui sono ignari, tutto cambia e diventa precario. Altrimenti, il male non esiste, o almeno, non esisterebbe.
Riconoscimenti
2023 – Festival di Venezia
Leone d’argento - Gran premio della giuria
Premio FIPRESCI
Premio Fondazione FAI Persona Lavoro Ambiente
Premio Edipo Re - Giuria giovani dell’Università Ca’ Foscari
Menzione speciale al Premio CinemaSarà della Cineteca Italiana
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