Il potere del cane
(The Power of the Dog) UK/Canada/Australia/N.Zelanda/USA 2021 dramma 2h6’
Regia: Jane Campion
Soggetto: Thomas Savage (romanzo)
Sceneggiatura: Jane Campion
Fotografia: Ari Wegner
Montaggio: Peter Sciberras
Musiche: Jonny Greenwood
Scenografia: Grant Major
Costumi: Kirsty Cameron
Benedict Cumberbatch: Phil Burbank
Kirsten Dunst: Rose
Jesse Plemons: George Burbank
Kodi Smit-McPhee: Peter
Thomasin McKenzie: Lola
Geneviève Lemon: sig.ra Lewis
Keith Carradine: governatore Edward
TRAMA: Montana, 1925. Phil Burbank è un cowboy inflessibile e d'indole crudele, omofobo e misogino che gestisce il ranch più grande di tutta la vallata assieme al fratello George, il suo opposto: misurato, silenzioso e di buon cuore. Quando George sposa Rose, una vedova del luogo, Phil intraprende contro la donna un'implacabile guerra privata, servendosi dell'efebico figlio di lei Peter. I due sembreranno avvicinarsi sempre di più, nonostante il crescente malessere generato da Phil alla mamma Rose.
Voto 8,5
“Libera la mia anima dalla spada. Il mio tesoro dal potere del cane.”
Book of Common Prayer, libro di preghiere utilizzato dalla Comunione Anglicana pubblicato nel 1549 durante il regno di Edoardo VI, prodotto della Riforma inglese in seguito alla rottura con Roma.
È la frase che il giovane Peter legge nella scena finale.
Il Montana del primo quarto del ‘900 è ambientato nel vasto paesaggio della Nuova Zelanda di Jane Campion, dove l’estesa vallata proprietà dei fratelli Phil e George Burbank, intestata a loro dai ricchi genitori andati a vivere in città, confina con le montagne che si stagliano all’orizzonte, minacciose e protettive nello stesso tempo. Sono lì, come uno sfondo scenografico appariscente, che segnano il confine della mente di chi ci vive e lavora (i due proprietari e i tanti cowboys, accuditi dall’anziana cuoca assieme alla giovane Lola) ma anche un grandioso recinto dove sentirsi sicuri e difesi dalle ingerenze del mondo esterno, forse perfino dalla civiltà. Sono i più ricchi possidenti della regione, con una nutrita mandria che spostano nei pascoli dell’immensa tenuta. Gli unici nemici che invadono i confini sono, oltre agli odiati indios, i lupi e la peggiore malattia che fa morire le bestie, rendendole anche pericolose per l’uomo che le tocca una volta morte: l’antrace. È per questo che il duro Phil evita accuratamente di venire a contato con le mucche malate.
La scenografia aspra, selvaggia, spesso inospitale è stata la cifra che ha caratterizzato anche l’opera di maggior rilievo di Jane Campion, Lezioni di piano, dove l’unica grazia era quella femminile apportata dalla muta protagonista e dalla sua piccola figlia, come anche dal suono del pianoforte, unico appiglio al mondo civile in quella terra primordiale in cui era approdata. Rieccolo qui, il piano, poco consono all’ambiente ma intonato all’arredamento della grande casa dei fratelli Burbank. Qui è muto, è solo un pezzo di mobilio, appena sfiorato dalle gentili mani della nuova ospite, Rose. È una storia drammatica e fortemente contraddistinta dai quattro personaggi principali, in primis dai due fratelli e dai loro caratteri molto differenti. Phil è un uomo dal forte temperamento di vero macho dagli occhi di ghiaccio a cui basta uno sguardo per farsi ubbidire dalla masnada incontenibile dei vaccari, volgari e maschilisti. Ma ciò non gli basta e urla gli ordini come un sergente di ferro, prendendo in giro senza remore chiunque lo infastidisca (praticamente tutti) e litigando duramente con gli astanti. Non sopporta nessuno, neanche la musica della trattoria dove si recano a mangiare i due fratelli per gli incontri con gli altri allevatori della zona e con i loro uomini. Di quel locale odia i fiori di carta che pazientemente confeziona il giovane Peter, il figlio della vedova proprietaria del posto, la bella e gentile Rose. Misogino, rude, prepotente, disprezza il giovane che gli sembra troppo effeminato e lo deride davanti a tutti stimolando la collaborazione dei suoi accoliti. E non si lava mai. Un vero uomo della pianura del West.
George è invece silenzioso, forse timido, certamente riflessivo e di buon carattere, gentile. Se il fratello si occupa del duro quotidiano lavoro dell’azienda, dell’allevamento e delle pelli che ricavano dal bestiame – scartando attentamente quelle delle mucche morte di antrace -, lui è quello che intrattiene le relazioni sociali e i rapporti con le banche, veste elegante nelle giuste occasioni e ha il cuore così tenero che quando trova la vedova Rose in lacrime per i maltrattamenti verbali e comportamentali di Phil, non esita a consolarla e darle una mano. Fin quando non decide addirittura di chiederle di sposarlo e andare a vivere nella sua grande casa di famiglia, assieme al suo affezionato figlio Peter che studia per diventare dottore. La donna è ancora giovane e attraente, dall’animo sensibile e quell’uomo un po’ grasso, premuroso e di gran cuore la fa tornare a sorridere, sperando che così il figlio possa realizzare il suo sogno, mandandolo a studiare in città. Peter è un magrissimo ed efebico, bianco, longilineo giovane molto timido, che, conscio delle sue caratteristiche fisiche e del comportamento effeminato, sa ignorare gli insulti sessisti ed omofobi che gli lanciano i rudi uomini della fattoria ma soprattutto le offese e gli scherzi pesanti da parte dell’arrogante Phil. Sarà una guerra molto aspra, psicologica, di dispetti, di ripicche, di disturbi sonori, tra l’uomo e i due arrivati, specialmente in mancanza di George che si assenta spesso per gli affari di famiglia.
Gli elementi che sovrastano l’andamento e lo sviluppo dei rapporti sono l’antrace, che aleggia come un virus invisibile e lontano, che insidia gli animali, e la solitudine, che abita in ogni personaggio. Invadente, persistente. È solo il giovane Peter, isolato nei suoi pensieri, insensibile alle difficoltà dell’ambiente in cui si è ritrovato a vivere, quando vaga per il bosco o tra le colline; è sola la vittima Rose che, intimorita dalle attenzioni provocatorie e irritanti del cognato, trova rifugio nell’alcol fino a diventarne schiava. È, in un certo qual modo, solo anche George, più che altro nel suo silenzio e nella mancanza di volontà di intervenire nel conflitto tra moglie e fratello, quasi ignorando la situazione difficile: forse non intende interferire per non suscitare la reazione nevrotica sperando nel contempo che la situazione si ripari da sola. La solitudine invece di Phil è totale isolamento sociale dagli altri, anche col fratello con cui a volte ha solo brevi ed essenziali colloqui: è la conseguenza delle sue fobie, del rifiuto relazionale con gli altri, dei segreti intimi che non confessa a nessuno. Solo al giovane Peter confiderà, prima del tragico epilogo, del suo forte rapporto con l’amico di sempre, Bronco Henry, che in una situazione difficile gli salvò la vita con il calore corporeo in condizioni di gelo (e non risponde quando Peter chiede se fossero nudi nel sacco a pelo). Il misterioso personaggio, che lui menziona sempre, aleggia permanente nella sua vita, rimane il suo punto di riferimento, quale mentore e maestro di vita e virilità, sebbene in assenza perché morto anni prima suicida. Era lui che gli faceva notare come quelle montagne stagliate all’orizzonte abbiano una somiglianza ad un cane che abbaia, tale e quale come lo nota proprio Peter. Da qualche tempo che i due si stanno avvicinando. L’uomo non lo maltratta più, il giovane non ha più il timore iniziale. La comune visione simbolica delle montagne li ha uniti meravigliando Phil, che vede il ragazzo con uno sguardo diverso. Non sa e non può immaginare che l’altro lo stia frequentando con un piano preciso per vendicare i atroci sgarbi subiti dalla madre. Il finale sarà subitaneo, inesorabile, inaspettato. Solitudine e antrace. Mentre il cane è lì, sulle montagne, che pare abbai.
Jane Campion trae un film forte e potente dal romanzo di Thomas Savage, attratta e affascinata dal personaggio complesso, brillante ma crudele, di Phil, allevatore virile dal carattere complicato, meschino e ostile nei confronti di chiunque lo avvicini, un uomo tormentato e solitario, che vive solo nel ricordo di un sentimento segreto. Vive la situazione impossibile di un maschio alfa omofobo e allo stesso tempo omosessuale. Lei lo trasporta con precisione chirurgica sullo schermo con una tensione continuamente latente e in crescendo, avviluppando la storia con la continua sensazione di una sciagura imminente, con una energica sceneggiatura che definisce, modifica e spezza le relazioni raccontate. La regista ottiene pienamente lo scopo mediante un attore in grandissima forma: questo Benedict Cumberbatch, che è sempre stato un eccellente performer, si supera e dà una interpretazione vigorosa, granitica, capace di celare ad arte un piccolo ma potente aspetto nascosto omosessuale che sa trattenere dietro la sua fisicità, che avvertiamo che prima o poi verrà fuori. La presenza persistente del ricordo del suo amato Bronco Henry tramite il foulard che conserva gelosamente al collo e che utilizza nella scena della masturbazione ne è la prova mentale e materiale, e l’attenzione che al termine rivolge al ragazzo rivela il suo unico attimo di leggero cedimento, cadendo nel tranello che Peter sta preparando per conquistare la sua fiducia. Non c’è un attimo di tregua, non c’è momento di rilassamento. L’unica figura che offre secondi di sollievo è quella del buon George Burbank ogni volta che compare con il suo andamento quieto e sorridente, soprattutto verso la moglie, o quando tenta con la sua presenza di mitigare il carattere del fratello. La pregevole sceneggiatura scritta dalla stessa regista è incredibilmente dettagliata e sa dosare con grande efficacia le menzioni dell’ombra delle montagne che ricordano il cane, mentre l’obiettivo della macchina da presa inquadra più volte gli occhi fiammeggianti del ranchero, furiosi e penetranti, che anticipano le frasi taglienti che rivolge in special modo alla donna e al figlio, persino agli ospiti della cena allorché George decide di ricevere in casa i genitori e il governatore con consorte. Egli non risparmia nessuno, tranne se stesso, tenendosi al centro del mondo che vede. Decisiva sarà la pelle che, tagliata a strisce, servirà a confezionare la robustissima corda da cowboy: Phil e Peter collaboreranno a finirla, poi sarà il cimelio da conservare sotto il letto.
Regia impeccabile per un gruppo di attori in gran spolvero. Benedict Cumberbatch – lo scrivo oggi – correrà per forza per l’Oscar, non può essere altrimenti: attore maturo e consapevole dei suoi mezzi, si è espresso ai massimi livelli, dando forza alla sua interpretazione abbandonando la sua pronuncia britannica per quella adeguatamente americana, attorniato dal resto del cast, tutto di origine statunitense, neozelandese e australiano. Jesse Plemons è un attore che sembra non fare mai faville ma che invece è capace di dare sicurezza ad ogni ruolo e viene costantemente chiamato da tanti autori, (basti pensare che dal 1998 ad oggi, a 33 anni, ha già preso parte a più di 30 film e solo nell’ultimo anno ne ha girati 4!). È bravissimo anche se non appariscente e con il suo corpo, sempre più voluminoso, si fa sempre notare. È gentilissimo anche come uomo: apprezzatissimo dalla collega per queste sue doti, ora è addirittura il compagno della bellissima Kirsten Dunst, che da parte sua, fornisce una prova esemplare, sorridente e dolce prima, sofferta e drammatica poi, quando è spesso sola e infelice, in balia delle ripicche moleste del cognato: donna e attrice più che mai matura. Bel ruolo, il suo. Complimenti alla sua bravura. Kodi Smit-McPhee è la scommessa del futuro che man mano va consolidandosi. Il suo fisico così particolare (magrissimo, efebico, diafano, di-pelle-bianca, 1 e 89 di altezza) lo rende adatto a personaggi atipici e lui aderisce come un alieno, dando risalto all’esibizione.
Machismo e omosessualità inconfessata e repressa (un classico), fantasmi del passato, razzismo nei confronti dei nativi considerati e appellati gipsy, vita rude da vaccari, alcol e fiori di carta disprezzati e usati come fiammiferi, confini geografici e mentali: tutto ciò armonizzato dalla pregevolissima regia di Jane Campion premiata a Venezia 2021, che ha saputo impostare ritmi senza fretta, ma che cambiano continuamente mentre affiorano note lamentose di malinconia, solitudine, tormento, gelosia e risentimento. È evidente come abbia avuto il pieno controllo del materiale, scavando profondamente nella turbolenta vita interiore di ciascuno dei suoi personaggi con magica acutezza.
Riconoscimenti
2022 - Premi Oscar
Miglior regista
Candidatura al miglior film
Candidatura alla migliore sceneggiatura non originale
Candidatura al miglior attore protagonista a Benedict Cumberbatch
Candidatura al miglior attore non protagonista a Jesse Plemons
Candidatura al miglior attore non protagonista a Kodi Smit-McPhee
Candidatura alla migliore attrice non protagonista a Kirsten Dunst
Candidatura alla migliore scenografia
Candidatura alla migliore fotografia
Candidatura al miglior montaggio
Candidatura al miglior sonoro
Candidatura alla migliore colonna sonora
2022 - Golden Globe
Miglior film drammatico
Miglior regista
Miglior attore non protagonista a Kodi Smit-McPhee
Candidatura per il miglior attore in un film drammatico a Benedict Cumberbatch
Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Kirsten Dunst
Candidatura per la migliore sceneggiatura
Candidatura per la migliore colonna sonora originale
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