Il punto di rugiada
Italia 2023 dramma 1h52’
Regia: Marco Risi
Sceneggiatura: Riccardo De Torrebruna, Francesco Frangipane, Marco Risi
Fotografia: Michele Paradisi
Montaggio: Luigi Mearelli
Musiche: Leandro Piccioni
Scenografia: Elio Maiello
Costumi: Alfonsina Lettieri
Alessandro Fella: Carlo
Roberto Gudese: Manuel
Massimo De Francovich: Dino
Eros Pagni: Pietro
Luigi Diberti: Federico
Lucia Rossi: Luisa
Gloria Coco: Adelina
Cristina Noci: Anita
Erika Blanc: Antonella
Elena Cotta: Livia
Libero Sansavini: Giacomino
Emilio Dino Conti: Pierluigi
Alba De Torrebruna: Mila
Maurizio Micheli: Pasquale
Enzo Paci: direttore Falchi
Paila Pavese: Giovannona
Roberto Zibetti: assessore
Marcello Arnone: guardiano
TRAMA: Estate 2018, Carlo è un ragazzo ricco che, dopo una serata con gli amici in cui ha bevuto molto, si è messo alla guida, provocando un incidente stradale in cui è rimasta sfregiata una ragazza. Il tribunale lo condanna a un anno di servizi sociali in una casa di riposo dove dovrà prendersi cura degli anziani residenti. Con lui è condannato anche Manuel, colto in flagrante mentre spacciava stupefacenti.
Voto 6,5
Due indizi nell’incipit del film: il confezionamento di un cappio di corda da parte di un ospite di Villa Bianca, una lussuosa casa di riposo per anziani, e una jeep dei carabinieri che trasportano due giovani, Carlo e Manuel, entrambi condannati dal giudice per reati. Il primo, proveniente da una ricca famiglia e dalla vita sregolata, ha causato un grave incidente d’auto in stato di ebbrezza e l’altro è uno spacciatore. La loro pena è stata commutata in alcuni mesi da trascorrere in quella casa per prestare servizio civile, dovendo badare agli umili lavori per assistere i tanti anziani benestanti che vivono i loro ultimi anni nella Villa. All’arrivo sono accolti da un direttore alquanto nervoso e severo che li minaccia presto di allungare la loro prestazione o addirittura di rimandarli in carcere se non osserveranno i rigidi protocolli previsti o se verranno trovati positivi ai periodici e casuali controlli della loro urina. A questo punto vengono affidati all’infermiera Luisa per le istruzioni necessarie.
Nel marasma della produzione di film di questi decenni, pieni di opere d’azione, thriller, fantasy con mostri improbabili, horror d’autore e via dicendo, sorprende non poco questo film che pare fuori dal tempo. O meglio, fuori da questi tempi di creatività caotica basata da tante idee innovative ma anche da sequel, prequel, midquel e remake. Ci ha pensato Marco Risi, figlio d’arte, che, come il padre, spazia nei generi e come il Dino celebre, dopo alcuni film impegnati su eroi civili (Fortapàsc) o misteri eterni d’Italia (Il muro di gomma) o problematiche giovanili (Mery per sempre, Ragazzi fuori) nell’età matura ha preferito una pellicola crepuscolare, come un tardo Dino Risi, malinconico e deluso. Lo ha fatto mettendo in imbarazzo due giovani scapestrati proiettati in un mondo nascosto dal resto dell’umanità abitato solo da anziani incontinenti e sulla via della demenza senile, un universo così lontano da loro che forse avrebbero preferito scontare la pena in prigione.
La domanda è: può davvero servire a due giovanotti di questo tipo venire a contatto con gente così lontana dal loro modo di vivere e pensare? Può servire loro a capire meglio l’esistenza e ripensare fruttuosamente a quello che hanno commesso e quindi migliorarsi? È questo il percorso che vuole filmare il regista e li seguiamo, giorno dopo giorno, letto da rifare dopo letto da rifare, pannolone cambiato dopo pannolone cambiato, intrattenere gli anziani nel modo più congeniale e quindi lontanissimo da quello che avrebbero preferito. Due alieni su un pianeta sconosciuto: scapperanno oppure si adegueranno, non c’è via d’uscita.
Ecco allora la storia dell’incontro tra questi due mondi tanto distanti, proprio opposti tra loro, che consente soprattutto ai più giovani di scoprire una ricchezza inaspettata e preziosa nella dimensione della terza età. Senza trascurare in più di un’occasione gli aspetti più divertenti, a volte anche buffi, dei vecchi, Risi compone una commedia agrodolce in cui i giovani hanno modo di scoprire la gioia e la saggezza di chi ha alle spalle molta strada percorsa e da cui molto c’è ancora da apprendere. Nella casa di riposo in cui è ambientato il film, un mondo forse un po’ troppo dorato e, tra l’altro, non alla portata di tutti, i giovani protagonisti imparano ad assaporare il presente mettendo in pausa la loro naturale tensione verso un futuro incerto e dando un valore diverso alle relazioni umane.
La scommessa era se il regista sarebbe riuscito nell’impresa senza essere banale o fuori strada e come avrebbe potuto organizzare narrativamente l’incontro tra due generazioni così lontane che si guardano con diffidenza. Sì, perché, se è scontato che Carlo (Alessandro Fella) e Manuel (Roberto Gudese) si sentano fuori posto, è facile notare anche che gli anziani li trattino con sospetto, come corpi estranei al loro habitat, salvo poi, notandoli all’opera e sentendosi serviti in maniera adeguata ed educata, accettarli e trattarli con affetto. Perché, se accade un miracolo è proprio dovuto al fatto che si creeranno legami inaspettati sino al punto che entrambi i giovani proveranno vero affetto verso alcuni di loro. Incredibile. Ma vero, o almeno credibile. E dire che, inizialmente, pure la stessa Luisa (Lucia Rossi), donna solo apparentemente fredda e distaccata, era piuttosto diffidente e poco convinta dell’autenticità degli sforzi che i due condannati compivano, con la conseguenza – inevitabile, adeguata ai sentimenti che possono nascere nei rapporti non facili – che qualcosa scatta tra lei e Carlo, che lentamente, conoscendolo meglio lei e noi spettatori, non è poi davvero quel ragazzo cattivo e insensibile che pareva all’inizio.
Discorso a parte – e questo è un bel lavoro riuscito da parte della sceneggiatura – va fatto per gli abitanti la Villa: ogni persona ha una storia a sé, ognuno ha il suo passato e la sua mentalità, le sue esigenze e i bisogni, ma tutti sono accumunati dalla voglia di godere di quegli ultimi anni, dal divertimento provato quando ballano o ascoltano la lettura di Manuel dei quotidiani che scrivono delle vicende più morbose riguardanti gli omicidi di provincia: uno spasso! C’è chi era ufficiale dell’esercito ed è quindi comicamente imperioso nelle richieste, chi ama corteggiare le anziane ospiti che si sentono meravigliosamente desiderate, chi ama suonare a pianoforte, chi ama follemente la vita ma muore all’improvviso (ogni tanto si riapre la cappella…), che non ricorda proprio più nulla e non riconosce gli antichi amici della vita giovanile, chi scrive poesie ma non ricorda di averle scritte. Il personaggio più bello, più intelligente, più complesso e ancora lucido è Dino (l’eccellente Massimo De Francovich), a cui hanno tolto le maniglie della porta e delle finestre della sua stanza (la spiegazione è mascherata nelle prime inquadrature, come accennato in cima a questo scritto), scambiato per un depresso ma che invece ha solo il mal di vivere, è solo stanco di attendere la sua fine naturale: è semplicemente stanco di vivere e preferirebbe scegliere il momento da sé. Era un grande professionista della fotografia (anche ora ne scatta a decine ogni giorno con lo smartphone) e ha un solo rammarico: non aver mai fotografato il leone nella savana e commovente sarà la promessa che Carlo gli farà negli ultimi giorni di servizio. Perché l’affetto che è nato tra questi due individui è forte e sincero, a dimostrazione di come la forzata terapia punitiva abbia funzionato e non solo per Carlo ma anche per Manuel. Ognuno dei due ha creato un legame con qualcuno degli anziani fino a provare un vero sentimento di attaccamento e stima. Come un nonno con un nipote.
Quando il senso della vita e l’essenza dell’esistenza e della morte si affacciano prepotenti si intuisce che ci stiamo avviando alla fine della storia e dell’esperienza dei due condannati, ma prima succedono cose strane e ribelli che danno tanta gioia ai vegliardi: tutto merito di Carlo e Manuel che sono riusciti a donare un attimo di leggerezza e libertà, all’opposto della grigia e monotona vita della casa. Un’altra bella sorpresa è la presenza di Erika Blanc, che è Antonella, attrice a cui Marco Risi regala non solo un ruolo ma anche un omaggio forte con un gioco di piani e contropiani nel mentre il suo personaggio guarda in TV un film in bianco e nero: La vendetta di Lady Morgan, un horror interpretato da una giovane attrice chiamata Erika Blanc!
Finale triste e ovviamente inevitabile, con la considerazione terminale che ci ha dimostrato come Marco Risi sia rimasto legato al cordone ombelicale del padre, a cui è normale restare attaccati sia per la notevole produzione del genitore, sia per la similarità di questo scorcio dei suoi lavori. Qui sono protagonisti i vari anziani che lui ama chiamare “vecchi” ma Dino è passato alla Storia per un anziano, un forte personaggio cieco (inutile aggiungere, non solo per quel film). Se il padre era cinico e a volte grottesco ai fini della risata sarcastica, il figlio si prende la sua rivincita con la spessa dose di acidità che fa piovere sul finale: difatti, a distanza di poco tempo, arriva in Italia lo stramaledetto Covid e…
Tempo fa leggevo una dichiarazione di Dino Risi: “La vecchiaia è orrenda. È bello non ricordarsi i nomi dei propri figli?”. Tanto da aver avuto sempre il desiderio di girare un film sugli anziani, ma tutt’altro che deprimente. E talvolta i progetti dei padri ricadono sui figli e così è successo ed eccoci qui con questa sinfonia crepuscolare ricca di ironia e con la saggezza nascosta dai comportamenti senili e fanciulleschi, che fanno sorridere o ridere amaramente, osservando quei “vecchi” nei gesti, le pretese, la candida innocenza della loro mente.
Buonissima la sceneggiatura, buona la regia che ha saputo trovare l’alchimia tra i giovani e i vecchi attori, buona l’ambientazione, eccellenti tutti gli attori, specialmente nel reparto datato. Su tutti Luigi Diberti, Eros Pagni e Massimo De Francovich, che dimostrano di essere sempre dei fuoriclasse. Anche Roberto Gudese e Alessandro Fella se la cavano dignitosamente, specialmente quest’ultimo.
Bel film, credo proprio sottovalutato, film d’una volta, che avrebbero potuto essere anche nelle mani dei registi della Hollywood d’una volta e che ne avrebbero tratto anche loro un film valido. Un tipo di film che ogni tanto fa bene guardare. Perché - anche per merito di Luisa, l’affascinante, misteriosa e competente infermiera che lavora da anni nella struttura e che guiderà i giovani - ci ritroviamo in un mondo sospeso, dove condivisione, conforto e accoglienza cambieranno per sempre il loro sguardo sul mondo e soprattutto sull’esistenza. Un’esperienza per loro importante.
Riconoscimenti
Nastro d'argento 2024
Miglior soggetto
Premio Guglielmo Biraghi a Alessandro Fella
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