Il segreto dei suoi occhi
(El secreto de sus ojos) Argentina/Spagna 2009 dramma/thriller 2h9’
Regia: Juan José Campanella
Soggetto: Eduardo Sacheri (romanzo)
Sceneggiatura: Eduardo Sacheri, Juan José Campanella
Fotografia: Félix Monti
Montaggio: Juan José Campanella
Musiche: Federico Jusid, Emilio Kauderer
Scenografia: Marcelo Pont Vergés
Costumi: Cecilia Monti
Ricardo Darín: Benjamín Esposito
Soledad Villamil: Irene Menéndez Hastings
Guillermo Francella: Pablo Sandoval
Pablo Rago: Ricardo Morales
Javier Godino: Isidoro Gómez
Bárbara Palladino: Chica Piropo
José Luis Gioia: ispettore Báez
Carla Quevedo: Liliana Colotto
Rudy Romano: dott. Ordóñez
Alejandro Abelenda: Pinche Mariano
TRAMA: Benjamín Esposito è ossessionato da un caso giudiziario di una donna violentata e uccisa che ha lasciato un marito devastato e inconsolabile a covare vendetta e un assassino in libertà. 25 anni dopo, ora pensionato, Benjamín decide di colmare questo vuoto ritornando sulle tracce del caso. Il suo percorso riporterà alla luce un amore corrisposto e mai consumato, sensi di colpa pesanti come macigni e svelerà lentamente la vendetta messa in atto dal marito, intrappolato da tutti quegli anni in una gabbia di dolore senza uscita.
Voto 8
Nell’Argentina che sta vedendo l’arrivo arrembante dell’estrema destra al potere e un conseguente clima di intimidazione dei servizi interni, una sorta di polizia di regime, si verifica un brutale stupro e omicidio di una giovane donna ad opera sicuramente di qualcuno che la conosceva, dal momento che non c’è stata alcuna effrazione per entrare nella casa. Alternando il racconto tra l’epoca dei fatti e quella alle soglie del XXI secolo, con un rimpallo di molti flashbacks per nulla fastidioso, anzi attuato dall’ottimo Juan José Campanella con estrema pulizia e ordine, al fine di tessere l’intera storia da cima a fondo, si viene a conoscenza della terribile vicenda che non lascia in pace il protagonista, voglioso di non arrendersi nonostante le obiettive difficoltà a portare a termine le indagini e assicurare il colpevole alle carceri ergastolane. Siamo ora nel 1999, quando appunto l’agente della giustizia federale argentino ora in pensione, Benjamín Espósito, sta scrivendo un romanzo, utilizzando quel vecchio caso chiuso come materiale di partenza. Quel caso riguarda il brutale assassinio di Liliana Coloto. Oltre a notare l’estremo dolore di Ricardo Morales, marito della vittima, Benjamín, il suo assistente Pablo Sandoval e il capo dipartimento appena assunto, il magistrato Irene Menéndez Hastings erano stati impressionati dalla orrenda faccenda, mentre i primi due continuavano a seguire le tracce dell’assassino, sebbene in un primo momento il dipartimento avesse già arrestato due sospettati, chiaramente innocenti ma utili a chiudere quanto prima il caso. Giusto per far bella figura in quel momento storico di elevata instabilità sociopolitica. Oltre alla tendenza dei responsabili di quel reparto a essere sommari e quasi disinteressati alla vera giustizia. Infatti, le personali ed ostacolate indagini di Benjamín e Pablo alla fine erano arrivati ad un uomo di nome Isidoro Gómez, per loro il sicuro assassino. Durante un drammatico interrogatorio e con l’audace comportamento della magistrata, il sospettato si tradisce e dà in escandescenze dimostrando tutta la sua violenza, venendo così arrestato e in seguito condannato.
Solo dopo qualche anno, Benjamín e Irene – che provano chiaramente attrazione ma senza mai esponendosi l’uno all’altra, soprattutto dal modo con cui lui trattiene le proprie emozioni, frenato a causa delle differenze di età e classe sociale – scoprono con profondo sdegno che il condannato, nel frattempo, è entrato nelle grazie di un loro collega che ha fatto carriera nella polizia di regime e ha fatto scarcerare il criminale per assoldarlo nelle file dei suoi fedelissimi. Isidoro si era rivelato intelligente e spietato, uno che, a detta del suo capo,” quando entra in casa di qualcuno, sa quello che deve fare”. Ora gira armato ed elegantemente vestito, spavaldo e intoccabile, mentre il giovane vedovo, all’oscuro delle novità, continua a cercarlo nel tempo libero dal suo lavoro di bancario. Per questo, a distanza di tanti anni, il nostro protagonista, ispirandosi ai fatti delittuosi e al suo amore mancato, comincia a scrivere un romanzo sulla base di questi ricordi e sulla avvenuta misteriosa scomparsa dalla circolazione dell’ex ergastolano. Cosa è successo del suo rimpianto amore? Cosa ne è di Isidoro Gómez? Che fine ha fatto il marito inconsolabile Ricardo Morales? Dibattuto tra i sentimenti, la scrittura e il caso di cronaca, la stesura ha molti intoppi, che solo una visita all’antica amica del cuore, forse, può sbloccare e dare qualche risposta, almeno incoraggiante.
Andando, quindi, avanti e indietro nel tempo, tra la forte amicizia tra Benjamín e Pablo, che si consolano a vicenda nei tempi bui che attraversano nell’ufficio e nella società, e i ricordi dell’amore, la vita è diventata solitaria e mesta, ma l’interesse a seguire le tracce dello scomparso Isidoro gli danno il minimo della spinta a non arenarsi. Anche nella scrittura, che ha molti, troppi riferimenti al suo passato. Difficile cogliere la separazione tra la fantasia e i ricordi. Tutto si confonde e si sovrappone. Fin quando, un giorno il nostro rintraccia il vedovo, che abita nella sperduta campagna argentina: sarà la chiave per risolvere l’enigma e dare una lettura definitiva della storia.
Due i filoni, quindi, che si sviluppano nella lunga trama: quello sentimentale - dell’amore mai concretizzato tra l’uomo e la donna, romanticissimo e sofferto, mai giunto al dunque, soprattutto da una parte - e quello del giallo del delitto e del castigo, mentre l’intera opera di Campanella abbraccia diversi generi: dal dramma amoroso al thriller, dalla tragedia storica della dittatura al noir, persino alla commedia, che tinge parecchio l’ambiente nella fase iniziale. Aspetto dovuto principalmente all’aria fraterna che campeggia tra i due nell’ufficio di Giustizia e allo spirito umoristico di Pablo, afflitto dal vizio di bere troppo e dal distacco affettivo della moglie. Caratteristiche ben concertate dalla sceneggiatura scritta dal regista e dallo stesso scrittore del romanzo, accompagnate dalle belle musiche che accentuano la eccellente recitazione dei bravissimi attori. Le scene degli sguardi tra Benjamín e Irene sono delicatissime e struggenti: da una parte la donna incoraggia l’altro a fare un passo, anche se sta ormai andando all’altare con il promesso sposo, dall’altro i sentimenti bloccati dell’uomo incapace di esprimerli e dar loro un indirizzo più deciso. Infine si sfocia in un finale dove campeggia la vendetta silenziosa, quasi simile al tragico Alberto Sordi di Un borghese piccolo piccolo. Una morte violenta nell’incipit ed una morte di un amore che percorre l’intero film. E sullo sfondo c’è l’Argentina, che stava diventando l’inferno dei desaparecidos.
Molto cinema sudamericano si è occupato negli anni di descrivere la pessima aria che si respirava in quella nazione, da Garage Olimpo (1999) a Figli - Hijos (2002), da Il clan (2015) a Il Presidente (2017), solo per citarne alcuni. Fino al recente e maestoso Argentina, 1985 (2022). Qui Juan José Campanella dirige un film bellissimo e lo fa così bene che le due ore di proiezione passano senza accorgersene, compie un volo armonioso toccando, come detto, diversi argomenti e con garbo anche la sensibilità dello spettatore. Il sorriso accattivante di un maestro della simpatia, Ricardo Darín, la bellezza tutta femminile e meridionale dallo sguardo ammaliante degli occhioni di Soledad Villamil, la enorme abilità recitativa di un comico sornione capace di dare il massimo anche nel dramma, Guillermo Francella: questi sono, principalmente, i cardini su cui il regista ha potuto lavorare con tranquillità e successo per confezionare un film appassionante sia nel percorso drammatico che in quello noir poliziesco. Tre interpreti scelti con oculatezza e che danno quel qualcosa in più alla bellezza del film e alla solidità di una sceneggiatura praticamente perfetta.
Un crimine quasi senza punizione. Quasi. Un amore puro che non vuole morire. Una storia che pare non finisca mai. La passione per ciò che si ama fare e che condiziona i comportamenti. Infatti, è il personaggio di Pablo Sandoval che dice: “Un ragazzo può cambiare qualsiasi cosa. Il suo volto, la sua casa, la sua famiglia, la sua ragazza, la sua religione, il suo Dio. Ma c'è una cosa che non può cambiare. Non può cambiare la sua passione…” anche se declama questa frase durante la fase più concitata del film, in uno stadio stracolmo di tifo calcistico, come sanno fare gli argentini per i loro idoli.
Un film che prende il cuore. Bellissimo!
Riconoscimenti
La bacheca è ricchissima: 53 premi vinti, tra cui:
2010 - Premi Oscar
Miglior film straniero
2010 - Premio Goya
Miglior film straniero in lingua spagnola
Migliore attrice rivelazione a Soledad Villamil
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