Il mondo che verrà
(The World to Come) USA 2020 dramma 1h45’
Regia: Mona Fastvold
Soggetto: Jim Shepard (racconto)
Sceneggiatura: Ron Hansen, Jim Shepard
Fotografia: André Chemetoff
Montaggio: Dávid Jancsó
Musiche: Daniel Blumberg
Scenografia: Jean-Vincent Puzos
Costumi: Luminița Lungu
Katherine Waterston: Abigail
Vanessa Kirby: Tally
Casey Affleck: Dyer
Christopher Abbott: Finney
TRAMA: Nel 1850, in una fattoria nello stato di New York, Abigail e Dyer hanno appena perso la loro unica figlia a causa della difterite. Ancora in lutto, Abigail fa la conoscenza dei nuovi vicini, Tallie e il marito Finney. Le due donne formano così un legame fatto di intimità sempre maggiore e passionale devozione. Quando i mariti comprenderanno l'intensità della loro relazione, la situazione sfuggirà presto a tutti di mano.
Voto 7
Siamo nell’America del 1856, quando il duro inverno del West, lontano dalle pianure a cui il cinema ci ha abituato, si sta avvicinando con il rigore della stagione. Una fattoria, una coppia di coniugi ed una bambina malata di difterite che loro non riescono a curare. I rimedi che la natura può offrire per una malattia così seria, allora difficilissima da vincere, sono palliativi praticamente inutili e alla durezza della vita i due genitori devono aggiungere il dolore immenso della perdita, dopo solo cinque anni di vita. La solitudine, il duro lavoro dei campi e del poco bestiame che posseggono, la povertà incombente, sono appena appena distratti dall’arrivo di un’altra coppia della loro età, in una altrettanto piccola attività poco distante, anche loro, come Dyer e Abigail adesso, senza figli. I nuovi arrivati sono Finney e Tally e poco dopo fanno conoscenza, utile per capire il difficile ambiente e per farsi compagnia. La prima neve cade con forza e abbondante, il freddo si trasforma presto in gelo. Per sei giorni alla settimana c’è solo il lavoro, la domenica è dedita alla funzione religiosa nella chiesa della zona, dove Abigail non si reca più dopo lo sconforto provato per la perdita della sua piccola. Trova inutile tornare a pregare dopo che le sue implorazioni sono state così vane.
La solitudine non è solo fisica e ambientale, è atavica in una società, quella della frontiera ormai conquistata a spese dei nativi, che mette al centro l’uomo, burbero e silenzioso, che deve lavorare all’aperto con l’aiuto della moglie, a cui spetta anche preparare da mangiare, lavare i panni e mungere le mucche. Poi, nel freddo della notte, deve finire il suo compito nel talamo nuziale. Se l’isolamento sociale per il maschio è dovuto alla vita che conduce, quella della femmina è connaturato alla sua vita, in cui ha conosciuto solo i genitori e poi l’uomo a cui è andata in sposa. Solo i figli potrebbero essere il diversivo e la foce del loro potenziale affettivo mai veramente espresso. E non ci sono. Non resta che il vicino, almeno per l’uomo. Quando Abigail e Tally si incontrano, il primo sguardo è un misto di curiosità e attrazione, una sponda di sensazioni mai provate prima. La prima è sensibile, delicata, amante delle letture e curiosa dei luoghi che non ha mai visto: ciò che desidera comprare è un atlante, una spesa che il marito rinvia per altre necessità. L’altra è più aperta, solare, dallo sguardo indagatore, benignamente aggressivo, recettiva al sorriso della nuova amica, pronta a contraccambiare ciò che crede di leggere nei suoi occhi. Presto sono in sintonia, mentre i due uomini, parchi di parole, hanno in comune solo argomenti generici e di lavoro. Ci metteranno poco le due donne, bisognose di affetto, a trovare le note di un’armonia che sta già suonando per loro, e le visite, soprattutto di Tally, diventano più frequenti, fino all’avvicinamento fisico, inevitabile conseguenza di un sentimento fortissimo che vogliono assolutamente coltivare. Basterà il primo bacio per consolidare quello che stavano provando timidamente, anche perché, per loro due, questa è la prima volta che scoprono l’amore e di seguito l’attrazione fisica, senza stare lì a distinguere se sia lecito tra due persone dello stesso sesso. Ciò che non hanno trovato nella vita tradizionale, il destino lo dona oggi, avendole fatte incontrare, ed ora sono quasi tutti i giorni assieme, mentre gli uomini sono nei campi o in città per acquisti. Ovvio che prima o poi Dyer e Finney si accorgano dello stato delle cose: il marito di Abigail diventa ancor più silenzioso di prima e intuisce che è inutile opporsi o litigare perché perderebbe per sempre la persona di cui non sa fare a meno, ne morirebbe. Quello di Tally, rigido e religioso in modo ortodosso, si indurisce e la punisce, fino all’esito finale.
Nella narrazione, la regista Mona Fastvold, compagna e complice di Brady Corbet (abituali le loro collaborazioni vicendevoli), adotta il metodo della voce fuoricampo di Abigail, che con costanza ha annotato giorno dopo giorno nel suo diario ciò che succedeva in quella terra sperduta tra le montagne del West, e ora, mentre le scene si susseguono, ce le racconta con dovizia, con tono poetico di chi ha sempre amato la scrittura e la lettura, oltre che sognare i luoghi disegnati sull’atlante che finalmente ha ricevuto, ma come regalo proprio dalla cara Tally. Non è una narratrice invadente, è una musica, è come un commento musicale che accompagna l’evolversi della storia, che è dapprima felice, poi noiosa ed infine illuminata dall’amore. Un racconto che assume le vesti di racconto letterario e sfocia in quello epistolare quando, per dare un taglio secco alla situazione, Finney decide di trasferirsi con la moglie in un’altra località, lontana tre giorni di calesse. Quelle lettere diventano il succedaneo del loro parlare ma non di quello della vicinanza, ormai compromessa per sempre.
Premesso che solo una donna sensibile come Mona Fastvold avrebbe potuto concepire e dirigere un film così profondo e delicato, va dato merito al soggetto di partenza, che è un racconto dello scrittore statunitense Jim Shepard, qui sceneggiatore assieme a Ron Hansen, altro autore fattosi notare con il bellissimo L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, poi diventato film di Andrew Dominik, con Casey Affleck, attore evidentemente ispirato dallo scrittore. La regista si è avvicinata al racconto attratta dalla passione della ricerca storica dei due scrittori, giudicata da lei stessa come investigatori del passato. La storia al centro del film, infatti, viene fuori da una piccola nota che Shepard aveva trovato leggendo il vecchio diario di una contadina, scritta ai margini tra cose da fare e appunti sul clima: "La mia miglior amica si è trasferita, non penso che la rivedrò mai più". Tra le righe, vi ha letto un sentimento di rammarico misto a dolore. Da lì ha poi costruito tutta la storia. La brava regista ha centrato tutto il film sull’interiorità femminile, che è il tema principale. L’obiettivo era evidentemente quello di raccontare una storia d'amore che catturasse tutta la gioia e la voglia di vivere di due persone che si ritrovano l'una nell'altra. Il senso di colpa e la vergogna sono spesso, purtroppo ancora oggi per molte persone, al centro delle storie d'amore omosessuali e lei ha voluto che l’opera esprimesse invece l'estasi legata alle prime fasi dell'amore. Queste scene iniziali sono difatti tra le più belle dell’intero film, con l’avvicinamento e i primi minuti di intesa prima di tutto mentale e intellettuale. Abigail sorride e si avvicina, Tally la scruta in profondità con un sorriso che è accettazione. Le protagoniste vivono così isolate che il loro vero, primo ed unico rapporto interpersonale è questo e lo vogliono vivere e godere, come se avessero scoperto un mondo sconosciuto ma meraviglioso. E soprattutto senza un precedente, perché non possono considerare peccaminoso o vergognoso ciò che si crea tra loro, anzi, si chiedono soprattutto all'inizio se ciò che sta accadendo a loro sia unico e mai capitato a nessun'altra donna prima.
Un film incantevole e delicato che ingentilisce la rudezza dei tempi, dell’ambiente e dei maschi, che in mano a Mona Fastvold assume toni di poesia e lirismo, di mélo e sentimento umano. Christopher Abbott è l’attore fisso della regista, evidentemente ideale per lei, mentre Casey Affleck – qui anche produttore, a dimostrazione di quanto ha creduto nel progetto, soprattutto dopo le sue vicissitudini con il #MeToo - borbotta sottotono le frasi da par suo, insuperabile nel trattenere le emozioni, come ha sempre fatto. Katherine Waterston, figlia d’arte, sta creando un percorso di attrice ammirevole: i suoi sguardi e i suoi gesti sono la messa in pratica del messaggio dell’autrice, dosando i vari passaggi di quello che le due donne provano, dal dolore della perdita alla scoperta di ciò che non sperava più di trovare nella vita, dal coraggio di manifestare quello che non vuole nascondere alla voglia di realizzare quello che ritiene giusto nonostante le difficoltà ambientali e sociali. Da parte sua, la sempre eccellente Vanessa Kirby ha una forza recitativa dirompente, una presenza fisica che riempie lo schermo, un’apertura attoriale che ne esalta la bellezza irregolare. Attrice che rivelò tutto il suo potenziale interpretativo con Pieces of a Woman, dove fu premiata a Venezia 2020 con la Coppa Volpi. Donna che merita molta più considerazione di quella che fino ad oggi ha conquistato, davvero brava.
È anche un romanzo di formazione: quello della nascita e crescita di una nazione che diventerà grande, della trasformazione della società civile di un Paese ancora acerbo. Racconto che non mostra la violenza fisica che ha caratterizzato il western ma ostenta quella psicologica dei drammi familiari e maschilisti, quando ancora questo termine era impensabile. Dove l’amore, quello vero, trova spazio tra il gelo della natura e degli uomini, cresciuti in un’altra epoca.
Girato in una Romania che riesce a dare la chiusura e la cupezza adatta all’ambientazione, è un bellissimo film.
“Astonishment and joy!”
Komen