Il mio compleanno
Italia 2024 dramma 1h30’
Regia: Christian Filippi
Sceneggiatura: Anita Otto, Christian Filippi
Fotografia: Matteo Vieille Rivara
Montaggio: Tommaso Marchesi, Gianluca Scarpa
Musiche: Meganoidi
Scenografia: Alessandra Galletta
Costumi: Maya Gili
Zackari Delmas: Riccardino
Silvia D’Amico: la mamma Antonella
Giulia Galassi: Simona
Simone Liberati: Manuel
Federico Pacifici: don Ezio
Nicolò Medori: Nicholas
Federica Di Lodovico: ragazza del parco
TRAMA: Riccardino sta per compiere diciotto anni nella casa-famiglia in cui vive. Da quattro anni è stato separato dalla madre, una donna con forti disturbi di personalità. Nonostante la premurosa e attenta guida della sua educatrice, che desidera per lui un futuro al sicuro nella casa-famiglia, il giovane decide di scappare per raggiungere sua madre e vivere con lei. La sua illusione presto si trasformerà in un’amara realtà e Riccardino dovrà fare una scelta difficile.
Voto 6,5
Festival di Venezia 2024, Biennale College
Se ne parla da tempo: negli ultimi anni il problema dei disagi di crescita e affermazione della personalità degli adolescenti si è aggravata ancor più, a maggior ragione durante e dopo l’epidemia del Covid e nulla indica che per adesso il fenomeno possa acquietarsi. Infelicità, incomprensioni, ribellione, sfide sociali e social, gesti insani nell’ambito familiare: l’insoddisfazione spinge l’adolescente a comportamenti che normalmente non ci aspetteremmo. Eppure, le manifestazioni non sono poche, indice del fatto che il problema è diffuso e serio. Ma a prescindere dal fenomeno sociale, le problematiche di questo tipo, pur in forma ridotta, sono sempre esistite, vuoi per motivi ambientali, vuoi per motivi culturali e di estrazione sociale. Di giovani, cioè, bisognosi di attenzioni particolari, di cure indirizzate, di educatori specifici. Questo film ne raccoglie una tangibile testimonianza e fa mostra di reale esperienza dello stesso autore, Christian Filippi, che ha messo nero su bianco e immagini nella macchina da presa per esperienza personale.
Il regista ci scaraventa immediatamente nel mondo del giovane protagonista, Riccardino per tutti, alle soglie dei suoi 18 anni. Le prime immagini del film mostrano dei ragazzi che guardano in alto assieme ad un loro tutor Manuel (Simone Liberati): lassù, sul terrazzo della comunità dove vivono, c’è il nostro giovanotto che urla braccia al cielo e minaccia di lanciarsi giù. Come prevedibile, i ragazzi in attesa si dichiarano scettici e sfidano l’amico a buttarsi, mentre l’educatore li invita al silenzio ed esorta il ribelle a smetterla e a scendere insieme a loro. Quindi, l’ambiente è questo: una piccola comunità di ragazzi “interrotti”, senza famiglia o perlomeno allontanatisi, problematiche di vario tipo, necessità dei loro guardiani e del sacerdote che cerca di tenerli assieme e avviarli al meglio alla maggiore età, sperando ed educando a non commettere sciocchezze o piccoli reati.
Per cosa è arrabbiata Riccardino? Lui non vede la mamma Antonella (Silvia D’Amico) da quattro anni e l’ha sentita per telefono solo cinque volte in quel periodo. Gli manca da morire, farebbe qualsiasi cosa pur di starle vicino, di abbracciarla, di baciarla. Ma a loro non è concesso avere il cellulare e perciò non riesce a sentirla, per giunta. Anzi, quando si ritrova un giorno in un parco, riesce a rubare uno smartphone ad una signorina e prova a chiamarla. Nulla, nessuna risposta: lei è una donna affetta da disturbi della personalità, è bipolare, ed è rinchiusa in una clinica di Castel Gandolfo.
Il giovane ha tutta la sfrontatezza che ci si può attendere, maggiormente evidenziata dal suo modo di esprimersi in un romanesco da perfetto coatto: urla, si agita, gesticola, reclama la libertà che pretende, vuole vedere o almeno sentire la madre, non gli interessano le lezioni in aula o i rimproveri di don Ezio che li custodisce. Il gesto clamoroso del suicidio dalla terrazza era solo uno spettacolino per richiamare l’attenzione su di sé e i suoi bisogni. Non gli bastano le attenzioni di Simona (Giulia Galassi), sempre attenta alle sue esigenze, fino al punto di richiamare le proteste degli altri ragazzi. Lei ha davvero un occhio particolare d’affetto verso quel giovanottino ma non vuole ammetterlo. Purtroppo non basta, non gli interessa ed un giorno, quello precedente al fatidico 18° compleanno, scappa via, telefona alla madre e la carica su un’auto rubata: è la libertà a cui anelava, è la giornata da passare con la madre che sognava, è la realizzazione di un progetto meraviglioso. Ora scorrazzano per le strade, cantano ridono si baciano festeggiano con un maritozzo e un accendino acceso: sono assieme ed è ciò che conta. Poi, il crollo. Adesso gli tocca fare la vera scelta, la mamma è bellissima ma irrecuperabile, e lui è maggiorenne e deve decidere cosa fare della sua vita, deve trovare un posto nel mondo, deve sbagliare per imparare e diventare adulto. Perché l’importante è trovare quel posto. Per meglio cercarlo, una volta rientrato maggiorenne, prepara il borsone, si sistema il giubbotto sulla felpa, lascia a chi lo vorrà il cellulare rubato che lo ha tenuto in contatto con la madre, si avvia al cancello dell’istituto ed esce mentre il testo del brano dei Meganoidi è una dedica al lui e al suo mondo. Nonostante tutto, si gira a guardare per l’ultima volta l’edificio che ha ospitato per lunghi quattro anni il suo corpo, la sua mente e la sua voglia di ribellione e libertà. Riccioli al vento, jeans ultra larghi e bassi che scappano via, la strada davanti, l’obiettivo della camera da presa che lo attende per il primo piano durante il quale ci guarda e sorride soddisfatto.
Dedicato a chi sta cercando il proprio posto, dice la didascalia del bravo regista.
Da dove nasce il soggetto filmico lo spiega il sorprendete regista Christian Filippi. La genesi del film risale a un laboratorio di scrittura che aveva tenuto nelle case-famiglia di Roma nel 2018. In seguito, decise di raccogliere quanto più materiale possibile dalle narrazioni che i ragazzi, i tutor e gli assistenti sociali avevano condiviso per raccontare una storia autentica e, allo stesso tempo, universale. Un intenso lavoro di documentazione, nella speranza che lo spirito del film potesse davvero rendere l’anima dei personaggi, e soprattutto del protagonista, che si può considerare rappresentante di una nuova generazione di giovani, emarginati, invisibili e senza le figure genitoriali a far loro da guida. Come si può notare nel film, l’approccio di questa generazione alle situazioni dolorose non è semplicemente scoraggiato o passivo, ma è invece caratterizzato da un potente senso di ironia e umorismo irriverente, per proteggersi dai propri fantasmi. Ed ecco la creazione di un personaggio liberatorio: la madre, come fosse un’illusione. Le vicende ci rivelano un disperato ma vitale Riccardino, che il regista definisce “l’ultimo baluardo di una Roma scomparsa, e della sua gente scomparsa: affamato, primitivo, astuto e sempre un passo avanti”. Lui, però, è anche fragile: le sue speranze si sono rivelate false ed è pervaso da un profondo senso di ingiustizia. È qui che la sua vitalità si trasforma in rabbia, quella che si legge nei suoi occhi e nell’impulsività delle sue reazioni aggressive e violente.
Per la riuscita del film e per realizzare queste buone intenzioni serviva un giovane dotato e la sorpresa è arrivata con Zackari Delmas. Che definire sorprendete è poco. È talmente scatenato nella sua performance (non si potrebbe definire diversamente) che pare un attore professionista: parolacce, epiteti, frasi idiomatiche, romanesco coattato, gestualità popolana, tutto serve per costruire un perfetto il personaggio. Peccato solo che il suono della presa diretta non sia dei migliori e buona parte delle parole si perdono nel tragitto. Un grosso difetto che non aiuta a capire tutte le frasi.
La regia è eccellente, rende chiaro anche il non detto, è cosciente del tragitto da compiere per portarci al momento culminante del finale. Ottimo esordio.
Silvia D’Amico invece splende di suo con una interpretazione vivacissima ed efficace, partendo da un ruolo non facile, davvero brava. Giulia Galassi e Simone Liberati perfetti, con quest’ultimo che, non dimentichiamo, ha iniziato la carriera in un modo forse simile a quella del giovane Delmas.
Il buon cinema italiano che cresce.
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