Insider - Dietro la verità (1999)
- michemar
- 3 lug 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 12 gen

Insider - Dietro la verità
(The Insider) USA 1999 dramma 2h37'
Regia: Michael Mann
Soggetto: Marie Brenner
Sceneggiatura: Michael Mann
Fotografia: Dante Spinotti
Montaggio: William Goldenberg, David Rosenbloom, Paul Rubell
Musiche: Pieter Bourke, Lisa Gerrard
Scenografia: Brian Morris
Costumi: Anna B. Sheppard
Al Pacino: Lowell Bergman
Russell Crowe: dr. Jeffrey Wigand
Christopher Plummer: Mike Wallace
Diane Venora: Liane Wigand
Philip Baker Hall: Don Hewitt
Bruce McGill: Ron Motley
Gina Gershon: Helen Caperelli
Michael Gambon: Thomas Sandefur
Rip Torn: John Scanlon
TRAMA: New York 1995. Lowell Bergman, responsabile del popolare programma giornalistico "60 Minutes" della CBS, convince lo scienziato Jeffrey Wigand, licenziato dalla Brown & Williamson Tobacco Corp., a rivelare che i suoi datori di lavoro aggiungono additivi chimici alle sigarette per rafforzare l'assuefazione al fumo. La CBS è sottoposta a forti pressioni, ma la trasmissione va in onda. Per Wigand il costo è alto: pace, sicurezza economica, matrimonio. Tutto in fumo.
Voto 8

Quattro anni dopo lo straordinario Heat – La sfida (recensione), Michael Mann ci ripropone il confronto tra due personalità tanto differenti da sembrare che arrivino da due mondi diversi, due fisionomie di uomini distanti, per lavoro e carattere. Lowell Bergman è un giornalista d’assalto, uno che in “60 Minutes”, programma di punta della CBS, famoso per le sue interviste di attualità, deve fare audience e clamore, senza paura di scuotere gli ambienti che contano, uomo dalla vita dal ritmo infernale (è ancora Al Pacino, come nell’altro film). Jeffrey Wigand è un posato e tranquillo scienziato che lavora per la Brown & Williamson Tobacco Corp. e che nel suo laboratorio ha potuto scoprire come la gente venga volontariamente condotta all’assuefazione ai contenuti chimici delle sigarette; quando la sua moralità integerrima si scontra con gli interessi giganteschi della ditta viene licenziato e avverte il dovere morale di rivelare, tra mille dubbi, ciò che sa.

Potrebbe essere il solito dramma etico del cinema americano, potrebbe essere raccontato ancora una volta come un film sociale, ed invece Mann, secondo i canoni che lo hanno reso unico, costruisce una storia che lentamente si trasforma in un dramma epico, con i tempi lenti e inesorabili, con i primi piani sui visi che anche in silenzio raccontano i dilemmi e le tribolazioni personali e familiari. L’uno con il ritmo secondo cui una nuova notizia può diventare superata, l’altro con i tempi dello studio e della riflessione. Le loro strade si incrociano facendo diventare impellente decidere quella da seguire, con tutte le complicazioni che comporta: dalla parte di Bergman esplode il caso con le conseguenti rifrazioni dei rapporti politici ed economici di un grande network, dove il compromesso è essenziale per la sopravvivenza e la convivenza tra potere sociopolitico e quello dell’informazione, spesso o quasi sempre condizionata dal primo. Dalla parte di Wigand le ripercussioni gravissime sulla sicurezza personale della famiglia, con le minacce chiare o velate che gli giungono in tanti modi.

Anche se affetto da un ritmo che a molti è parso troppo lento e dalla tanta voglia di Michael Mann di parlarne fino allo sfinimento (in effetti è anche un film molto dialogato, ma ciò non è un difetto, anzi, è il cuore del thriller psicologico) è in realtà un giallo politico in forma di film da camera, in cui la suspense in costante fibrillazione dura ben due ore e mezzo senza alcuna azione di movimento. Fatto strano per un’opera di Michael Mann. Perché, come si nota facilmente, è soprattutto un film di recitazione: misurata, a volte inquietata, con due attori molto diversi anche fisicamente. Al Pacino gigantesco come sempre, Russell Crowe forse alla sua migliore performance. Capelli folti e mani sempre in movimento del primo, il faccione rotondo e triste sotto una capigliatura che si sta imbiancando del secondo. Il ruolo dei duri e dei cattivi colletti bianchi? Se chiami Christopher Plummer e Philip Baker Hall hai risolto subito!

Non è una fiction, i fatti sono purtroppo veri e diedero inizio a un'indagine che alle multinazionali del tabacco costò sanzioni da parte di 50 Stati, per un totale di 256 miliardi di dollari. L’idea nacque da un articolo (The Man Who Knew Too Much) di Marie Brenner per Vanity Fair e Michael Mann colse l’occasione per puntare, come detto, l’attenzione su due temi: lo scandalo del tabacco e la libertà d’informazione – in questo caso quella televisiva – che è stata spesso un soggetto prediletto della Hollywood poco allineata alla conformità di pensiero. Il regista confeziona un film enorme, che richiede i suoi tempi e che fa molto riflettere.

E se si prende tutto quel tempo un motivo c’è, perché solo così riesce a far arrivare la tensione altissima pur senza corse e inseguimenti, ma solo con i drammi personali e professionali. Basterebbe osservare con attenzione la sequenza del golf notturno, in cui il solitario coprotagonista non trova pace neanche dove pensava di essersi nascosto per mettere momentaneamente da parte gli eventi. Anche la musica (una coppia eccezionale di autori, Pieter Bourke e Lisa Gerrard), sempre importante per il nostro regista, fa la sua parte e conferisce maggior pathos, oltre alla fotografia bellissima firmata da Dante Spinotti. Un importante particolare da notare è che non si vede una sigaretta accesa in tutto il film.

Le sette candidature agli Oscar andarono a vuoto, perché era anche l’anno del debutto di Sam Mendes e del suo micidiale American Beauty.
Riconoscimenti
Premio Oscar 2000
Candidatura per il miglior film
Candidatura per la migliore regia
Candidatura per il miglior attore protagonista a Russell Crowe
Candidatura per la migliore sceneggiatura non originale
Candidatura per la migliore fotografia
Candidatura per il miglior montaggio
Candidatura per il miglior sonoro
Golden Globe 2000
Candidatura per il miglior film drammatico
Candidatura per la migliore regia
Candidatura per il miglior attore in un film drammatico a Russell Crowe
Candidatura per la migliore sceneggiatura
Candidatura per la miglior colonna sonora
Premio BAFTA 2000
Candidatura per il miglior attore protagonista a Russell Crowe
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